Anno Accademico 2022-2023

Vol. 67, n° 4, Ottobre - Dicembre 2023

ECM: Ulcere vascolari degli arti inferiori: nuovi approcci ad una patologia antica

23 maggio 2023

Copertina Atti Quarto Trimestre 2023 per sito.jpg

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Flebotonici e integratori: criteri di scelta

G. Avruscio

La malattia venosa cronica (MVC) è una condizione ad elevata prevalenza, con importanti effetti su qualità della vita, rischio di progressione della malattia verso classi cliniche più avanzate, perdita di giorni lavorativi ed impegno di risorse sanitarie (costi diretti e indiretti)1-14. Nonostante questi dati, la MVC, soprattutto nelle classi cliniche più basse, secondo la classificazione CEAP (Comprehensive Classification System for Chronic Venous Disorders), riceve ancora scarsa attenzione, sia da parte dei pazienti che da parte degli operatori.

Della MVC ne conosciamo i sintomi: Formicolio, bruciore, dolore, crampi muscolari, tensione, sensazioni pulsanti o di pesantezza, prurito cutaneo, gambe affaticate o stanche. Ne conosciamo i segni obiettivi: teleangiectasie, vene reticolari, varici tronculari, edemi declivi, discromie e distrofie cutanee fino alle ulcere. Ne conosciamo la classificazione internazionale2-3:
- classe 0: assenza di segni clinici visibili palpabili di malattia venosa
- classe 1: presenza di teleangiectasie o vene reticolari
- classe 2: presenza di vene varicose
- classe 3: presenza di edema
- classe 4: turbe trofiche di origine venosa:
  a: pigmentazione, eczema,
  b: lipodermatosclerosi, atrofia bianca
- classe 5: come classe 4 con ulcere cicatrizzate
- classe 6: come classe 4 con ulcere in fase attiva

E sappiamo che emodinamica e infiammazione lavorano come una doppia leva sincronizzata dall’esordio dei sintomi, alla patologia varicosa, sino alle forme più severe delle ulcere venose croniche. Tutti questi fattori sono esacerbati dalla disfunzione della pompa muscolare periferica. Tali fenomeni si ripercuotono sul microcircolo, sviluppando la microangiopatia venosa, con le conseguenze delle discromie e distrofie cutanee, delle fibrosi del tessuto sottocutaneo ("lipodermatosclerosi"), fino all’ulcera attiva. La malattia venosa cronica è sintomatica in tutte le fasi, anche a partire dalla comparsa della malattia, e anche prima della comparsa dei segni venosi.

Il processo infiammatorio ha un ruolo chiave nel determinismo della lesione dell’endotelio parietale venoso, dell’ipertensione venosa e della disfunzione valvolare4. L’interesse della ricerca infatti si è spostato verso l’azione esercitata dai farmaci venoattivi sui processi infiammatori cronici, che possono colpire grandi e piccoli vasi venosi oltre che l’apparato valvolare. Inibire quindi il processo infiammatorio diventa essenziale per bloccare la progressione della MVC5.

Recentemente, grazie agli studi della letteratura, sono state scoperte alcune importanti possibili correlazioni tra MVC e cardiopatia. Il Gutenberg Health Study6 è uno studio prospettico, osservazionale condotto in Germania dal 2012 al 2017 volto a:
- fornire stime sulla prevalenza dell’Insufficienza Venosa Cronica (C3-C6) in funzione dell’età e del sesso nella popolazione;
- valutare il peso dei fattori di rischio Cardio-Vascolare e delle comorbidità nella Malattia Venosa Cronica;
- valutare l’impatto dell’Insufficienza Venosa Cronica sulla popolazione generale;
- ha coinvolto 10.664 partecipanti (C0-C6) di età compresa tra 40-80 anni;
- la visita a cui venivano sottoposti i partecipanti prevedeva controlli per un totale di 5-h;
- l’Insufficienza Venosa Cronica era presente in 4603 individui, di cui 3361 (C3) e 1242 (C4– C6);
- il rischio di eventi cardiovascolari è stato calcolato utilizzando il Framingham 10-year risk score for cardiovascular disease.

Secondo tale studio, l’Insufficienza Venosa Cronica, nello stadio C3-C6 della classificazione CEAP, è stata indipendentemente associata alla presenza di disturbi cardiovascolari clinicamente evidenti.

Questa relazione era proporzionalmente crescente negli stadi CEAP più avanzati e più pronunciata negli individui con Insufficienza Venosa Cronica sintomatica. È stato rilevato che il rischio cardiovascolare medio aumenta al peggiorare dell’Insufficienza Venosa Cronica e che l’insufficienza venosa cronica è associata ad un rischio maggiore di morti per tutte le cause.

Lo studio quindi suggerisce l’esistenza di un legame tra Insufficienza Venosa Cronica e Malattia Cardiovascolare, dimostra la capacità predittiva di morte per tutte le cause dell’Insufficienza Venosa Cronica e sottolinea l’impatto clinico dell’Insufficienza Venosa Cronica al di là degli aspetti estetici. L'endotelio vascolare regola infatti l'omeostasi sia arteriosa che venosa ed è ampiamente dimostrato come i fattori di rischio cardiovascolare portano alla disfunzione endoteliale sistemica. Queste nuove evidenze sostengono l’importanza di valutare le gambe dei pazienti, considerando in modo precoce i segni della malattia venosa cronica. Già nel 2003era stata descritta per la prima volta da Prandoni e coll. dell’Università di Padova la potenziale associazione tra malattia tromboembolica venosa e aterosclerosi7. La trombosi venosa ed arteriosa sono state a lungo considerate due entità fisiopatologiche completamente separate, a ragione delle ovvie differenze anatomiche e dei distinti quadri clinici di presentazione. Numerosi elementi inducono a ritenere che tra trombosi venosa ed arteriosa ci sia un legame rimasto a lungo insospettato. Innanzitutto le due condizioni hanno parecchi fattori di rischio in comune come l’età, l’obesità, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, l’ipertrigliceridemia e la sindrome metabolica. In secondo luogo ci sono molte condizioni morbose che espongono al rischio simultaneo di trombosi sia in ambito venoso che arterioso, tra queste la sindrome da anticorpi antifosfolipidi, l’iperomocisteinemia, i tumori maligni, gli stati infettivi e le terapie ormonali. Infine, numerosi studi condotti in epoca recente hanno dimostrato che i pazienti con tromboembolismo venoso sono esposti, nei confronti di popolazioni di controllo, ad un rischio aumentato di eventi trombotici arteriosi. Si può ipotizzare che le due modalità di evento trombotico siano innescate da stimoli biologici capaci di attivare simultaneamente la cascata coagulativa ed i meccanismi flogistici sia nel settore venoso che in quello arterioso della circolazione (Tab. 1)7.

 

Tab. 1. Studi che riferiscono il rischio di eventi cardiovascolari in pazienti con VTE7.

 

Un altro studio padovano8 ha valutato l’associazione tra trombosi venosa residua (RVT) e aterosclerosi subclinica in una coorte di pazienti con TVP idiopatica (o associata a deboli fattori di rischio). Il rilevamento ecografico della TVP dopo un episodio di TVP prossimale non provocato o innescato da deboli fattori di rischio è risultato associato a una maggiore prevalenza di aterosclerosi subclinica.

Ancora più recentemente in uno studio9 che ha preso in considerazione 116 pazienti con TVP spontanea e senza aterosclerosi sintomatica, è stata eseguito l'EcoColorDoppler delle arterie carotidi per il rilevamento della placca e la valutazione dello spessore intima-media (IMT) e l'indice caviglia-braccio (ABI). Cinquantasette pazienti (M/F 19/38, fascia di età 54–78 anni) avevano una TVP distale e 59 (M/F 24/35, fascia di età 51–73 anni) avevano una TVP prossimale. Un gruppo di 57 soggetti (M/F 21/36, fascia di età 64–70 anni) ha agito come controllo. Tali risultati hanno rivelato che potrebbe esserci un'associazione tra TVP distale spontanea e aterosclerosi asintomatica e hanno confermato l'associazione nota tra TVP prossimale idiopatica e aterosclerosi asintomatica. È chiaro che sono necessari studi più ampi per confermare questi risultati oltre che per valutarne le implicazioni cliniche.

Questi recenti studi scientifici propendono quindi per un’associazione tra patologia venosa nelle sue varie forme di presentazione, dalle prime fasi della malattia venosa cronica, trombosi venosa e sindrome post-trombotica, alla patologia arteriosa e cardiovascolare. Alla luce di queste importanti considerazioni, risulta pertanto di fondamentale importanza non sottovalutare i sintomi e i segni della patologia venosa già nelle sue fasi iniziali, ricorrendo a tutte le armi di terapia medica che le linee guida ci mettono a disposizione.

Primum Movens della terapia della MVC è lo stile di vita, comprendente una corretta alimentazione ed una altrettanto sana attività fisica, riducendo il sovrappeso e contrastando l’obesità. La terapia farmacologica deve intervenire non solo nella cura della MVC, ovvero quando questa è in stadio clinico riconoscibile, avanzato, ma anche in stadio preclinico e preventivo. La terapia farmacologica deve quindi essere considerata in tutti gli stadi della malattia e non come alternativa ad altri trattamenti (chirurgici, endovascolari, compressivi). Devono essere utilizzate sostanze attive di provata efficacia clinica che vadano ad agire sui diversi target d’azione responsabili delle alterazioni venose, dei sintomi e dell’evoluzione clinica della MVC:  ridotto tono venoso, stasi del microcircolo, ridotto drenaggio linfatico, aumento della permeabilità capillare, infiammazione delle vene e delle valvole venose, depressione del reflusso veno-arteriolare e del disturbo della vasomozione, cuffia di fibrina pericapillare10. Nelle Linee Guida pubblicate da International Angiology del 2014 sul management della MVC11, sono stati raccolti tutti i dati disponibili sulle implicazioni che i farmaci venoattivi possono avere sulla fisiopatologia della malattia venosa cronica: Parete venosa, Permeabilità capillare, Circolo linfatico, Infiammazione vascolare. Sono stati definiti 5 gruppi di farmaci venoattivi, con origine e posologia di trattamento: Flavonoidi, Alfa-Benzopironi, Saponine, Altri estratti da piante, Prodotti sintetici. Da una revisione Cochraine del 201612 veniva considerato l’Aminaphtone tra i farmaci venoattivi nella MVC e un suo aggiornamento nel 202013 lo riteneva in grado di controllare efficacemente i sintomi e i segni dell’insufficienza venosa cronica. Nelle Linee Guida della European Society for Vascular Surgery del 202214 viene ancora sottolineata l’importanza della terapia farmacologica ed elasto-compressiva nella gestione conservativa della MVC (Tab. 2) e indicate le seguenti sostanze attive con evidenza IIA tra le più efficaci sui segni e sintomi (Tab. 3).

 

Tab. 2. Pazienti con malattia venosa cronica sintomatica14.

 

Tab. 3. Sostanze indicate dalle LG come più efficaci14.

 

Discorso a parte sono invece gli integratori alimentari che vengono spesso intesi come terapia e non come co-adiuvanti della dieta e/o di patologia. Sia le Linee Guida nazionali e internazionali che il Ministero della Salute, definiscono che “gli integratori non hanno finalità di cura. Il loro ruolo può essere quello di favorire fisiologicamente le funzioni dell’organismo nell’intento di ottimizzarne il normale svolgimento. Funzioni alterate in senso patologico richiedono sempre il controllo e l’intervento del Medico, con la prescrizione all’occorrenza dei presidi terapeutici più indicati nel caso specifico per il recupero delle condizioni di normalità”. Secondo la Direttiva 2002/46/CE attuata con Decreto Legislativo 169/2004, gli effetti fisiologici degli integratori vanno intesi come ottimizzazione di una funzione fisiologica e non come ripristino, correzione o modificazione di essa. Per la registrazione e la commercializzazione degli integratori infatti non sono richiesti studi pre-clinici e clinici.


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