Anno Accademico 2021-2022

Vol. 66, n° 2, Aprile - Giugno 2022

Conferenza: La Medicina nell’arte

15 marzo 2022

Copertina Atti Secondo Trimestre 2022 per sito.jpg

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La Medicina nell’arte

G. Ceccarelli

Pochissimi anni fa, nel 2018, in una rivista statunitense di Medicina Generale comparve un articolo1, firmato da tre autori di aree universitarie diverse di quella Nazione, in cui si faceva notare che “l’esame al letto del malato è una vittima della nostra epoca di Medicina altamente tecnologica e di tempi molto ristretti; questa situazione deriva dalla facilità con cui si dispone di tecnologie diagnostiche, che hanno fatto sì che l’esame obbiettivo sia divenuto e sia spesso considerato obsoleto. Questo approccio è molto costoso e porta spesso a diagnosi non corrette, ma il risultato è che, come risulta da parecchie indagini, gli studenti di Medicina passano oggi il 40% del loro tempo davanti allo schermo di un computer e solo il 12% nell’osservare i malati”. Forse da noi non siamo ancora arrivati a questo punto, ma è dato comune che noi importiamo dagli USA - dopo qualche anno - molte delle loro cattive abitudini e questo non fa molto bene sperare.

Al contrario vorrei, voglio cominciare - come ai vecchi si conviene - con alcuni ricordi legati ai miei primi tempi di pediatra. Il mio primo contatto con un bambino malato lo ebbi all’esame di Pediatria, all’ultimo anno nel normale corso di laurea in Medicina. Non avevo ancora deciso cosa avrei fatto in seguito. Il mio esaminatore fu il prof. Frontali, che a quel momento mi appariva come un anziano, calmo e sereno signore: dopo la prima fase dedicata a qualche domanda di alimentazione infantile, venne portato davanti a me un piccolino sul suo lettino. Ricordo benissimo (la memoria remota dei vecchi, si sa, è ben conservata) che il professore mi si rivolse con un: “E allora, vediamo un po’ di capire cosa ha questo bambino”. E ricordo che, dopo un istante di esitazione e di incertezza, io mi avviai a fare quello che si faceva negli adulti (il professore mi aveva letto dalla cartella clinica alcuni dati anamnestici, l’età, il tempo da cui era ricoverato, i motivi del ricovero e così via): l’esame obbiettivo. Stavo per mettere la mano sul piccolo quando improvvisa, perentoria come una frustata, mi arrivò la voce del professore: “Fermo!! Cosa fai??!!”. Bloccata la mano, balbettai: “Professore, comincio l’esame obbiettivo”. E ancora il professore: “Fermo! Prima, guardalo; guardalo bene; osservalo, e osservalo a lungo. Dicono che i bambini non parlano, ma se tu lo osserverai, e lo osserverai con attenzione, lui, a venti giorni, ti parlerà e ti dirà molto della sua malattia”. Questo invito mi venne in seguito ripetuto molte volte dal mio Maestro, Roberto Burgio: guardare per vedere, vedere e osservare per capire. Occhi e cervello insieme. Mi sono ricordato di questi antichi insegnamenti (quasi incredibilmente per me, tremebondo studentello, portato a poco a poco tante volte dal professore, arrivai a quella e ad altre diagnosi) quando, passati i 70 anni, cominciai a studiare storia dell’arte. Gli insegnamenti della Medicina avevano fatto abbastanza acuto il mio occhio, malgrado non avessi più la vista dei venti anni, e nei dipinti scovavo segni che i giovani che studiavano arte non vedevano. Cominciai a entusiasmarmi a questa nuova sensazione, come mi ero entusiasmato alla capacità comunicativa dei bambini; i quadri, a volte, parlano. A volte, bisogna anche confessarlo, noi medici si arriva a trovare nei dipinti anche quello che forse non c’è, sfiorando - lo vedremo - quel fenomeno, molto attuale nella Medicina moderna, della sovradiagnosi2. Cominciamo con qualche esempio. Il primo dipinto che mostro [44] è di un autore non molto noto, Jacometto Veneziano, un notevole miniatore della seconda metà del XV secolo che in alcuni ritratti mostra di conoscere bene Antonello da Messina e Giovanni Bellini. È il ritratto di una donna che però a un medico3 svela il mistero di alcune lettere che non si vedono nella diapositiva ma che sono presenti nel quadro; lettere che riportano un epigramma sulla vanitas della vita umana e femminile in particolare. Jacometto da miniatore e da conoscitore di Antonello evidenzia alcuni aspetti: innanzi tutto l’intenso eritema che si estende sul naso e sulle guance, ma risparmia le zone suborbitali. Ovviamente si potrebbe trattare di un belletto (il make up era molto usato a Venezia alla metà del ‘400), ma può anche far pensare a un rash a farfalla presente nel lupus; si potrebbe anche pensare, in alternativa, a una rosacea, ma ne mancano la vasodilatazione e la maculopapularità, mentre a favore del lupus depongono l’attacco posteriore dei capelli, dei quali si intravede un ciuffo, rossi tra l’altro. Un’altra possibilità diagnostica sembrerebbe una sifilide secondaria, ma la datazione del dipinto - intorno al 1470 - la esclude (la lue arrivò da noi in Europa intorno al 1490-’95).  Sempre a favore del lupus (una condizione descritta in Medicina solo nel 18503) depone il gonfiore perimandibolare e della palpebra destra, suggestivi per una infiammazione della parotide e della ghiandola lacrimale, che possono far pensare a una sindrome di Sjogren (presente in un terzo circa dei casi di lupus4, 5); e si nota anche una sorta di gozzo (una tiroidite autoimmune tipo Hashimoto si osserva in un terzo circa dei soggetti con lupus eritematoso sistemico e Sjogren5); e se volessimo ricercare un altro segno suggestivo della stessa situazione potremmo riferirci all’intenso rossore del padiglione auricolare e della punta del naso (una policondrite?). Oltre tutto, se oltre che medici fossimo anche sociologi, la sciarpa gialla, la mancanza di gioielli e il vestito lugubremente nero ci farebbe scoprire con molte probabilità il ritratto di una delle oltre 11mila prostitute che pagavano regolari tasse al Governo della Serenissima in quel tempo6. Come si vede, a volte anche un dipinto non molto noto, “parla” a chi ha orecchie per intenderlo.

Ma a volte, è la malattia che si manifesta nei quadri. Un esempio molto famoso è quello di Paul Klee (1879-1940) un artista difficilmente ascrivibile a una scuola o a un gruppo, ma i cui primi dipinti (ne mostro alcuni di prima della I guerra mondiale, connessi a un suo viaggio in Tunisia [53]) sono allegre macchie di colore che possono anche far pensare al primo Malevic o al fauvismo di Matisse; poi, Klee va in guerra, torna, viene chiamato da Walter Gropius a insegnare al Bauhaus, e sono anni sereni. Nel 1933 Hitler sale al potere e Klee viene subito - malgrado, nato in Svizzera, proclami la sua germanità - accusato di “arte degenerata”. Cacciato dai Musei tedeschi e dalla Scuola (che prima si trasferisce e poi viene chiusa) è costretto a spostarsi in Svizzera con la famiglia, dove vive per un po’ di tempo nella casa del padre e poi in un piccolo appartamento in affitto; tutti i suoi tentativi di vedersi riconosciuta la cittadinanza elvetica andranno a vuoto prima della sua morte. Che tutto questo provochi in lui quello che Hans Selye7 alcuni anni dopo definirà “stress” non è difficile da capire; un lavoro del 20088 ha messo in relazione proprio lo stress con la comparsa di quella che oggi si indica come sclerosi sistemica e che al tempo di Klee gli venne diagnosticata, dopo qualche esitazione, come sclerodermia. Già per la sua situazione di escluso dal suo ambiente Klee aveva prodotto alcune opere estremamente significative [50, 51], ma in poco tempo, poi, descrive in modo molto chiaro nei suoi dipinti la sua situazione, accennando alla sua rigidità [49] non solo come a quella di un prigioniero [52] o di un animale in gabbia [52], ma anche come a quella di un suonatore (Klee era stato un apprezzato violinista, qui il disegno ricorda una svastica) cui sia stato tolto il suo strumento[48]. Poco prima di morire Klee riassume la sua vita e il suo credo in “Fiori sulle rocce” [47]: una sorta di lichene fiorisce su un luminoso sfondo di strani segni simili a alghe; il fungo serve come un serbatoio di acqua e minerali che aiutano la crescita delle alghe le quali a loro volta forniscono al fungo gli elementi organici. Tutto nel mondo si aiuta, ognuno “serve” all’altro perché “serve” l’altro.

Una malattia che ha sempre molto attratto i pittori è la gotta, affezione un tempo diffusa tra Re, Regine, Papi9 e Vescovi, ma che appare anche oggi in aumento10 sia come incidenza sia come interesse medico; ne soffriva Carlo V [78], era molto diffusa in Inghilterra dove William Hogarth era un attento osservatore dei costumi del suo tempo; il suo dipinto [43] è di non molto posteriore al regno della Regina Anna, l’ultima regina d’Inghilterra della dinastia Stuart, detta “Brandy nan” (“nonna brandy”; Anna era nota anche come Anna l’ubriacona), affetta da gotta probabilmente proprio a causa di questa sua predilezione e come si vede ha anche sempre attirato l’interesse dei vignettisti [65, 79]. Più seriamente, di gotta soffriva Federico da Montefeltro [68, 69, 88] del quale non solo è nota una lettera autografa al suo medico Battiferro da Mercatello, del quale invoca l’arrivo in seguito ad un attacco del male, ma di cui Antonio Fornaciari ha11 nel 2000 pubblicato i risultati di uno scandaglio paleopatologico in cui è apparso il primo metatarso con una lesione litica circoscritta tipica proprio della gotta [33].

Tutti abbiamo, credo, ancora presenti le diatribe dei mesi scorsi sui vaccini anti CoVid-19. Honoré Daumier, anche lui molto attento alle condizioni sociali del suo Paese, aveva 22 anni quando a Parigi imperversò il colera che descrisse nei suoi tragici aspetti [22]; la malattia era diffusa anche a Londra e un altro osservatore, l’inglese Cruikshank si occupò di un’altra diatriba12 che anche allora, come ora, venne sollevata da alcuni gruppi: allora contro i medici [20], accusati di speculare sulle vaccinazioni e sulla epidemia, come durante la nostra pandemia contro le BigPharma. In un’altra illustrazione dello stesso Autore [21] si descrivono le conseguenze economiche dell’epidemia che portarono a Londra il 21 marzo del 1832 a una “Giornata dell’umiliazione e del digiuno”. Le fake news imperavano anche allora e si sparse la notizia che si sarebbe stati sepolti prima di essere veramente morti. Ne fa fede il dipinto di A.J. Wiertz [93] un pittore belga che proprio nel 1832 vinse il Gran Prix de Rome per la pittura.

Un elemento che sembra attirare molto i pittori è l’ingrossamento, il gonfiore della regione tiroidea. C’è un famoso disegno di Michelangelo in cui lui si ritrae mentre sta affrescando la volta della Sistina e al quale aggiunge un sonetto “caudato” in cui scrive che una qualche “ragion d’acqua” “a forza ‘l ventre appicca sotto il mento” e anche se l’interpretazione che si tratti un gozzo o comunque di un qualche ingrossamento tiroideo è stata criticata, esso resta come una possibilità13. Un ingrossamento della tiroide si nota anche nell’armigero che dorme nella “Risurrezione” [69a] di Piero della Francesca e in numerosi altri dipinti, tra cui la “Crocifissione di s. Andrea” [18a] di Caravaggio, “Giuditta e la servente” [35a] di Artemisia Gentileschi e la seconda versione de “Il seduttore” [64a] di Much, oltre che in una delle icone del Salvatore [12a] del monastero di S. Caterina al Sinai.

I più anziani di noi ricordano certamente la poliomielite, una malattia nota e raffigurata nei suoi drammatici esiti [1, 2, 3, 11] da sempre14. Nel 1948 gli Stati Uniti erano appena usciti dalla guerra, ma erano ancora immersi in una notevole epidemia di questa terribile affezione. Andrew Wyeth, un pittore che sarà molti anni dopo insignito di varie onorificenze, produsse un dipinto [94]: “Il mondo di Cristina” che divenne subito popolarissimo perché mostrava lo sforzo che il Paese, sotto la guida di Franklin Delano Roosevelt - anch’egli sofferente per anni delle conseguenze della polio15 - aveva compiuto per arrivare, benché menomato, sulla cima della collina (nel 2003, alcuni AA. emisero l’ipotesi che F.D. Roosevelt non abbia in realtà sofferto di poliomielite, ma di una sindrome di Guillain Barré16. Naturalmente questo non modifica il mio discorso. La vittoria su questa terribile malattia, come si sa, è dovuta al vaccino Salk e poi a quello Sabin. Jonas Salk sposò in seguito Françoise Gilot che era stata legata a Picasso.

Credo che tutti sappiano che Henri Toulouse Lautrec, il cui nome completo, da nobile, era Henri Marie Raymond de Toulouse-Lautrec Montfa, era un nano [92], ma (senza voler entrare nel complesso capitolo dei nanismi17) era certamente un nano “diverso”, per esempio, dal buffone Sebastian de Morra che era un classico nano acondroplasico [89] [Velazquez ne dipinge parecchi; e altri ne sono noti fin dall’antichità - come quello della tomba François a Vulci1819 [12] o il nano Seneb con la famiglia della necropoli di Giza [10]; o quelli che si trovano disegnati in molti musei18 [7, 8]; ma Velazquez mostra la sua vicinanza a questi poveri esseri costretti a essere la controfigura (il fou, l’ombra20) del Re nelle Corti del suo tempo, adottando vari stratagemmi, come il raffigurarli seduti, in modo da ridurre l’impatto della loro statura e addirittura chiudendo a pugno le loro mani, in modo da evitare di mostrare la mano a tridente, tipica dell’affezione]. Ma per tornare a Toulouse Lautrec (che tra l’altro accettava con triste ironia la sua condizione [85], qual era - con qualche probabilità - la sua malattia? Da piccolo appariva normale, ma a partire da una certa età, intorno all’adolescenza, non crebbe più in altezza; le sue gambe arrestarono il loro sviluppo. Le sue nonne erano sorelle; il padre e la madre erano quindi cugini; il fratello della madre sposa la sorella del padre; in questa certo anomala situazione familiare Toulouse Lautrec manifesta quella che in seguito verrà denominata, da Maroteau e Lamy nel 196221 e poi nel 196522, picnodisostosi, una condizione che oggi rientra nelle malattie da disfunzione genetica della massa ossea23; ed è in un certo senso interessante che Toulouse Lautrec abbia in molti suoi dipinti ricordato Jacques Renaudin, un personaggio che di giorno era un mercante di vini e di notte era un frequentatore abituale del Moulin Rouge [84]; lo si chiamava Valentin le désossé per la sua incredibile capacità di movimento per cui una quindicina di anni fa venne ipotizzato24 che fosse portatore della sindrome di Ehlers-Danlos, una condizione disfunzionale a carico del collageno caratterizzata da un aumento della elasticità e della fragilità della pelle, dalla ipermobilità e iperestensibilità articolare. Ma alcuni particolari, puntualmente evidenziati nella litografia di Toulouse Lautrec (la flessione del mignolo della mano destra; la deformità del pollice della stessa mano, a collo di cigno; il gonfiore delle articolazioni nella mano sinistra) possono anche far pensare ad altre condizioni, quali tra le altre (ma con molti dubbi), una artropatia reumatoide.

A proposito di artrite reumatoide (una condizione la cui prima descrizione medica viene riportata a Landré-Beauvais nel 180025), l’argomento se la malattia fosse presente fin dall’antichità, per esempio in Egitto2627 o nell’America precolombiana28, è molto discusso, ma, come a volte capita, l’occhio dell’artista ho colto molto prima di una definizione medica alcuni degli aspetti tipici dell’affezione. È questo il caso di Rubens che nelle “Tre Grazie” [80] evidenzia una deformazione delle dita e delle mani assolutamente indicativa; ma esistono, specie nella pittura fiamminga dell’epoca (e non solo), numerosi altri esempi del genere29 tanto che si pensa che le Fiandre possano essere state oggetto, all’inizio del XVI secolo, di quella che impropriamente è stata definita30 una “epidemia” di artrite reumatoide [77, 87]. Un caso particolare è quello dell’Imperatore di Oriente (1042-1055) Costantino IX, la cui immagine appare insieme a quella della moglie Zoe nel famoso mosaico di Santa Sofia [6]; nel mosaico le mani dell’Imperatore non mostrano segni dell’affezione, di cui però sembra proprio che invece soffrisse, per una magnifica descrizione clinica che ne dà il suo segretario, tale Michele Psello nella sua “Chronographia”31, una sorta di storia degli Imperatori di Costantinopoli (la descrizione è riportata nel mio: “Malattie di artisti”, Aracne ed. 2020, pag. 67-8). Il fatto che nel mosaico non appaiano segni di artrite nelle mani dell’imperatore si spiega abbastanza facilmente considerando che Costantino fu il terzo marito dell’Imperatrice Zoe e che nel mosaico il suo volto venne sostituito a quello del precedente, Michele V, del quale però rimasero le mani. Famosi e più recenti esempi di artisti affetti da artrite reumatoide sono Auguste Renoir32 (che malgrado la deformazione massiva delle mani - e non solo - continuò a dipingere per anni) e Raoul Dufy; quest’ultimo è addirittura famoso per essere stato uno dei primi malati trattati col cortisone33 (mostro due schizzi del Dufy [26] in corso di trattamento, che ne evidenziano gli strabilianti effetti).

Ovviamente, i difetti della vista sono ben presenti in molti dipinti. Ho già ricordato proprio qui alla Lancisiana, alcuni anni fa34, la prima raffigurazione degli occhiali, che si attribuisce a Tomaso da Modena [82] nella sua presentazione del Cardinale Hugo di Saint Cher nella sala del capitolo della chiesa di san Nicolò a Treviso, datato 1352; la prima raffigurazione degli occhiali al di là delle Alpi è quella che appare a Bad Wildungen [91] in Germania nell’altare della passione di Konrad von Soest, detto Maestro Conrad, riportabile al 1403; la miopia di Papa Leone X è dipinta da Raffaello [72], come quella di Samuel Johnson [76] lo è da Joshua Reynolds, a sua volta [75] portatore di occhiali e naturalmente si potrebbe continuare a lungo, come con l’unico disegno noto [25] che ritragga Degas con gli occhiali (che se ne vergognava non poco; aveva probabilmente una maculopatia che sfuggì ai mezzi diagnostici della sua epoca35). Il peggioramento delle condizioni di Degas (la cui malattia sarebbe cominciata, secondo quanto lui stesso asseriva, durante la guerra del 1870) è molto evidente in un confronto al computer che mostra lo stesso soggetto dipinto in tempi successivi e, in basso, appunto la ricostruzione al computer di come “vedeva” [24] il pittore35. Lo strabismo ha eccelsi rappresentanti, da Guercino (Francesco Barbieri) [56] e Rembrandt [73] fino al Davide di Michelangelo36 [60] al Fedra Inghirami [71] di Raffaello e a Durer e sua madre [28, 29], ma anche qui si potrebbe continuare; ma certamente più interessante è il caso di Domenico Theotokopoulos detto El Greco, che dipinge spesso, a partire da una certa età, figure estremamente allungate [30, 31, 32] per cui fin dal 1911 si è pensato37 che presentasse un astigmatismo, al punto che alcuni suoi dipinti sono stati fotografati con lenti correttive [32]. La discussione al riguardo è durata a lungo, ma la conclusione che sembra più adeguata è stata quella esposta da Marmor, l’oculista di Stanford, nella sua famosa Keeler Lecture del 201538: “Asserire che le figure allungate in un’opera d’arte implichino un errore da astigmatismo appare abbastanza assurdo se appena si pensa ai dipinti di Modigliani o alla sculture di Giacometti”; oltre tutto, nel caso di El Greco, egli mette nello stesso dipinto figure allungate e figure “normali” [30]. Resta il fatto che la quasi totale cecità di Monet nei suoi ultimi anni e specie prima dell’intervento di cataratta cui, obtorto collo, si sottopose, lo portarono a una pittura molto vicina [62] a quella - di oltre venti anni successiva - dell’espressionismo astratto di Jackson Pollock [70]. La cecità, il massimo dei difetti della vista, è ricordata in un celebre dipinto di Pieter Brueghel [18] ispirato alla parabola di Matteo 15, 14. Una cecità “indotta”, come quella che è ben nota e che abbiamo già ricordato, in Federico da Montefeltro è quella che viene indotta - diremmo - dal fuoco amico che colpisce [58] il Re di Samo, il tiranno Danno, invece che San Cristoforo cui era diretta (Mantegna, cappella Ovetari a Padova). La follia con i suoi misteri [14] - oggi interpretati, ma fino a un certo punto, in chiave biochimica - ha sempre attratto gli artisti: Bosch ne dà persino una versione scherzosa, direi molièriana prendendo in giro, come è suo costume non solo la furbizia truffaldina del falso cerusico [17] ma la dabbenaggine di chi a lui crede (un problema di tutti i tempi, da Di Bella a Vannoni); nel medio evo domina l’interpretazione demoniaca; non si può non ricordare la forse più celebre incisione di Durer [27] che assomma in sé i drammi sociali del momento in cui fu prodotta e che potrebbe essere l’emblema di molti degli stati d’animo associati al nostro “confinamento”; e i ritratti di “folli” che Géricault [36] ebbe il coraggio di mostrare in un momento in cui il romanticismo imperava in tutte le sue forme [si veda l’allucinazione che William Blake evoca nel suo Nabuccodonosor [15] e la follia per la morte dell’amato dipinta da Fussli [34] ma anche Goya dei “Caprichos” [39]; oltre tutto, Géricault nei suoi matti anticipa addirittura le teorie allora molto all’avanguardia di Dominique Esquirol39 e la sua idea delle monomanie; molto tempo è passato dalla “Nave dei folli” di Hieronimus Bosch [16], che però anch’essa si riferisce, in un certo senso, ad una monomania: una sorta di bulimia e di paura della fame si è infatti impossessata dei folli che animano il dipinto. Esquirol tentò di modificare i barbari trattamenti cui erano sottoposti i malati mentali del suo tempo, bene evidenziati nei dipinti di William Hogarth [42] e soprattutto di Goya [40]; trattamenti che ancora 70 anni fa furono in un certo senso premiati anche da un premio Nobel. La figura è tratta dal celebre film “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forma (1975), che faceva riferimento al Nobel per la Medicina assegnato nel 1949 a Antonio Egas Moniz per la “leucotomia prefrontale”. Filippo Stazi, un cardiologo colto, ha ricordato di recente40 un dipinto di George Tooker: “The ward” [83] che non è specificamente un dipinto psichiatrico, mostrando una normale corsia degli anni ’70 del ‘900, ma che “è un ospedale ma potrebbe essere un obitorio40. La sala anatomica è in realtà il luogo dove la diagnosi, l’atto medico per eccellenza, “trova la sua conferma o la sua smentita”, frase preferita di Gaetano Bompiani, anatomo-patologo alla Sapienza negli anni dei miei studi universitari. La più famosa nell’arte è “La lezione di anatomia del dottor Tulp” di Rembrandt [74] che al di là di quelli che sono stati indicati come degli “errori”41, 42, è il primo esempio in pittura di una anatomo fisiologia (Tulp fu uno dei primi scienziati a comprende il valore distintivo per homo sapiens della opposizione del pollice43) ed è anche il primo esempio (siamo nel tempo delle discussioni sulla verità della scienza innescate da Galilei) che mostra, tra molte altre cose, come la luce della conoscenza possa derivare non dall’alto (del passato o dai Cieli), ma (anche) dallo studio attuale di un corpo morto. Uno dei primi esempi di una “lezione di anatomia” sembra essere l’affresco ipogeo di via Dino Compagni a Roma [4] per il quale però alcuni archeologi danno altre interpretazioni. La morte della sala anatomica è il termine di un processo, la vita, che inizia con la nascita, la quale non è propriamente una malattia anche se introduce a un evento - la vita - che, a pensarci un po’, ha una letalità del 100%. Riporto tre dipinti relativi alla nascita, rispettivamente di un artista attuale, come Damien Hirst, famoso per le sue provocazioni [41] (Ciro è suo figlio); di una artista messicana (Frida Kahlo [46]); e dell’anonimo autore di una miniatura del 1300 circa [5]. Sempre ad un altro artista moderno, il belga Mischa Molyneux, si deve la raffigurazione di quel che presumibilmente deve essere percepito dal feto nel canale del parto [61]: come una sorta di uragano che lo spinge in un mondo completamente diverso da quello in cui fino a quel momento è vissuto. A mio giudizio, deliziosi i quadretti che l’Ebreo Moise Segal (divenuto poi Marc Chagall) dedica alle nascite nella sua cittadina di Vitebsk (un soggetto che ha ripetuto molte volte, variandolo [19]), mentre Gauguin trasporta a Tahiti (Dio è in ogni luogo) la natività di Gesù [35]. Il bambino fasciato è un altro soggetto estremamente comune come anche il bambino dato a balia [13]. Sul bambino malato - un soggetto che mi tocca molto da vicino per il mio passato - mi sono già intrattenuto pochi anni fa qui alla Lancisiana e quindi mi limiterò a far scorrere alcuni dipinti sul tema [23, 59] ma vorrei porre soprattutto l’accento - attualizzato dalla recente tragedia del Mottarone - sulle conseguenze drammatiche che la malattia e la morte degli adulti ripercuotono sui bambini, su cui ha posto l’attenzione Edward Munch [63]. Tra le tante malattie dei piccoli, ne ricordo qui una praticamente scomparsa (in Europa nel quinquennio 2011-2015 ne furono segnalati solo 65 casi44, nessuno in Italia, ma 14 in Francia e un egual numero in Germania) per un dipinto di Goya che ne mostra nel titolo (“El garrotillo”: la strangolatrice) la dimenticata drammaticità [38]. Terminerò con un cenno alla farmacologia: ho già fatto cenno agli asylum del passato; il mondo degli “agitati” cambiò profondamente con l’avvento negli anni ’50 dei primi neurolettici, quali la cloropromazina. Un artista americano, Jacob Lawrence che ne fece esperienza diretta ne mostra gli effetti [54, 55]. Nell’ ‘800 però, la droga principe era l’oppio e quindi la morfina [81], i cui effetti attirarono persino un giovane Picasso appena arrivato a Parigi [67]. Una abbondante letteratura45 si riferisce all’uso dell’oppio nell’antica Roma [9]: Germanico ne sarebbe morto avvelenato da Pisone forse con un coinvolgimento di Tiberio, di Agrippina e di Nerone e Marco Aurelio ne sarebbe addirittura divenuto dipendente. Ritornerei, per finire, ad esaminare attentamente un dipinto tra i più noti di Jan van Eyck, un autore fiammingo della prima metà del ‘400, molto importante per gli sviluppi che da lui si originano nell’arte italiana, specie del napoletano Colantonio e di Antonello da Messina; si tratta della “Madonna de canonico van der Pael” [86]: la tecnica fotominiaturistica dei fiamminghi permette di notare la prominenza delle arterie temporali di sinistra, con la contemporanea perdita di capelli nell’area circostante che appare anche con un aspetto cicatriziale, per il che si è pensato a una arterite temporale46 descritta da Horton solo nel 193247; il braccio sinistro del canonico, sia pure coperto dal suo mantello, appare gonfio e ha fatto pensare a una immobilizzazione di lunga durata per un dolore alla spalla, onde sempre lo stesso Autore ha ipotizzato - anche sulla scorta di documenti che indicano come sui 50 anni il canonico fosse impedito alla celebrazione della messa - una polimialgia reumatica; la associazione arterite temporale-polimialgia reumatica venne descritta solo nel 196448. Ma forse qui si tratta veramente di una sovradiagnosi; o no? Il bello, come nota Munch nel commento alle sue numerose versioni del suo più famoso dipinto [64], “è che per vero si vede con occhi diversi di volta in volta, al mattino vediamo le cose in un modo, alla sera in un altro e questo dipende dal nostro modo di essere: uno stesso soggetto viene quindi percepito in tanti modi differenti ed è questo che rende l’arte (e la Medicina, mi permetto di aggiungere io) tanto affascinanti” (A. Eggum: “Munch: la vita e le opere”, Jaca Book, 1985).

 

 

ELENCO DELLE FIGURE CITATE NEL TESTO
  Autore Titolo
[1] Anonimo “Wonder Why My Parents Didn't Give Me Salk Shots?" Manifesto per la campagna antipolio, 1957
[2] Anonimo Foto colta il 16 agosto 1955 presso l’Haynes Memorial Hospital di Boston
[3] Anonimo Illustrazione su vaso attico dalla tomba 432 di Cerveteri
[4] Anonimo Lezione di anatomia (?), Ipogeo di via Dino Compagni, Roma
[5] Anonimo Miniatura su pergamena, XIV sec., Biblioteca Nazionale, Parigi
[6] Anonimo Mosaico di Costantino IX e Zoe, Santa Sofia, Costantinopoli
[7] Anonimo Nana che danza. Museo del Bardo, Tunisi, da17
[8] Anonimo Nana che si ubriaca, Monaco Museo di arte antica, da17
[9] Anonimo Processione dell’Ara Pacis, 12 av. C. Roma
[10] Anonimo Seneb il nano e la sua famiglia, necropoli di Giza
[11] Anonimo Stele egizia delle XVIII dinastia, Ny Glyptotek Carlsberg, Copenhagen
[12] Anonimo Vel Saties col suo servo, Tomba François a Vulci
[12a] Anonimo Icona del Salvatore, VI sec., Monastero di s. Caterina, Sinai
[13] Barocci Federico (1530 c.-1612) Nascita di Federico da Urbino, 1605, da Wikipedia
[14] Battista di Biagio Sangugni (1393-1451) S. Antonio toglie i diavola da una ossessa, 1420 c. Edimburgo
[15] Blake William (1757-1827) Nabuccodonosor, 1795, stampa a colori
[16] Bosch Hieronimus La nave dei folli, 1494, Louvre (Parigi)
[17] Bosch Hieronimus (1453-1516) La pietra della follia, 1494, Prado (Madrid)
[18] Brueghel Pieter il Vecchio (1525 c. 1569) La parabola dei ciechi, 1568, Museo di Capodimonte (Napoli)
[18a] Caravaggio (1573-1610) Crocifissione di s. Andrea, 1607, Cleveland Museum
[19] Chagall Marc (1887-1985) La nascita, 1910, da Wikipedia
[20] Cruikshank Robert (1789-1856) A cholera doctor, illustrazione da Random Shots n.1, riferito da11
[21] Cruikshank Robert (1789-1856) A cholera doctor, illustrazione da Random Shots n.1, riferito da11
[22] Daumier Honoré (1808-1879) Némésis médicale illustrée. Vol. 1, a cura di François Fabre, Parigi, 1840
[23] De Ribera Josepe (1591-1652) Lo storpio, 1652, Louvre Parigi
[24] Degas Edgar (1834-1917) Alcuni pastelli al naturale e interpretati al computer, ricordato da35
[25] Desboutin Marcelin (1823-1902) Ritratto di Degas con gli occhialini, 1875 circa, da Wikipedia
[26] Dufy Raoul (1877-1953) Due schizzi per il dottor Homburger, ricordato da30
[27] Durer Albrecht Melencolia, 1514, incisione
[28] Durer Albrecht Ritratto a 14 anni, da Creative Commons
[29] Durer Albrecht (1471-1528) La madre anziana, 1514, disegno a carboncino, da Wikipedia
[30] El Greco I funerali del Conte di Orgaz, 1586, Toedo, chiesa di Santo Tomé
[31] El Greco San Gerolamo come studioso, 1610 circa, Met, New York
[32] El Greco (D. Thetokopoulos) (1541-1614) San Pietro e San Paolo, 1595 circa, Museo della Catalogna, Barcellona
[33] Fornaciari Antonio (1977-) Ricostruzione al computer del volto di Federico di Montefeltro, riferito da10
[34] Fussli Johan (1741-1825) La follia di Kate, 1806 c. Francoforte, Goethe Museum
[35] Gauguin Paul (1848-1903) Nascita di Cristo figlio di Dio, 1896, Neue Pinacothek, Monaco
[35a] Gentileschi Artemisia (1593-1656?) Giuditta e la servente, 1613, Museo di palazzo Pitti, Firenze
[36] Gericault Théodore (1791-1824) La pazza, 1822, Louvre (Parigi)
[37] Gossaert Jan detto Mabuse (1478-1532) I donatori, Bruxelles, ricordato in27
[38] Goya y Lucientes Francisco El garrotillo, 1810 c., collezione privata
[39] Goya y Lucientes Francisco Il sonno della ragione produce mostri. Capriccio n. 43, 1799 c. incisione
[40] Goya y Lucientes Francisco (1746-1828) La sala dei lunatici, 1792, Meadows Museum, Dallas
[41] Hirsch Damien (1965-) La nascita di Ciro, 2005, coll. privata
[42] Hogarth William (1696-1764) Il manicomio di Bedlam, 1733, stampa
[43] Hogarth William Il contratto di matrimonio, 1774, National Gallery, (Londra)
[44] Jacometto Veneziano (attivo fine XIV sec.) Ritratto di Signora, 1472 circa, Philadelphia Museum of Arts
[45] Jordaens Jacob (1593-1678) La famiglia del pittore, Prado, Madrid, ricordato in27
[46] Kahlo Frida (1907)-(1954) La mia nascita, 1932, Museo Dolores Patino, Città del Messico
[47] Klee Paul Fiori sulle rocce, 1940
[48] Klee Paul Il timpanista, 1940; Bell angel, 1940 (disegni a matita)
[49] Klee Paul Improvvisamente rigido, 1940, disegno a matita
[50] Klee Paul L’uomo marchiato, 1935; Cancellato dalla lista, 1936
[51] Klee Paul Maschera di dolore, 1938
[52] Klee Paul Prigioniero, 1940; Il fuoco e la morte, 1940; Animali in gabbia, 1940
[53] Klee Paul (1879-1940) Motivo ad Hammamet, 1914; St. Germain presso Tunisi, 1914 (acquerelli)
[54] Lawrence Jacob Depression, 1950 Whitney Museum, New York
[55] Lawrence Jacob (1917-2000) Sedation, 1957, MOMA, New York
[56] Leoni Ottavio (1578-1630) Ritratto di Francesco Barbieri detto il Guercino, 1623, bulino
[57] Malevic Kasimir (1878-1935) Mietitori, 1910, coll. privata
[58] Mantegna Andrea (1431-1506) Il martirio di San Cristoforo, Padova, chiesa degli Eremitani
[59] Metsu Gabriel (1629-1667) La bambina malata, 1665, Amsterdam
[60] Michelangelo Buonarroti (1472-1564) David, 1503 circa, galleria dell’Accademia, Firenze
[61] Molineux Mischa (?-?) Just before birth, 1998, sede non conosciuta
[62] Monet Claude (1840-1926) Il ponte a Giverny, 1922, ricordato da34
[63] Munch Edvard La morte della mamma, 1899, Brema
[64] Munch Edvard (1863-1944) L’urlo, 1893, Galleria Nazionale, Oslo
[64a] Munch Edvard Il seduttore, 1913, Oslo
[65] Parks Tom (Larry) (?-?) Vespa per gottosi, illustrazione sul Punch, 16 ott 1957 riferito da8
[66] Pedro Berruguete (1450-1504) Ritratto di Federico da Montefeltro e di suo figlio Guidobaldo, 1466 circa, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino
[67] Picasso Pablo (1881-1973) Le morfinomani, 1890, da Wikipedia
[68] Piero della Francesca Doppio ritratto dei Duchi di Montefeltro, 1470 circa, Uffizi, Firenze
[69] Piero della Francesca (1406?-1492) Pala di Brera, 1472 circa, Pinacoteca di Milano
[69a] Piero della Francesca Risurrezione, Museo di Sansepolcro
[70] Pollock Jackson (1912-1956) Composizione n. 5, 1948, coll. privata
[71] Raffaello Ritratto di Tommaso Inghirami detto Fedra, 1510 circa, palazzo Pitti (Firenze)
[72] Raffaello (1483-1520) Papa Leone X con due cardinali, 1517-’18, Uffizi (Firenze)
[73] Rembrandt Autoritratto con camicia, 1640, National Gallery (Londra)
[74] Rembrandt (1606-1669) La lezione di anatomia del Dr. Tulp, 1632, Mauritshuis, L’Aia
[75] Reynolds Joshua Autoritratto, 1780 circa, da Wikipedia
[76] Reynolds Joshua (1723-1792) Ritratto di Samuel Johnson, 1775 circa, da Wikipedia
[77] Romoauts Jan (1480 c.- 1535) Cristo appare a Pietro, Lovanio, ricordato in27
[78] Rosales y Gallinas, Eduardo (1836-1873) Presentazione a Carlo V di don Giovanni d’Austria, 1868, Prado (Madrid)
[79] Rowlandson Thomas (1756-1827) Il conforto del gottoso, 1785, stampa a colori
[80] Rubens Peter Paul (1577-1640) Le tre grazie, 1638, Prado (Madrid)
[81] Rusinol Y Prats Santiago (1861-1931) La morfina, 1894, Museu Cap Ferrat
[82] Tomaso da Modena (1326-1379) Il cardinale Hugo di St. Cher, 1352, Treviso, chiesa di san Nicolò ricordato in31
[83] Toocker Georges (1920-2010) Ward, 1970, Crystal Bridges Museum of American Art, Bentonville, Arkansas
[84] Toulouse-Lautrec Henri Le moulin rouge, 1891, manifesto
[85] Toulouse-Lautrec Henri (1864-1901) Caricature da “Le rire”, da: Mostra al museo della Satira a Villa Bertelli, Forte dei Marmi
[86] Van Eyck Jan Madonna del canonico van der Pael, 1430 c., Museo Groeninge, Bruges
[87] Van Eyck Jan (1390-1441) Giovanni IV Duca di Brabante, Rotterdam, ricordato in27
[88] Van Ghent Joos (Giusto di Gand) (1430-1480) Federico da Montefeltro, Urbino, ricordato in27
[89] Velázquez Diego (1599-1660) Ritratto di Sebastian de la Morra, 1644, Prado (Madrid)
[90] Vibert Jean Georges (1840-1902) La gotta, 1890 da Wikipedia
[91] Von Soest Konrad (1370-1422) Altare della passione, 1403, Bad Wildungen
[92] Vuillard Edouard (1868-1940) Henri de Toulouse-Lautrec à Villeneuve sur Yonne, 1898, Museo di Albi
[93] Wiertz Antoine-Joseph (1806-1865) L’inhumation precipitée, 1854, Museo Wiertz, Bruxelles
[94] Wyeth Andrew (1917-2009) Il mondo di Cristina, 1948, Museum of modern art, New York

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