Anno Accademico 2020-2021

Vol. 65, n° 2, Aprile - Giugno 2021

Conferenza: COVID-19. Identikit di un virus

16 marzo 2021

Copertina Atti Secondo trimestre 2021 più grande.jpg

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COVID-19. Identikit di un virus

F. Belli

Premessa

Uno dei libri di divulgazione scientifica di maggior successo, negli ultimi anni, è stato “Spillover”, di David Quammen, edito in Italia nel 2014 da Adelphi1; il ponderoso ma scorrevole volume pone come premessa una realtà con la quale oggi, e ancor più in futuro, dobbiamo e dovremo convivere: “…quando un patogeno fa il salto da un animale ad un essere umano (spillover) e si radica nel nuovo organismo come agente infettivo, in grado talvolta di causare malattia o morte, siamo in presenza di una zoonosi…”. Filo conduttore trasversale di tutta l’opera è l’impatto umano sugli ecosistemi, i disastri provocati e i conseguenti eventi epi-pandemici.

Le maggiori zoonosi a cavallo fra i due millenni sono state:

− 1994: virus Hendra, Australia*

− 1997: virus H5N1, “aviaria”, dalla Cina

− 1998: virus Nypah, Malaysia*

− 2002: virus SARS-Cov-1, Cina*

− 2009: virus S-OIV H1N1, “suina”, dal Messico

− 2012: virus MERS-Cov, Arabia Saudita*

− …1976…..2014….: Ebolavirus, Africa centrale*.

Oggi siamo in piena emergenza globale per la pandemia da SARS-Cov-2, responsabile della malattia denominata dall’OMS “Covid-19”, esordita in Cina nell’ultimo quadrimestre del 2019 e diffusasi rapidamente in tutto il mondo*.

Con l’asterisco * abbiamo indicato le infezioni i cui agenti patogeni trovano nei pipistrelli il proprio reservoir. SARS-CoV-1/2 e MERS sono causate da Coronavirus: ospiti intermedi sono stati la civetta delle palme (viverride) per SARS-CoV-1, il dromedario per la MERS, mentre in SARS-CoV-2 sono stati indicati diversi animali, il pangolino, in particolare, ma non vi è una evidenza assoluta che ponga una parola definitiva sulla catena di trasmissione del nuovo Coronavirus2.

Prima di proseguire nella nostra trattazione, è opportuno richiamare l’attenzione sulla pubblicistica, specializzata e non, in tema di Covid-19: da Gennaio ad Agosto 2020 sulle riviste scientifiche indicizzate sono stati pubblicati 50.600 articoli, saliti a 88.000 a Dicembre 2020 e a 107.500 a Febbraio 2021. Pubblicazioni e articoli sulla stampa generica e riviste non specializzate non sono quantizzabili. Come ha affermato J. Brainard su “Science”, 20203: “…stiamo affogando in un oceano di articoli su Covid-19!...”. Pertanto, aggiornarsi, informare e formare diventa impresa ardua; districarsi nelle migliaia di articoli quali e quantitativamente eccessivi e disomogenei, praticamente impossibile. Lo stesso Brainard e altri revisori di prestigiose riviste hanno individuato diverse questioni, al di là dei problemi di volume e quantità: numerosi articoli si occupano di argomenti di scarso rilievo, le procedure sperimentali talora non sono ortodosse e validate, le statistiche non significative, i risultati, oggi preliminarmente presentati sui social, spesso opposti e contrastanti, la scrittura affrettata. Tutto questo accomuna la maggioranza delle riviste, da quelle storiche a diffusione globale, a quelle locali e poco conosciute. È stato coniato un termine che ben riassume la situazione: INFODEMIA, ovvero pletora di informazioni e disinformazioni. JMIR, Public Health Surveillance giunge ad un’amara conclusione: “Misinformation of Covid-19 on the Internet has a risk to public health”4.


Ecologia

L’impatto umano sul pianeta, in questo inizio di millennio, si sta rivelando devastante con crescita esponenziale dei danni arrecati, soprattutto in aree critiche per la salute della terra, quali le grandi foreste pluviali, prevalenti nelle regioni tropicali ed equatoriali, riserve di ossigeno e biodiversità; deforestazione, costruzione illimitata di strade, dighe e altre infrastrutture, bonifiche estese e sfruttamento del territorio per uso agricolo, determinano, tra le conseguenze più drammatiche, contatti più numerosi e ravvicinati fra umani e animali domestici e d’allevamento, da una parte, e fauna selvatica, dall’altra, anche in zone finora inaccessibili. I contatti possono pertanto avvenire anche con specie animali potenzialmente pericolose e vettrici di patogeni (pipistrelli, uccelli, roditori). Tutto questo, insieme ai cambiamenti climatici, innesca una miscela esplosiva e talora incontrollabile anche dal punto di vista sanitario: dobbiamo imparare a convivere con nuove malattie e conoscere una fauna vettrice di patogeni finora aliena dalla nostra preparazione medico-scientifica. Baric R e coll (“Nature”, 2015), avevano richiamato l’attenzione, inascoltati, di un possibile nuovo spillover di Coronavirus e Cov2-like5.

Teoricamente, esiste la possibilità di uno “spillover di/da laboratorio”: la manipolazione off-control di virus in laboratorio, anche aumentandone virulenza e infettività, pone stringenti questioni di procedure, verifiche, sicurezza, nonché etiche ed ecologiche; basti pensare, come esempio, alle mutazioni genetiche indotte sulle zanzare vettrici della malaria e possibilità di liberare nell’ambiente esemplari modificati, sterili o non infettanti. Nel caso di SARS-CoV-2, il suo genoma, in base ai report di autorità ispettive cinesi e internazionali, non corrisponderebbe a quello di nessun Coronavirus già identificato, sequenziato e conservato nei laboratori di Wuhan6.

Lo studio degli alberi filogenetici dei virus e degli animali evidenzia che le zoonosi sono antichissime: le prime dimostrate risalgono a 10.000 anni fa, agli albori del Neolitico, quando l’uomo ha iniziato a praticare allevamento e agricoltura e a modificare sensibilmente l’ambiente in cui viveva e lavorava.

Oggi e ancor più domani, nella prevenzione e nella sorveglianza contro le infezioni zoonotiche, particolare attenzione deve essere rivolta ad alcuni gruppi di animali, soprattutto gli uccelli selvatici, i roditori e i chirotteri: questi due ultimi ordini sono sempre più implicati quali serbatoi di numerosi microrganismi patogeni e nella loro trasmissione, diretta o indiretta, ad altri animali e all’uomo. Lo spillover è frequente dai roditori, molti dei quali convivono con l’uomo e dai pipistrelli, dotati di un sistema immunitario particolarmente efficiente7. Fondamentale è la biodiversità della fauna in ogni area geografica: vi è un rapporto di proporzionalità diretta fra numero di specie in cui alcuni ordini (roditori, chirotteri) si suddividono, e tipi di microrganismi, specie virus, anche patogeni, da queste ospitate e trasmesse mediante spillover. Roditori e chirotteri rispondono a queste caratteristiche e possono generare numerose nuove infezioni emergenti8.

Spillover e zoonosi stanno aumentando, e aumenteranno sempre più, per molteplici cause e fattori, interconnessi, legati al (pessimo) impatto dell’uomo sull’ambiente, inteso come un insieme di ecosistemi, molti dei quali fragili e delicati, ognuno con una fauna e una flora specifiche e spesso irripetibili9. I punti salienti sono:

  • Distruzione di habitat naturali, sovvertendo la fauna e provocandone la migrazione verso aree urbane e peri-urbane.
  • Caccia (illegale), commercio, macellazione e consumo di carne da fauna selvatica.
  • Persistenza, specie in Asia, di abitudini e norme negli allevamenti e nei mercati che determinano pessime condizioni igieniche: contatti fra animali allevati, domestici e selvatici, potenziali “reservoir” di patogeni; allevamenti intensivi; consuetudine a vendere animali vivi e non carni già macellate e confezionate; consumo di carni di animali esotici e inconsueti; assenza di controlli.
  • Ulteriori fattori aggravanti sono: maggior densità di popolazione, strutture sanitarie deficitarie, crescita economica incontrollata, sostituzione di foreste e altre zone “vergini” con una forte presenza umana e con le sue attività, agricole e industriali, numero crescente di viaggiatori e turisti in aree “esotiche”, a rischio sanitario e infettivo.

Un compendio di tutto quanto ora illustrato, si è avuto in Cina per la costruzione della “Diga delle tre Gole”, nella provincia di Hubei, la seconda al mondo per dimensioni e portata d’acqua; fino al 2008, sono stati sommersi più di 1300 siti archeologici, 13 città, 140 paesi e 1352 villaggi, il che ha comportato il trasferimento obbligato di circa 1,4 milioni di abitanti10. Le autorità cinesi prevedono il trasferimento di almeno altri quattro milioni di persone dalla zona delle Tre Gole entro il 2023.  Molte specie animali e vegetali sono scomparse o scompariranno a causa della distruzione degli habitat in cui vivono a causa dell'inquinamento provocato dalle industrie locali e dall'eccessivo traffico di navi, che percorrono l’immenso lago creatosi. Miliardi di volatili (uccelli, chirotteri) sono fuggiti, specie a est, in direzione di Wuhan, che dista poche centinaia di Km, occupando nuovi habitat urbani11.

Lo spillover non è un evento spontaneo in natura: serve la mano dell’uomo, ed è la conseguenza di un’interazione incongrua fra noi e la fauna selvatica.

I pipistrelli sono fra gli animali che ospitano la maggior diversità virale, talora ad alta carica infettante, ma, soprattutto, presentano tre caratteristiche fondamentali: le specie, oltre 1400, possono interagire frequentemente con i virus, generando di continuo varianti fra le quali nuovi e sconosciuti patogeni per l’uomo; vivono in gruppi numerosi e promiscui, passandosi fra loro virus e favorendone mutazioni genetiche trasmissibili nelle generazioni; si spostano in gruppi su lunghe distanze. I pipistrelli hanno un sistema immunitario innato che neutralizza efficacemente eventuali reazioni infiammatorie, compresa la cosidetta “cytokine storm”, l’azione di radicali liberi, il danneggiamento del proprio DNA, l’effetto citolesivo dei virus ospitati. Pertanto possono albergare numerosi virus (e trasmetterli anche ad altre specie), senza ammalarsi. Non dobbiamo dimenticare gli effetti positivi di questi animali negli ecosistemi: sono insettivori, garantendo in agricoltura un grande risparmio in termini di pesticidi (23 miliardi di dollari l’anno negli USA!). È stato stimato che mammiferi e uccelli ospitano 1.600.000 specie virali sconosciute, il 43% delle quali avrebbe le prerogative di innescare una zoonosi nell’uomo.

Già vent’anni fa fu dimostrato che non solo il “ferro di cavallo, Rhinolophus”, ma anche altre specie di pipistrelli sono un reservoir di centinaia di specie geneticamente diverse di Coronavirus, molti innocui, ma alcuni capaci di infettare le cellule polmonari di altri animali e dell’uomo con effetto citolesivo12; ogni specie di chirotteri può ospitare diversi tipi virali e divenire un’incubatrice genetica per ulteriori, nuove specie di virus: tra questi, sono apparsi i responsabili di SARS-CoV1/2 e MERS. I pipistrelli vivono non solo nelle grotte, ma anche nelle miniere: i minatori della Cina centro-meridionale sono, da anni, frequentemente colpiti da imprecisate infezioni polmonari, che possono trasmettere agli abitanti dei villaggi limitrofi.

La costante e frequente mescolanza genetica di virus diversi determina un’imprevedibile e casuale origine di nuovi agenti patogeni. Riassortimenti, riarrangiamenti, mutazioni sono alla base di specie virali nuove, verso le quali l’uomo e altri animali non sono immuni: si verificano le condizioni per un evento pandemico, proprio come già osservato per i virus influenzali. Il monitoraggio genetico ha evidenziato ripetuti, numerosi spillover verso l’uomo, diretti o tramite ospiti intermedi.

Il genoma di SARS-CoV-2 corrisponde per il 96% a quello di Coronavirus “wild” già da tempo identificati in Rhinolophus; sembra che il suo passaggio dai pipistrelli (o altro ospite intermedio) all’uomo sia avvenuto in un unico evento, seguito da una ripetuta e sostanziosa trasmissione interumana. Per quanto riguarda gli ospiti intermedi, come detto sopra, quelli o quello coinvolto nell’infezione da SARS-CoV-2 rimane tuttora incerto: pangolini, zibetti, suini, pipistrelli di altre specie, tassi, rettili, primati non umani sono i più sospettati.

Riguardo l’eccezionalità del sistema immunitario dei chirotteri, lo studio e il confronto dei genomi di più specie, in particolare le sequenze geniche implicate nell’immunità innata, rivelano un doppio adattamento. Nei pipistrelli è inattiva una decina di geni, che negli altri mammiferi promuove la risposta infiammatoria per combattere le infezioni (talvolta eccessive e dannose, come in certi casi di SARS-CoV-2); in compenso però questi animali hanno copie aggiuntive e varianti inedite di alcuni geni antivirali, che possono spiegare la tolleranza ai virus. Il genoma contiene numerosi residui di DNA virali, integratisi durante passate infezioni, che testimoniano gli abbondanti contatti con i virus: nella loro storia i pipistrelli sembrano aver subito più infezioni virali di ogni altro gruppo di mammiferi, anche da parte di specie che finora si credevano esclusive degli uccelli13.  Questi studi potrebbero aiutarci a capire come mai i pipistrelli tollerano così bene i Coronavirus, e forse a trovare soluzioni per conviverci meglio anche noi.

Monitoraggio e sorveglianza degli hot-spot, le aree da cui potrebbero originare nuovi spillover, si avvalgono di modelli predittivi e una serie di indicatori: ambientali, antropici, genetici, climatici, faunistici. I parametri considerati sono: distribuzione di mammiferi, copertura della foresta e deforestazione, densità della popolazione umana, occasioni di contatto fra uomo e animali selvatici (migratori) e consumo alimentare di questi ultimi, variazioni climatiche, densità delle aree coltivate e adibite a pascolo14.

Fra il 2015 e il 2017 venne segnalata hot-spot la provincia cinese di Hubei e le aree attorno alla città di Wuhan. La maggior concentrazione di aree a rischio è nelle regioni tropicali, anche per la notevole biodiversità della fauna selvatica.

Ma il parametro più importante da monitorare, per ora solo raramente eseguito, è l’evoluzione genetica di un virus: comincia ad occuparsene una collaborazione internazionale, il “Global Virome Project”; è stato delineato un programma (“Predict/Usaid”), con l’obiettivo di scoprire nuovi virus e sorvegliare quelli noti, attuandolo “a bocce ferme”, con finalità preventive, per fornire dati e informazioni prima che origini uno spillover e possa scatenarsi una pandemia15. Ma molti spillover avvengono (apparentemente?) per caso o ci sfuggono le vere motivazioni e responsabilità umane.


Come SARS-CoV-2 si è diffuso nel mondo. Dal Paziente 1 a Wuhan alla Pandemia globale

La storia evolutiva del virus, l’indagine del genoma, le differenze e le mutazioni occorse fra ceppi, nelle diverse aree geografiche del mondo, contribuiscono a ricostruire i percorsi della sua diffusione globale, da dove è partito e quando è giunto in una determinata località, dunque tempi e itinerari del contagio. A oggi possiamo affermare quanto segue:
-   In Cina è avvenuto lo spillover da una specie animale (verosimilmente un pipistrello) all’uomo, direttamente o tramite altre specie animali diverse e ancora non ben identificate.
-   In Cina sono avvenuti i primi contagi interumani.
-   Dalla Cina il virus si è diffuso in altre parti del mondo tramite viaggiatori infetti16.
-   Con il passare del tempo, specie dopo Marzo 2020, il numero delle mutazioni è diminuito.
-   La pandemia è stata generata e implementata dai contatti umani, non da mutazioni ripetute di un virus “wild”: il che lascia supporre che poteva forse essere meglio contenuta adottando determinate misure prima e diffusamente, a iniziare dalla stessa Cina (test a tappeto, distanziamento sociale, adozione di barriere, limitazione o proibizione dei viaggi17).

In base a indagini epidemiologiche retrospettive e ad alcune mutazioni fatte risalire all’ autunno 2019, in Cina l’infezione (paziente 1), sarebbe iniziata tra il 9 Ottobre e il 20 Dicembre, prima di quanto fu segnalato in seguito (il 31 Dicembre, le Autorità Sanitarie comunicarono la presenza di un focolaio a Wuhan di polmonite febbrile da agente sconosciuto18). Tra il 1 e il 21 Dicembre 2019 in Cina il virus si stava già diffondendo nella provincia di Hubei e nella città di Wuhan, per cui era lecito sin da allora parlare di epidemia: questo è quanto dicono alcune mutazioni rilevate sin dal 10 Dicembre19. Il 9 Gennaio 2020 il CDC cinese comunica che l’agente patogeno è stato isolato e identificato in un nuovo Coronavirus, del quale è resa pubblica la sequenza genomica e l’11 Febbraio l’OMS ne annuncia l’inquadramento tassonomico: SARS-CoV-2 e chiama la nuova malattia Covid-19. Il 30 gennaio 2020 l’OMS dichiara che questa epidemia rappresenta un’emergenza internazionale di salute pubblica.

E poi….: Febbraio/Marzo, rilevazione dei primi casi di Covid-19 “out of China”, la cui diffusione probabilmente era iniziata alcune settimane prima; 8 Marzo: inizio Lockdown in Italia; 11 Marzo: l’OMS dichiara pandemia la nuova infezione da SARS-CoV-2.

Infine, riportiamo alcune situazioni ormai dimostrate di come il virus si è diffuso tra l’inverno e la primavera 2020, in quella che definiamo (e come tale passerà alla storia) come “prima ondata”.  In Italia l’epidemia che ha colpito il nord del paese è iniziata da 2/3 contagi diversi, in Lombardia e Veneto20. Negli USA sono entrate diverse varianti virali in momenti differenti, anche nell’ambito di un singolo stato, dunque portatori molteplici. Solo nello stato di Washington l’epidemia sarebbe da ricondurre ad un’unica variante virale. Comunque SARS-CoV-2 sarebbe giunto in Italia, mediante viaggiatori infettatisi in Asia, almeno due settimane prima che in America. Nella nave da crociera “Grand Princess”, sono state rilevate ben 9 varianti virali tra passeggeri ed equipaggio, ma tutte originate da un unico ceppo portato sulla nave da un crocierista americano. In Iran, sembra che diverse varianti siano giunte nel paese da USA, Gran Bretagna e Australia21.


Origine e struttura di SARS-CoV-2

Il nuovo Coronavirus responsabile della malattia COVID-19 è stato tassonomicamente inquadrato nella famiglia Coronaviridae, sottofamiglia Orthocoronavirinae, genere Betacoronavirus, sottogenere Betacoronavirus Sarbecovirus22.

È un virus a filamento positivo unico a RNA, tra i più grandi finora identificati (Fig. 1): le sue dimensioni e la complessità della struttura, che ora illustreremo brevemente, dovrebbero porre fine a polemiche e illazioni sul presunto allestimento di SARS-CoV-2 in laboratorio, a fronte di un’origine naturale; oggi non siamo ancora in grado di costruire virus minori e più semplici, come ad esempio  i Rhinovirus, pertanto in vitro la genesi sintetica di un Coronavirus sfugge ancora alle nostre conoscenze e capacità tecnologiche. Purtroppo i mass-media, involontariamente (o no?) fanno disinformazione scientifica, scambiando il sequenziamento o l’editing genetico per la creazione ex novo di una struttura complessa.

 

Fig. 1: Dimensioni dei principali virus a RNA: numero di basi. COVID-19: 29.891/903. Ebola: 19.000. Influenza: 13.500. Zika: 11.000. HIV: 9.200. Rhinovirus: 8.000.

 

Le dimensioni favoriscono, durante la replicazione, il verificarsi di errori di copia e mutazioni, ma SARS-CoV-2 possiede meccanismi di correzione-copie ed eliminazione di quelle difettose, assai frequenti nei virus a DNA ma insoliti in quelli a RNA. Dopo che la polimerasi RdRp ha agito per replicare l’RNA virale, l’enzima esonucleasi (ExoN) trova errori puntiformi e mutazioni casuali e li elimina dal nuovo filamento; è un meccanismo di correzione che posseggono solo i virus grandi >20.000 basi.

Vi sono 6 geni accessori, ORF3a/6/7a/7b/8/10: tuttora piuttosto oscuri, forse sono la chiave per spiegare l’elusione del virus nei confronti del sistema immunitario dell’ospite23.

Proteine strutturali. Sono essenziali per l’assemblaggio dei virioni e l’infettività delle particelle virali. Ricordiamo:
-   S (Spike protein): è il fattore principale del tropismo del virus e del legame con le cellule infettate;
-   M (Membrane protein): ha 3 domains transmembrana, modella i virioni, favorisce la curvatura della membrana e si lega al nucleocapside;
-   E (Envelope protein): fondamentale per l’assemblaggio del virus e per il rilascio delle particelle virali;
-   N (Nucleocapsid protein): ha 2 domains che legano l’RNA mediante meccanismi differenti e nsp3, impacchettando il genoma incapsidato ai virioni. È anche un antagonista di interferon e un repressore del sistema di “interferenza virale”, con ottimizzazione della replicazione del virus.

Proteine non strutturali. 1-16, sono importanti nella replicazione e nel bloccare la risposta dell’immunità innata dell’ospite. Alcune di queste proteine, nsp1-2-3-5-16, come è stato chiaramente dimostrato, sono sicuramente implicate nei sistemi di immunoevasione del virus, che illustreremo più avanti nei meccanismi molecolari; in particolare, fondamentale è nsp3, che, in tutti i Coronavirus, inibisce la cascata di segnali che portano alla sintesi e/o all’attivazione degli Interferon tipo I e III, blocca la risposta immunitaria innata promuovendo la lisi cellulare e impedendo la traslazione dell’RNA dell’ospite, favorisce l’espressione di citochine proinfiammatorie e il clivaggio pre-attivazione delle poliproteine virali. In tutto questo, nsp3 SARS-CoV-2 si mostra più efficiente rispetto a SARS-CoV-1 e MERS24.

Origine ed evoluzione. L’analisi genomica del virus dimostra una identità del 96% dei nucleotidi con un CoV isolato dai pipistrelli: BetaCoV/RaTG13/201325. Fra i pipistrelli, diverse specie dei Rhinolophus (ferro di cavallo) nel sud della Cina, sono un ricco reservoir di Cov-like-SARS, tra i quali il sub-genere Sarbecovirus: questi presentano una notevole variabilità genetica e frequenti episodi di ricombinazione, che possono incrementare le possibilità di trasmissione fra più specie anche di nuove varianti. È stata ricostruita la storia evolutiva del cluster cui appartiene il responsabile della pandemia attuale. In base alle analisi delle ricombinazioni e agli alberi filogenetici, abbiamo trovato che SARS-CoV-2 condivide un antenato comune (MRCA) con BetaCoV/RaTG13/2013, poiché entrambi i virus appartengono allo stesso cluster. Il cluster suddetto può essere l’esito di una evoluzione convergente o di complessi eventi di ricombinazione che hanno coinvolto almeno due specie virali con differenti storie evolutive. I due segmenti esterni del genoma di questo cluster virale, i cui nucleotidi vanno da 1 a 13521 e da 23687 a 30079, sono simili a quelli di bat-SL-CoVZC45 e bat-SL-CoVZXC2126, isolati in forme respiratorie SARS-like. Il primo segmento include ORF1a, il secondo la parte C terminale della proteina S, ORF3, E, M, ORF6, ORF7a, N, ORF10. Questi aspetti sono anche supportati dalla ricostruzione degli alberi filogenetici, in base ai quali i due segmenti esterni sono propri dei Sarbecovirus. Il segmento centrale (nucleotidi da 13522 a 23686) del genoma di SARS-CoV-2 e RaTG13 non appartiene ai cluster dei Sarbecovirus: forma invece un nuovo branch nell’albero filogenetico, localizzato tra i Sarbecovirus e Coronavirus non classificati. Inoltre, BRD della proteina S di questi 2 genomi condivide una similitudine di sequenza molto bassa. La divergenza indica una possibile fonte alternativa per la sequenza che codifica BRD nel nuovo virus27. Sono infine state trovate sequenze CoV nel pangolino con similitudine dall’83 al 92% a quelle di SARS-CoV-2: questo lascia supporre che il pangolino sia (uno) dei possibili ospiti intermedi. Diviene pertanto indispensabile il monitoraggio e la sorveglianza virologica nei pipistrelli e altri animali selvatici.

Gli alberi filogenetici, comprese le sequenze della proteina Spike e mutazioni occorse, mostrano una forte similitudine tra i campioni isolati dall’uomo, indicando così una variazione genetica assai contenuta, che è un evento inaspettato nell’evoluzione dei virus a RNA28. Tutto questo potrebbe essere la conseguenza di possedere, questi virus, lo stesso MRCA e di essere emersi recentemente. Studi ulteriori dimostrano che la fonte virale dello spillover è stata assai concentrata e persino limitata ad un singolo evento. Infine, la forte uguaglianza nelle sequenze provenienti da più isolati umani, indica una introduzione recente nella nostra specie. Si conferma inoltre come Wuhan sia stata l’epicentro dell’iniziale pandemia e non ci sono altre dimostrazioni convalidate di ulteriori fonti e origini di SARS-CoV-2.

Caratteristiche dell’infezione. I pipistrelli sono verosimilmente gli ospiti naturali e il reservoir d’origine di SARS-CoV-2, che in seguito ha avuto un passaggio evolutivo di adattamento in ospiti intermedi, prima di infettare l’uomo, quale fonte concentrata di trasmissione. Il rapporto filogenetico fortemente ristretto con RaTG13 sostiene, in maniera praticamente definitiva, queste osservazioni.

L’identità nelle sequenze genomiche fra SARS-CoV-2 e, rispettivamente, SARS-CoV-1 e MERS è del 79/88% e 50%. L’indice di riproduzione (R0) basale di SARS-CoV-2 va da 2 a 3.5, assai superiore a quelli di SARS-CoV-1 e MERS. L’analisi filodinamica basata su 52 sequenze genomiche di SARS-CoV-2, provenienti da campioni raccolti e testati in diverse regioni del mondo da GISAID, evidenzia un tasso evolutivo stimato medio, pari a 7.8 × 10−4 subs/site/year (range 1.1 × 10−4 to 15 × 10−4), in linea con quelli di SARS-CoV-1 e MERS e degli altri betacoronavirus29.

Le informazioni sulle variazioni del virus hanno un forte impatto biologico e clinico in tema di prevenzione, diagnosi e terapia dell’infezione. L’analisi genomica dimostra una robusta associazione tra il momento di raccolta dei campioni, il luogo e l’accumulo di mutazioni, nonchè le dinamiche dell’evoluzione dei sottotipi e la comparsa e la persistenza di nuove varianti antigeniche. Tra le mutazioni rilevate, il 40% sono missense, il 45% sinonimi, il 12% a carico di alleli non codificanti, il 3% delezioni; quelle più frequenti riguardano i geni ORF1ab, ORF8, S e N. Le mutazioni condizionano l’infettività e la diffusione di SARS-CoV-230.

I pazienti affetti da SARS-CoV-1 e MERS trasmettevano il virus perlopiù in fase sintomatica; nel caso di SARS-CoV-2 il contagio può avvenire anche da asintomatici31. Le cellule infettate, soprattutto elementi dell’epitelio respiratorio e gastrointestinale, o muoiono per esaurimento delle proprie risorse molecolari, sfruttate dal virus per la replicazione, o lisate dal sistema immunitario dell’ospite32.

Le tre fasi dell’infezione di una cellula33, 34
1) Interazione con una cellula polmonare. Dopo il legame fra proteina spike (regione BRD) del virus e recettore ACE-2 del pneumocita, una proteasi di quest’ultimo (TMPRSS2) taglia la testa dello spike e viene rilasciato il macchinario di fusione che è compresso nel gambo della stessa proteina spike.
2) Ingresso nella cellula polmonare del materiale virale. Il macchinario di fusione si dispiega, si incunea nella membrana cellulare, determina l’aderenza fra l’involucro esterno del virus e la membrana cellulare; le due pareti vengono poi divaricate, in modo che si formi un canale attraverso il quale RNA e proteine virali entrano nella cellula dell’ospite.
3) Replicazione e uscita dalla cellula ospite. Sono una ventina le proteine essenziali: alcune modellano il reticolo endoplasmatico per formare vescicole protettive, altre servono ad assemblare le nuove particelle che fuoriescono dalla cellula; mediante la polimerasi è copiato l’RNA, nelle vescicole; la proteina N si lega all’RNA per stabilizzarlo; S, M e E sono proteine strutturali essenziali. L’uscita dei nuovi virus avviene con un meccanismo quasi simile a quello dell’ingresso, con adesione delle due membrane, formazione di canali e rilascio35, 36.

Proteina Spike, recettore ACE2 e corecettori. Il gene che codifica per la proteina Spike di SARS-CoV-2 diverge da tutti quelli precedentemente descritti nei Coronavirus, SARS-CoV-1 incluso, con identità di sequenza che non supera il 75%, ad eccezione di RaTG13, 93.1%. Le regioni BRD (Receptor-binding Domain) di SARS-CoV-1 e 2 sono invece piuttosto simili. I due virus infettano le cellule dell’ospite tramite il recettore ACE2. Cd26, che è utilizzato da MERS-CoV, può comportarsi da co-recettore nell’infezione da SARS-CoV-2, mentre Cd147 è un co-fattore di legame addizionale e necessario con Spike. Tuttavia l’affinità di legame fra proteina Spike e recettore ACE2 è 10/20 volte maggiore nel virus attuale rispetto a SARS-CoV-1 (BRD del nuovo Coronavirus ha una conformazione ad un tempo più compatta e flessibile, per cui l’interfaccia BRD/ACE2 ne risulta maggiormente stabilizzata); tutto ciò suggerisce che SARS-CoV-2 sia molto più infettante del suo predecessore37.

Esiste una bassa barriera di specie per la trasmissione del virus dagli animali selvatici a quelli domestici, infine agli uomini, evidenziata da un discreto grado di omologia dei recettori dell’ospite che legano BRD della proteina Spike di SARS-CoV-1/2.

SARS-CoV-2 ha un’unica sequenza ripetuta RRAR nella proteina Spike che non è stata trovata nei Coronavirus isolati dai pangolini, il che contribuisce ad indicare che il virus non proviene direttamente da questo animale.

Nella proteina Spike sono state trovate diverse mutazioni, di cui 3 (D354, Y364, e F367) localizzate in BRD; ciò suggerisce che il virus può evolvere rapidamente per eludere la risposta immune e adattarsi, in futuro, ad altri, nuovi ospiti.

I ceppi portatori della mutazione S-D614G38 possono essere più virulenti, aumentando la gravità della malattia nei soggetti infettati, specie in Europa, ove la mutazione è preminente, e il tasso di mortalità. Il dato è stato confermato dal raffronto tra pazienti con malattia a bassa, media e alta gravità: in quest’ultimo gruppo la mutazione è più frequente. S-D614G è particolarmente diffusa in Europa occidentale: Belgio, Spagna, Italia, Francia, Paesi Bassi e Svizzera.

Le mutazioni nella proteina Spike, come S-D614G, causano modifiche conformazionali che cambiano la sua antigenicità, verosimilmente simulando uno stato di apertura permanente dei siti critici di legame e facilitando l’esposizione e il clivaggio di questi da parte delle proteasi, FURINA o TMPRSS2; in questo modo il clivaggio e il taglio della testa di Spike è anticipato e troppo rapido.

Alcuni polimorfismi (SNP’s) di ACE2 (ne sono stati descritti almeno 30 con impatto clinico accertato) possono essere un fattore di rischio nell’infezione da SARS-CoV-2, condizionarne il decorso e interferire con la risposta dei singoli pazienti, soprattutto anziani, ai trattamenti della sintomatologia legata alla sindrome acuta da distress respiratorio (ARDS). Importante è anche il rapporto fra I diversi tipi di recettori ACE2 (AT1 e AT2); morbilità, decorso della malattia e mortalità possono essere condizionati in senso negativo, in Europa, dall’allele ACE1-D, assai frequente. I ricercatori si chiedono se il doppio cromosoma X nelle donne sia un fattore protettivo nei confronti del virus e in corso di malattia, rispetto agli uomini che ne posseggono solo uno. Il gene ACE1 è presente sul cromosoma 17, mentre il gene ACE-2 si trova sul cromosoma X, pertanto le donne ne hanno una doppia copia. Sul cromosoma X si trovano anche i geni che codificano per numerosi fattori dell’immunità innata39-42.

Infettività e replicazione dei Coronavirus patogeni. Mediante indagini immunoistochimiche condotte su cellule ciliate, muco-secernenti e di Clara dell’epitelio bronchiale, pneumociti tipo I, mucosa congiuntivale infettati da SARS-CoV1 e 2, MERS e alcuni virus influenzali, è stato effettuato un raffronto tra il grado di infettività e la capacità di replicazione dei diversi virus respiratori. Si ottengono indicazioni importanti sulle vie di penetrazione nell’ospite e gli steps iniziali del complesso processo patogenetico.

Nei bronchi: SARS-CoV-2 e MERS replicano parimenti, ma maggiormente di SARS-CoV-1 e meno di H1N1. Nei polmoni: il grado di replicazione di SARS-CoV-1 e2 e H1N1 è uguale, ma inferiore a MERS. Nella congiuntiva il grado di infettività e replicazione del nuovo virus supera quello di tutti gli altri esaminati43. Infine, SARS-CoV-2 è un potente induttore di citochine proinfiammatorie, superando di gran lunga i Coronavirus e i virus influenzali conosciuti44.


La risposta immune

Immunità innata. A seguito di un’infezione virale, comprese quelle da Coronavirus, è indotta la sintesi e il rilascio di Interferon (IFN) tipo I (alfa/beta) e tipo III (lambda), che reclutano e attivano centinaia di molecole con potenzialità anti-virale e mediano l’innesco della reazione immune adattiva. L’acido nucleico (RNA) del genoma dei Cov è riconosciuto innanzitutto da due gruppi di recettori appartenenti a PRRs (Pattern Recognition Receptors), TLRs e RIG1: entrambi individuano anche diverse altre componenti virali, generano e conducono a valle una serie di segnali molecolari il cui esito finale è la produzione di IFN e di citochine proinfiammatorie45, attraverso l’attivazione di fattori di trascrizione, quali IRF3 (specifico per IFN), IRF7 e NF-kappaB.

I TLRs coinvolti nelle infezioni da CoV sono 3, 4 e 7: TLR3 riconosce l’RNA a doppia elica, TLR7 a singola elica, mentre il ligando di TLR4 rimane sconosciuto. TLR3 e 4 attivano la molecola “adaptor-TIR-domain-containing-adapter-inducing-interferon-Beta” o TRIF, mentre tutti gli altri attivano la molecola “Myeloid differentiation primary response 88” o MyD88. Di tutti questi fattori si conoscono varianti genetiche, che possono predisporre a una maggior suscettibilità e a quadri più gravi d’infezione, come già dimostrato per Herpes Symplex e Influenza, in presenza di mutazioni di TLRs, RIG 1 e IRF; potrebbe accadere lo stesso nel caso dei CoV.

Nella cascata di segnali e attivazioni, TRIF e MyD88 (quest’ultimo con l’interposizione di IRAK) attivano la molecola TBK1 (TANK-binding-kinase), che infine attiva IRF3 e 7 e NF-kappaB: il risultato finale è la produzione di IFN e citochine pro infiammatorie. TBK1 può essere attivato anche dalla molecola MAVS (Adaptor-Molecules-Mithocondrial-Antiviral-Signalling-Protein), che è innescata dai recettori RIG1 e MDAS, in grado di riconoscere RNA, rispettivamente, corti e lunghi.

Una risposta cito/chemochinica aberrante, da esagerata immunoreazione infiammatoria, è simile nelle tre principali infezioni umane da Cov. Un irregolare e alterato controllo della replicazione virale può condurre ad una risposta immuno-infiammatoria eccessiva e a danni patologici immuno-dipendenti d’organo e/o sistemici durante le fasi successive dell’infezione46. MyD88 e IRAK4 sono quantitativamente e funzionalmente sovrabbondanti in corso di risposta immune antivirale nell’uomo.

Mentre i TLRs riconoscono strutture virali situate entro gli endosomi, altri recettori, come RIG1, legano molecole virali nel citosol della cellula ospite.

I CoV, incluso SARS-CoV-2, adottano diverse strategie per eludere la ricognizione dei recettori, contrastare la cascata successiva di invio e trasmissione dei segnali intracellulari e l’attivazione immune (vedi oltre). Rimangono tuttavia diversi punti oscuri riguardo i meccanismi di immuno-evasione del virus, legati anche all’attività di quelle proteine accessorie che devono ancora essere studiate in modo approfondito.

Tra gli eccessi della risposta immunitaria, e il successivo danno d’organo, specie a livello polmonare, citiamo l’iper-attivazione ed espressione delle componenti dell’inflammasoma. Numerose proteine virali, E, ORF-8b e viroporina 3a, iperstimolano almeno 3 componenti proteiche dell’inflammasoma (NLRP3): ne consegue un preciso, severo quadro clinico caratterizzato da neutrofilia (la cui entità ben correla con la gravità di COVID-19), danno d’organo esteso al polmone, ma non solo, poli-micro-trombosi e altre turbe della coagulazione, insufficienza respiratoria e alta mortalità47, 48.

IFNs I e III sono i principali effettori della risposta immune innata antivirale, e il nuovo virus è fortemente suscettibile a questi potenti mediatori, come dimostra l’inibizione della replicazione virale qualora sia possibile somministrare IFN come trattamento terapeutico. Tuttavia il virus è in grado di limitare la quota di IFN prodotta, specie tipo I e di subordinarla nel tempo al rilascio delle citochine proinfiammatorie. Inoltre le cellule alveolari rispondono poco all’azione della molecola.

SARS-CoV-2 replica efficacemente nei tessuti bronco-polmonari, eludendo l’azione antivirale degli IFNs e degli altri meccanismi cellulari e umorali dell’immunità innata. A seguito dell’infezione, comunque, sono prodotte in varia misura citochine che reclutano le cellule dell’immunità adattiva. Le citochine pro-infiammatorie, specie IL1β e IL6, sono rilasciate prevalentemente dai macrofagi, attivati dagli IFNs e in grado di auto mantenere e auto amplificare lo stato di iperattività, che in sostanza diviene input e caratteristica cruciale della “cytokine storm”49, 50.

Numerose le chemochine prodotte, nell’ambito della risposta infiammatoria, per reclutare cellule immunocompetenti, perlopiù da monociti-macrofagi: CXCL17, specifica di questa infezione e non di altre da CoV; CXCL1/2/8, che reclutano neutrofili; CXCR2, recettore delle 3 precedenti chemochine; CCL2 e CCL7, che reclutano monociti; CXCL10, CCL3,4 e 8, CXCL9 e 16; infine CCL5 o RANTES, significativamente elevata, sin dai primi stadi dell’infezione, nelle forme lievi/medie, ma non in quelle severe51, 52. Sono incrementati, anch’essi sin dalle fasi precoci, mediatori inibitori e antagonisti, quali IL10 e IL1RA, in misura proporzionale alla gravità dell’infezione; la combinazione dei livelli di RANTES, IL10 e IL1RA può essere impiegata, secondo diversi Autori, come indice predittivo per l’evoluzione di Covid-19. È stato recentemente osservato che, nei pazienti con forme severe di Covid-19, specie se anziani, caratterizzati da marcata “cytokine storm”, una particolare sottopopolazione di monociti, poi differenziati in macrofagi, a livello polmonare, è particolarmente aumentata: sono i cosidetti Cd14+Cd16+ o monociti intermedi, di norma solo il 5% del totale, che in questa situazione particolare possono raggiungere anche il 50%, dunque preminenti rispetto ai Cd14+Cd16- (classici) e Cd14-Cd16+ (non-classici)53. Esprimono anche diversi marker HLADr. Questi monociti non solo si differenziano in macrofagi tissutali, ma producono grandi quantità di citochine proinfiammatorie, IL1β e IL654.

T-reg. Riguardo la congerie di cellule regolatorie e numerose funzioni loro attribuite, sono stati pubblicati contributi anche fra loro contrastanti, che non aiutano a fare chiarezza su questi delicati passaggi dell’immunità in corso di Covid-19. Sicuramente le T-reg giocano un ruolo cruciale nel sopprimere una risposta immunitaria eccessiva e protratta verso i patogeni, inoltre nelle mucose respiratorie agiscono come cellule effettrici soppressorie nei meccanismi di danneggiamento tissutale55. È dimostrato che nelle infezioni virali delle vie aeree, le cellule T-reg possono limitare gli effetti immunopatogeni sul polmone. I meccanismi molecolari coinvolti nella regolazione e nell’espressione di FOXP3 nella risposta antigene-specifica delle T-reg nell’infezione da Covid-19 rimangono oscuri e ulteriori studi saranno necessari per ipotizzare un’eventuale applicabilità in campo clinico. Un decremento delle T-reg circolanti (Cd3+Cd4+Cd25+Cd127low+) rientra nel quadro della grave linfopenia osservata nell’infezione da SARS-CoV-2.

Transizione immunità innata / immunità adattiva e intervento di quest’ultima nell’infezione da SARS-CoV-2. È una fase critica per l’evoluzione biologica e clinica dell’infezione e le strategie adottate dall’ospite per contrastarla; è in questo momento cruciale, che gli eventi immunoregolatori, peraltro poco conosciuti, possono portare sia ad una risposta immunitaria protettiva, che ad un’esacerbazione della reazione infiammatoria. La prima, T-dipendente, si manifesta mediante cellule effettrici Cd4+, che cooperano con i B, guidando la produzione di anticorpi specifici neutralizzanti, e Cd8+ citotossici, in grado di eliminare le cellule dell’ospite infettate. Nel secondo caso, una risposta disfunzionale, non in grado di inibire la replicazione virale e l’eliminazione delle cellule infettate, può sfociate in una reazione infiammatoria “off control” con i quadri della “cytokine storm”, dell’ARDS e della DIC56, 57.

In modelli sperimentali animali, la replicazione del virus nei polmoni è massima fino al decimo giorno dopo l’infezione, mentre la reazione infiammatoria d’organo e sistemica ha il suo acme tra il 14° e il 28° giorno ed è bifasica: precoce, virus-dipendente, tardiva, immuno-dipendente ma virus-sganciata. Non sappiamo in qual misura questo modello trovi corrispondenza anche nell’uomo.

Interazione e transizione incongrue tra immunità innata e adattiva, peraltro non ben conosciute, sembrano essere cause potenziali per l’evoluzione verso forme severe di malattia, fino ad un esito infausto; in particolare, una mancata corrispondenza temporale (leggi: ritardo) nella transizione dall’immunità innata a quella adattiva, può avere un forte impatto negativo sulla progressione di Covid-19. La risposta immune adattiva, di solito, si manifesta già in maniera evidente prima del raggiungimento del picco della carica virale, al contrario di quanto avviene in corso di infezione da virus influenzali. Un ritardo nella transizione espone a ulteriori danni a livello polmonare, con persistenza dei meccanismi che comportano la deplezione delle cellule epiteliali. 

Per quanto riguarda la produzione degli anticorpi, numerose sono le questioni irrisolte: quali sono gli antigeni più immunogeni e le differenze nel grado di neutralizzazione; la possibilità o meno di una cross-reattività con le precedenti infezioni da coronavirus (SARS-CoV-1 e MERS) e se queste possano conferire una qualche immunità verso il nuovo virus (vedi oltre); tempi di durata e azione neutralizzante da parte degli anticorpi naturali e/o ottenuti mediante vaccino; persistenza delle cellule della memoria; possibilità di reinfezioni e riemergenza del virus in soggetti già infettati58, 59.

Durante l’infezione da SARS-CoV-2, osserviamo neutrofilia e linfopenia globale, che coinvolge Cd4+ e Cd8+, in particolare quelli IFNγ+ e IFNγR+, regolatori e cloni della memoria. Nei pazienti con malattia severa, rispetto a quelli con forme lievi o intermedie, l’entità della riduzione dei subset T è decisamente più marcata e si protrae più a lungo, anche per diverse settimane. Contemporaneamente sono fortemente incrementate le citochine pro-infiammatorie: IL1β, IL6, IL8 e TNFα, che caratterizzano il quadro della “cytokine storm” e dell’ARDS.

L’imponente linfopenia, che distingue le infezioni da Coronavirus dalla maggioranza delle altre infezioni virali60, soggiace a diverse cause: infezione diretta dei linfociti da parte del virus e loro morte; danneggiamento e infezione del midollo e del timo, con conseguente rilascio di cellule in misura ridotta o disfunzionanti; promozione dell’apoptosi dei linfociti da parte delle citochine infiammatorie; sequestro e trapping dei linfociti nei tessuti danneggiati. Il rapporto neutrofili/linfociti, spostato a favore dei primi, in maniera tanto più marcata quanto più severo è il quadro clinico, è stato proposto come indice prognostico in corso di infezione: più è elevato, maggiormente infausta è la prognosi.

Le cellule T provenienti da pazienti COVID+ mostrano diverse alterazioni, che coinvolgono gli elementi naive, quelli centrali ed effettori della memoria, le cellule funzionalmente differenziate, così come quelle T regolatorie; alterazioni significative si riscontrano, in diverse linee cellulari, a carico dei fattori di trascrizione e dei recettori per le chemochine. Le cellule T ben differenziate proliferano meno rispetto a quelle di soggetti sani. È stato evidenziato un netto incremento dei marker di esaurimento funzionale delle cellule immunocompetenti e di morte programmata, soprattutto se provenienti da pazienti con malattia severa e/o protratta, quali PD1, NKG2A, CTLA4+, TIGIT+ e Tim-3; da queste cellule (neutrofili, macrofagi, linfociti) si liberano molecole quali granzyme e perforina, tossiche per i tessuti dell’ospite, alveoli, in particolare, non solo per i microrganismi. Le cellule Cd8+, importanti nella clearance e nella lisi dei virus respiratori e delle cellule infettate, come detto, sono deficitarie, per cui l’eliminazione delle particelle virali e di debris è compromessa61.

Studi sperimentali recenti hanno dimostrato che le cellule T, tanto cloni Cd4+, quanto Cd8+, tramite TCR, rispondono ai segnali di attivazione degli interferon tipo I e III, sottolineando i rapporti e la transizione fra immunità innata e adattiva. Nei pazienti in convalescenza o già guariti, le cellule T riprendono i marker di attivazione e, soprattutto, aumentano i cloni della memoria, tanto centrali quanto effettori; questi indici si manifestano in modo effimero o affatto nel caso di malattia protratta e nelle forme più severe con ARDS62.

La risposta anticorpale si manifesta fra i 10 e i 14 giorni dopo l’infezione, IgM+/-IgA e IgG sono prodotte in successione o quasi contemporaneamente e sono rivolte verso antigeni delle proteine nucleari ma soprattutto verso componenti epitopici della proteina Spike: questi ultimi in particolare sono di tipo neutralizzante63. La produzione di IgA a livello delle mucose respiratorie è precoce, tuttavia le evidenze dimostrano non essere in grado di contrastare in modo risolutivo nessuna delle azioni del virus contro le cellule e i tessuti dell’ospite, dall’esibizione della proteina Spike, al contatto coi recettori cellulari, all’entrata nei pneumociti, ai danni diretti e indiretti provocati nei tessuti.

La durata della protezione immune naturale, anticorpo-dipendente, così come la possibilità di reinfezioni, dipendono dalla funzionalità delle memory cells, B e T, spesso compromessa, ma anche dalle mutazioni dei ceppi infettanti; di tutti questi aspetti e delle loro interconnessioni in realtà ne sappiamo ancora assai poco.

Mentre nel sangue periferico osserviamo neutrofilia e linfopenia globale, nei tessuti sede di infiammazione e lesione l’infiltrato cellulare è composto prevalentemente da macrofagi e linfociti, in particolare Cd8+citotossici.

Carica virale e risposta immunitaria. La maggioranza dei pazienti con malattia grave (ARDS, ventilazione meccanica) presenta un’alta carica virale non solo nei polmoni, ma anche in altri tessuti, ancora a 20-40 giorni dall’inizio dell’infezione; al contrario, i pazienti con malattia lieve o intermedia, a dieci giorni dall’esordio dell’infezione hanno una carica virale residua solo nelle vie respiratorie, che si estingue non oltre le due settimane. Vi è una significativa differenza nella risposta anticorpale: la presenza di IgM è da subito elevata nei pazienti seri, poco rimarchevole in quelli meno gravi, mentre non vi sono differenze fra i due gruppi per quanto riguarda le IgG, che presentano un titolo rilevabile di anticorpi con capacità neutralizzante già a 10 giorni, un picco fra 20-30 che rimane tale anche fino a 40 giorni, quando inizia a declinare64.

Per riprendere il discorso, già accennato, delle interazioni fra anticorpi indotti a seguito di diverse infezioni da CoV, è stata evidenziata una cross-reattività fra anticorpi di pazienti con SARS1 e 2, ma non fra quest’ultima e la MERS; sieri di soggetti che hanno avuto SARS1, neutralizzano particelle virali di soggetti con l’infezione attuale, ma, da evidenze preliminari, in misura molto limitata e con scarsissimo effetto terapeutico, mentre da pazienti MERS+ l’effetto è nullo.

Immuno-evasione dei Coronavirus. Diversi i meccanismi adottati dai Coronavirus per eludere le risposte immunitarie dell’ospite, anche con strategie complesse di mimetizzazione, antagonizzazione e interazioni molecolari raffinate. Ecco alcune, necessariamente non esaustive, che interessano anche SARS-CoV-265:
- Spike può rivestirsi di glicani e altri carboidrati: la nuova molecola non solo non viene riconosciuta dagli anticorpi neutralizzanti, ma, per il maggior peso acquisito, diviene instabile e oscilla tanto da impedire fisicamente il legame antigene-anticorpo66;
- nelle APC (c. dendritiche, macrofagi infettati) le particelle virali sono in grado di inibire il rilascio di IFNγ e IL12, dunque i mediatori dell’immunità cellulare. SARS-CoV-2 si differenzia dai virus influenzali, la cui infezione è caratterizzata da iperespressione dei geni MHC I classe e codificanti citochine antivirali e fattori del complemento;
- il virus, entrato nella cellula ospite, è incluso in vescicole delimitate da una doppia membrana, che si comporta da scudo alla ricognizione dei PRR, specie quelli che interagiscono con l’RNA; nelle membrane vescicolari vengono inserite molecole simili a strutture della cellula, sì che, riconosciute come self, eludono le prime interazioni con l’immunità naturale dell’ospite, un vero meccanismo di mimetizzazione. Il percorso molecolare è guidato dalle nsp14, che iniziano l’incapsulamento virale e successivamente modificano la struttura dell’involucro mediante le informazioni di geni del proprio RNA e l’azione guidata di nsp1667;
- SARS-CoV-2 ha almeno 8 proteine, perlopiù nsp o accessorie, in grado di bloccare l’interferon a vari livelli, dalla sintesi alle azioni effettrici. Nsp1 è un gruppo di proteine che può sopprimere l’attività di IFN tipoI attraverso l’inattivazione del macchinario traslazionale dell’ospite, la degradazione dell’RNA dell’ospite stesso e l’inibizione della fosforilazione di STAT1. Tutte queste strategie provocano il fallimento di IFN tipoI nella sua azione anti-virale e, di conseguenza, una replicazione e disseminazione del virus più accentuata sin dalle fasi iniziali e, infine, una malattia di maggior severità68;
- Nsp3 promuove il clivaggio delle poliproteine virali, funzione specifica che SARS-CoV-1 e MERS non hanno (forse sostituita da DUB, deubiquitina, un enzima che anche il nuovo virus possiede); sia DUB che le poliproteine virali, attivate, sono antagonisti degli interferon;
- un segmento genico localizzato in ORF3b antagonizza anch’esso IFN mediante l’inibizione dei suoi segnali e provoca la mancata attivazione di tutte quelle cellule e mediatori che, a cascata, sono regolati da IFN come inibitori della replicazione virale, che pertanto ne risulta svincolata e può incrementare. In ORF6 un altro gene provoca la disattivazione delle attività connesse con il fattore STAT1.

A conclusione del capitolo, riportiamo nella sottostante Tab. 1 il profilo citochinico e linfocitario che osserviamo nel sangue periferico in pazienti affetti da COVID-19 di medio/grave severità.

Tab. 1: Profilo citochinico e linfocitario nel sangue periferico in pazienti affetti da COVID-19 di medio/grave severità.


Suscettibilità e resistenza a Covid-19: fattori congeniti e acquisiti che predispongono all’infezione

Nella popolazione generale naive, una parte diviene sintomatica qualora infettata. Quadri severi tendono a verificarsi negli anziani o in quei pazienti che presentano comorbidità.  Comunque, casi gravi, rari, possono verificarsi anche tra i giovani e nell’età di mezzo, con o senza senza comorbidità: è stato ipotizzato che vi siano (con)cause monogeniche. La maggioranza della popolazione, quando infettata, rimane asintomatica, resistente al virus, sieronegativa, anche se successivamente esposta più volte: in queste situazioni vi sono senz’altro fattori genetici genericamente “protettivi” e “condizionanti”. Non riportiamo volutamente percentuali, in quanto molto variabili a seconda dell’età, del sesso, dei ceppi infettanti, delle aree geografiche, tra prima e seconda ondata pandemica. In questo capitolo prendiamo in considerazione alcune delle cause monogeniche che condizionano la suscettibilità o la resistenza al virus, determinando, la prima, una malattia medio-grave con frequenza legata anche all’età del paziente, la seconda, una condizione di non-infettività, pur esposti a più ceppi e in più occasioni.

Ogni variante genetica che provoca una disregolazione o un’amplificazione della risposta immunitaria, può contribuire ai danni immuno-dipendenti del polmone e altri organi e alle più gravi manifestazioni cliniche che mettono a rischio la vita del paziente69.


Manifestazioni congenite

- SNPs dei geni OAS1 e MX1 (alcuni, ma non i soli, che presiedono all’induzione di interferon tipo I), possono determinare scarsa o assente sintesi della molecola, condizione che si associa ad un aumento della suscettibilità a contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 e a sviluppare forme gravi.
- Mutazioni dei recettori nell’ambito dei PRR e delle molecole che, in seguito alla ricognizione del virus, sono coinvolte nella conduzione intracellulare dei segnali: sia l’interazione PRR-virus che la cascata di signalling subiscono alterazioni o interruzioni. Sono state descritte mutazioni riguardanti RIG1, MDA5 e TLR3; a valle, nella cascata dei messaggeri, IRF3 e 7 e le molecole implicate nelle funzioni effettrici degli interferon tipo I e III, quali IFNAR1/2; infine, altri trasduttori di segnali, il sistema Janus-kinase (JAK) e il trasduttore-attivatore dei segnali di trascrizione, STAT.
- Deficit congenito di MBL (lectina legante il mannosio), recettore del PRR che riconosce e lega carboidrati della superficie di virus e batteri, innescando la cascata complementare; una carenza del recettore espone le cellule all’azione del microrganismo e a danni immunopatogeni, privandole della protezione del sistema del complemento e di un’adeguata fagocitosi.
- Immunodeficienze congenite, specie CVID e agammaglobulinemie, predispongono all’infezione da SARS-CoV-2 e alle forme più gravi.
- HLA: diversi aplotipi e varianti, frequenti in determinate popolazioni, sono stati messi in relazione ad una maggior suscettibilità o resistenza a contrarre l’infezione e a quadri clinici particolari (vedi Tab. 2).
- Gruppi sanguigni AB0: A è correlato ad un maggior rischio di contrarre l’infezione, 0 con forme più lievi.
- Inflammasoma: diversi geni (NLRP1, NLRP3, CASP1 e MEVF) implicati nella sintesi di proteine dell’inflammasoma, in seguito a mutazioni, sono iper o ipo-espressi, aumentando o riducendo gli effetti delle molecole da loro codificate.
- Molecole recettoriali per SARS-CoV-2 (e altri CoV) sulla superficie delle cellule umane: ACE2 presenta diverse varianti polimorfiche, che rendono le cellule più resistenti al virus, in analogia a quanto si osserva nella mutazione delta32 di CCR5 omozigote nei confronti di HIV. Più rara appare la situazione opposta, presenza di polimorfismi che accrescono la capacità recettoriale di ACE2 con conseguenti quadri clinici severi. Anche TMPRSS2 manifesta, sia pur di rado e ancora poco studiate, varianti che condizionano la sua attività proteasica.
- Geni che codificano per la sintesi di citochine e altri mediatori dell’immunità, soprattutto IL1 e IL6 e molecole della risposta infiammatoria. Nelle Tab. 2 e 3 abbiamo sintetizzato alcuni di questi elementi70-72.


Manifestazioni acquisite. Tutti gli eventi etichettati come genericamente immunodepressivi, specie a carico delle cellule T, HIV, malattie autoimmuni, dismetaboliche, croniche e tumori causano una maggior suscettibilità a contrarre le infezioni virali e/o aggravarne il quadro clinico. Importante è il fattore età, considerando che con l’accrescere dell’età anagrafica e biologica declinano diverse funzioni immunitarie e i complessi meccanismi di regolazione.

 

Tab. 2: Suscettibilità e resistenza a SARS-CoV-2 in base a parametri genetici dimostrati. Tab. 3: Polimorfismi (SNPs) del recettore ACE2.

 
Risposta infiammatoria e genere

Diverse osservazioni cliniche dimostrano come vi sia una differenza sostanzialmente significativa nella mortalità per Covid-19 tra uomini e donne: nei primi è superiore, e in tutto il mondo. La suscettibilità a SARS-CoV-2 legata al genere è dovuta alle differenze fra i due sessi dell’immunità, sia innata che adattiva. Anche in altre situazioni infiammatorie, come le sepsi batteriche, le donne sopravvivono di più e meglio. Sebbene uomini e donne reagiscano con le stesse armi, mediante l’infiammazione, ai patogeni, le donne risolvono la fase acuta e prevengono l’iperinfiammazione, compresa la cytokine storm, meglio degli uomini. Questa capacità delle donne di modulare l’infiammazione senza compromettere la risposta immune innata e adattiva in parte è dovuta ad una produzione più regolata di mediatori specializzati come lipoxine, protectine, resolvine e maresine. Dopo legame fra recettori di superficie (TLR) e diversi ligandi, l’uomo rilascia aliquote maggiori di citochine pro-infiammatorie, scatenando una risposta esagerata più facilmente delle donne.

Il cromosoma X gioca un ruolo chiave nell’induzione e nella risoluzione dell’infiammazione, in quanto molti mediatori coinvolti nella risposta immune sono codificati da geni siti in questo cromosoma: TLRs, CD40L e proteine associate al pattern di segnale di NF-Kb73. Sebbene gran parte di uno dei due cromosomi X nella donna sia a random inattivato da processi di metilazione, il 15% dei geni del cromosoma X inattivo evita la metilazione, aumentando di fatto l’attività complessiva delle proteine legate a X nella donna in confronto all’uomo. Le donne sono composte da un mosaico di cellule derivanti dai cromosomi X paterno e materno, il che determina e conferisce loro un maggior polimorfismo di risposte immuni, nonché una miglior modulazione nella reazione infiammatoria mediante il rilascio di aliquote congrue di mediatori e una migliore e più efficace risposta T e B, rispetto agli uomini. Dato che i marker d’infiammazione sono significativamente diversi tra ragazzi e ragazze in età prepubere, gli eterocromosomi appaiono ben più importanti degli ormoni sessuali in corso di flogosi. Queste nozioni sono state ben supportate dai dati offerti dalle malattie X-correlate; nella sindrome di Turner, i cui soggetti sono fenotipicamente donne ma con un cromosoma X, la risposta infiammatoria è simile a quella dei maschi; nella sindrome di Klinefelter, i pazienti, fenotipicamente maschi e con alti livelli di testosterone, ma con due cromosomi X come le femmine, hanno una risposta infiammatoria come queste ultime. Il mosaicismo dei geni X-relati sui cromosomi omologhi condiziona l’espressione del pattern di segnalazione dei TLRs74. Pertanto, la secrezione più bilanciata di citochine pro-infiammatorie nelle donne, così come la capacità di risolvere meglio un processo infiammatorio, sono indiziate per un deciso effetto protettivo in corso di gravi infezioni, quale una sepsi, di un trauma e della stessa malattia COVID-19.


Cenni di terapia anti-virale

Il trattamento dei pazienti con malattia severa, a un anno dai primi casi, è ormai standardizzato nella sua complessità e può essere schematizzato in 6 steps fondamentali, i quali, combinati fra loro, affrontano sia i preminenti sintomi a carico dell’apparato respiratorio, che le numerose complicanze sistemiche: 1) assistenza respiratoria; 2) terapia eparinica; 3) terapia antivirale75, 76; 4) terapia immuno-infiammatoria77; 5) fisioterapia respiratoria; 6) terapia con plasma iperimmune.

Tab. 4: trattamenti impiegati per impedire a SARS-CoV-2 di entrare nelle cellule.

Per quanto riguarda i punti 3) e 4), strettamente associati agli argomenti qui trattati, nelle Tab. 4, 5 e 6 sono illustrati diversi trattamenti, di cui sono in corso trials clinici o che li hanno superati con benefici per i pazienti, con le seguenti finalità: impedire al virus di entrare nelle cellule, bloccare la replicazione virale, ridurre l’eccessiva risposta immunitaria (cytokine storm)78-82.

Remdesivir agisce su un sito target in una proteina comune a tutti i Coronavirus; usato in malati di Covid-19, riduce la carica virale. Disattiva l’esonucleasi, che è un enzima necessario, durante la replicazione dell’RNA virale, alla revisione, correzione ed eliminazione delle copie errate, formatesi in seguito all’azione della polimerasi virale; pertanto si formano meno copie del nuovo virus83.

Tab. 5: Trattamenti impiegati per bloccare la replicazione di SARS-CoV2.

Enzimi e proteine impiegate da SARS-CoV-2 per replicarsi, sono comuni ad altri Coronavirus (SARS-CoV-1, MERS), quindi già noti ai ricercatori ancor prima del sequenziamento del nuovo virus.

Diversi Autori (Gurwitz et al) hanno suggerito di bloccare i recettori ACE, come AT1R, con molecole quali il losartan, per ridurre l’impatto virus-cellula e la gravità della malattia. Fondamentale è capire ruolo ed entità delle mutazioni del virus in relazione alla sua capacità (accresciuta o ridotta) di legarsi ai recettori umani84.

Numerosi sono i farmaci proposti e in via di sperimentazione per trattare alcuni dei numerosi sintomi o complicanze della malattia85, 86. Al di là di terapie bizzarre e senza alcun costrutto scientifico, ecco un ulteriore elenco di molecole ad azione antivirale e/o antiinfiammatoria.

-Antagonisti AT1R, come il Losartan;
-Antivirali impiegati in altre infezioni: Sofosbuvir (HCV) e Tenofovir (HBV), entrambi antiRdRp; Arbidolo (influenza); Darunavir (HIV);
-Altri antivirali: Indinavir, Saquinavir, Atazanavir, Tipranavir, Fosamprenavir, Enzaplatovir, Presatovir, Abacavir, Elvitegravir, Maribavir, Raltegravir, Cinanserin;
-Inibitori specifici delle Mpro proteasi: alpha-ketoamide inhibitors per via inalatoria;
-Antitumorali: Carfilzomib, Bortezomib, Carmofur;
-Antiossidanti: Deoxyrhapontin, Polidantina, Chalcone, Ebselen;
-Vari: Montelukast (asma), Disulfiram (alcoolismo), Shikonin (antiinfiammatorio), Tideglusib (anti-Alzheimer);
-Inibitori IAK-STAT, NAK, AAK1 e altre vie di signalling, con attività anti-infiammatoria e anti-citochinica: Baricitinib, Ruxolitinib, Fedratinib;
-Immunomodulanti/stimolanti: Ciclosporina A, Tacrolimus (riduce la crescita virale);
-Terapie immunologiche: Interferon-α-pegilato, Interferon-β, IL22 (azione antivirale), Leronlimab (Mo-Ab umanizzato anti-CCR5).

 

Tab. 6: Trattamenti impiegati per ridurre l'eccessiva risposta infiammatoria e la "cytokine storm" in corso di COVID-19.


Vaccini

Un anno fa fu scritto che un vaccino anti-SARS-CoV-2 sarebbe stato pronto in un tempo misurabile in mesi, anziché anni, solo con l’apporto dell’ingegneria genetica: DNA ricombinante, editing genetico, vettori ingegnerizzati (plasmidi, mRNA, virus, etc.)87, 88. La previsione si sta positivamente verificando, per contribuire a cambiare la storia dell’infezione e della pandemia, si spera, in modo radicale. Finora erano stati sviluppati diversi vaccini genetici anti-virus, anche in meno di un anno, in zootecnia, ma nessuno in patologia umana. Sommariamente, in un cosidetto “vaccino genetico” la procedura segue questi steps: introduzione di geni virali mediante un vettore→sintesi di antigeni (proteina Spike e/o altro)→produzione di anticorpi.

Oggi ci si avvale largamente della “Reverse vaccinology”, strategia di ricerca e preparazione in cui numerosi Istituti italiani sono all’avanguardia nel mondo: partendo dagli anticorpi individuati in soggetti immuni o convalescenti o guariti, si selezionano i migliori per diverse proprietà, prima fra tutte la capacità neutralizzante, si risale agli antigeni virali, agli epitopi maggiormente immunogeni, infine ai geni codificanti89, 90.

In un vaccino anti-SARS-CoV-2 il target primario è la proteina Spike (BRD domain), secondario le proteine N/M/nsp3: queste 3 ultime hanno epitopi comuni a SARS-CoV-1 e MERS e si candidano per un vaccino universale anti-CoV91-94.

In questo, come in altri vaccini genetici, tre sono gli approcci per introdurre geni o antigeni nelle cellule umane:

  1. mediante plasmidi a DNA, allestiti in modo da ospitare il gene virale95. Impiegati in veterinaria, nell’uomo attraversano con difficoltà le membrane cellulari: si può superare questo limite impiegando l’elettroporazione;
  2. mediante RNA (vaccini a RNA): filamenti di mRNA incorporano il gene virale, sono inglobati in nanoparticelle a base di lipidi che passano facilmente le membrane cellulari96. Sembra che inducano una risposta anticorpale più robusta. Sono in sperimentazione vaccini a RNA per Covid-19, HIV, Zika e rabbia. Sono poco stabili, assai meno di quelli veicolati da plasmidi, degradati dal calore, vanno conservati a basse temperature creando problemi logistici in paesi poco attrezzati;
  3. mediante virus apatogeni, come gli adenovirus ingegnerizzati: AD dei gorilla (Italia), scimpanzè (GB), AD5 umano (Cina), AD26 (USA)97.

Di seguito, una serie di domande e questioni irrisolte riguardo i vaccini anti-SARS-CoV-2, poste sia dai ricercatori che dai mass-media e futuri fruitori, al di là, ovviamente, dei temi “sicurezza” ed “efficacia” che sono la base irrinunciabile di ogni allestimento e terapia in campo vaccinologico.

Trattandosi di preparazioni innovative, quasi sperimentali, potrebbero essere necessari più tempo e casi per i trial clinici. Non conosciamo con esattezza l’indice di mutazione di SARS-CoV-2, comunque inferiore a quello dei virus influenzali. Dosi e numero di somministrazioni sono ancora da ottimizzare. I punti precedenti condizionano il tempo di protezione e l’efficacia neutralizzante degli anticorpi, che potrebbero variare anche in base al tipo di vaccino. Tra i problemi legati alla sicurezza, dati preliminari evidenziano una reazione infiammatoria relativamente frequente, rarissimamente grave, perlopiù locale; non sono note statistiche conclusive sulla comparsa di un’ADE (vedi oltre). Produzione: a oggi, nessuna azienda è in grado di allestire, commercializzare e distribuire grandi quantitativi di vaccini mediante plasmidi; la produzione di quelli mediante adenovirus potrebbe invece raggiungere rapidamente livelli quantitativi assai elevati; per quelli a RNA le problematiche sembrano in via di soluzione, a partire dall’inconveniente della crioconservazione. I costi sono ancora elevati per i vaccini genetici, qualunque sia la tecnica di preparazione.

La presenza di anticorpi neutralizzanti ad alto titolo anti-Ad5 può compromettere l’antigenicità del vaccino e la sieroconversione e attenuare il picco di risposta delle cellule T, limitando o annullandone l’efficacia, nelle popolazioni in cui l’adenovirus è endemico. L’alta sieroprevalenza (30/80%) di questi virus-vettori (V/V) in molti paesi ha stimolato lo sviluppo di vaccini basati su V/V diversi: adenovirus con sierotipi rari, di primati non-umani, o virus completamente differenti come retrovirus resi apatogeni. Tra gli eventi avversi che possono complicare una vaccinazione, ricordiamo la cosidetta ADE (antibody-dependent enhancement), associata ad una risposta anticorpale debole o non neutralizzante98.

È probabile che un vaccino veramente efficace non debba stimolare solo la produzione di anticorpi, ma anche l’immunità innata, con l’aggiunta, ad esempio, di adiuvanti naturali o sintetici, come nel caso delle ultime versioni aggiornate del BCG99. A proposito di quest’ultimo vaccino, report preliminari sembrano indicare un suo effetto protettivo, anche a lungo termine, legato ad un potenziamento dell’immunità innata e della “trained immunity” (l’immunità innata può sviluppare una memoria, che è definita “trained immunity”, attraverso una riprogrammazione epigenetica di diversi citotipi)100; risulta invece aggravare il quadro fino all’exitus in pazienti infettati da mutanti virali (S614G) o con determinati aplotipi HLA, ad es. HLA/A*11:01+.

Ad oggi, di progetti di ricerca di un vaccino anti-COVID-19, alcuni compiuti, altri nelle fasi iniziali, ne sono stati annunciati almeno 200. I centri di ricerca sono così distribuiti geograficamente: 40% in nord-America, 28% in Cina, 18% in Europa, 14% in Australia e altri paesi asiatici. L’87% dei vaccini allo studio è finanziato con fondi privati, il 10% da centri universitari indipendenti, il 3% con fondi interamente pubblici. Per quanto riguarda la tipologia di vaccini, possono essere così ripartiti: 35% composti da frazioni proteiche, 14% a RNA, 13% mediante vettori virali non replicanti, 10% vettori virali replicanti, 6% vettori virali inattivi, 6% particelle virus-like, 5% vaccini a DNA, 11% altre tipologie. Al 31 Dicembre 2020, i vaccini già commercializzati o in trial clinici avanzati erano 25101.


Confronti fra Pandemia attuale e del passato

Ci chiediamo perché in alcune aree del mondo, come l’Africa centrale e sub-sahariana, la pandemia da SARS-CoV-2 abbia finora inciso meno pesantemente sia come numeri, che nella gravità dei quadri clinici. La risposta potrebbe venire da uno studio recente102 di Ellinghaus et al, che ha identificato un cluster genico sul cromosoma 3 associato ad un alto rischio di danno e insufficienza respiratoria in Covid-19. L’indagine è stata condotta su 3200 pazienti ospedalizzati con malattia di media/severa gravità di varie etnie: interessati sono Eurasiatici e Amerindi, che hanno ereditato il cluster dopo antiche ibridazioni fra noi e i Neanderthal103, rispetto agli Africani in cui è quasi assente (4:1). Il cluster comprende molti geni che codificano per fattori e mediatori dell’immunità innata e della flogosi e potrebbe contribuire alla eccessiva reazione infiammatoria caratterizzata dalla “cytokine storm”.

Sono inoltre state evidenziate interessanti analogie fra la pandemia attuale e altre, da virus influenzali, occorse negli ultimi cento anni e di cui abbiamo ricostruito dati molecolari e manifestazioni cliniche.

Per quanto riguarda la Spagnola, NS1 e H1, ma non N1, del virus H1N1 ricostruito del 1918/20, sono risultati in grado di inibire IFN e di iperstimolare i geni tissutali preposti alle reazioni infiammatorie e all’apoptosi: è ipotizzabile che anche allora si verificassero una “cytokine storm” ed un esteso danno polmonare immunogeno104. È stato dimostrato che H1N1 penetrava, si replicava e provocava lesioni emorragiche non solo a carico delle cellule delle alte e medie vie respiratorie, come la maggior parte dei virus influenzali, ma anche delle basse vie e in particolare degli alveoli, attraverso le cui pareti, danneggiate, fuoriusciva sangue che inondava le cavità alveolari105. Anche SARS-CoV-2 penetra e provoca lesioni non solo a carico delle cellule delle alte e medie vie respiratorie, ma anche bronchiolo-alveolari, con meccanismi e danni molecolari e istologici differenziati e peculiari.

Riportiamo da ultimo alcune osservazioni istologiche relative alla polmonite interstiziale da virus H2N2 che provocò la pandemia Asiatica nel 1957/58; sono evidenti profonde analogie con i quadri che evidenziamo oggi: “Il virus ha un’azione lesiva diretta, oltre che sulle pareti dell’epitelio respiratorio, alveoli inclusi, anche sulle pareti vascolari, per cui si verificano fenomeni plasmorragici, un’intensa e diffusa essudazione endo-alveolare siero-ematica, raramente fibrinosa, talora esclusivamente emorragica. Viene ben precisato il carattere interstiziale congestizio primitivo ed emorragico, considerando anche il danno diretto virale e reattivo-infiammatorio dei setti interalveolari interstiziali”106.


Alcune considerazioni conclusive

Il salto di specie del Coronavirus che ha causato la pandemia attuale, non è stato il primo evento nell’ambito delle zoonosi e non sarà l’ultimo: è importante prevedere dove potrebbero generarsi i prossimi e attuare una sorveglianza ambientale, faunistica, sanitaria.

Un virus trasmesso da una specie ad un’altra non sempre causa infezione, malattia ed epidemia: intervengono complesse interazioni genetiche, immunitarie ed ambientali. Un virus può non essere in grado di infettare il nuovo ospite, può farlo in maniera blanda e poco efficace (suina), non sapersi trasmettere tra gli esseri umani (aviaria), può rimanere nel serbatoio animale passando all’uomo solo sporadicamente (Ebola), necessita durante la sua storia evolutiva di adattamenti e mutazioni nell’ospite umano (HIV).

Continuiamo a violare le ultime grandi riserve verdi e altri ecosistemi, finora intatti, della terra, scacciando e distruggendo le comunità animali e umane che, da sempre, vi abitano. Gli stessi animali li uccidiamo, mangiamo o commerciamo. Ci installiamo al loro posto. Sostituiamo alle specie native, come gli erbivori, i nostri animali domestici. Si stima che i pipistrelli attualmente ospitino almeno 5000 virus, Coronavirus, ma non solo, potenzialmente patogeni per l’uomo.

L’ambiente mutato e offeso fornisce opportunità per gli spillover: l’evoluzione le coglie, ne sonda le potenzialità, fornisce i mezzi per trasformare gli spillover in pandemie. Miliardi di umani devastano la propria terra e stuzzicano vecchi e nuovi microrganismi, spesso letali. Ma abbiamo farmaci e vaccini per prevenire e curare e “quella ricerca scientifica di cui ci ricordiamo solo quando sentiamo il suono delle sirene delle ambulanze (T. Pievani)”107.


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