Dott.ssa Maria Teresa Petrucci

Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2020-2021

Vol. 65, n° 2, Aprile - Giugno 2021

Simposio: Gammopatia Monoclonale di Significato Incerto e Mieloma: novità di definizione, gestione e trattamento

26 gennaio 2021

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Terapia del Mieloma Multiplo

M. Petrucci, F. Fazio


Principi generali

Gli importantissimi progressi terapeutici, ottenuti sia grazie a una più approfondita conoscenza della biologia della patologia1-3 che alla possibilità di utilizzare nuove molecole per il trattamento dei pazienti affetti da Mieloma Multiplo (MM), hanno indubbiamente modificato la prognosi di questa malattia prolungando in modo significativo la sopravvivenza dei pazienti fino a 8-10 anni4. Tuttavia, al momento, non è ancora possibile parlare di guarigione. Generalmente la storia terapeutica dei pazienti affetti da MM viene divisa in tre ere: la prima a partire dagli anni sessanta quando si iniziò ad utilizzare il melfalan da solo o in associazione con il prednisone; la seconda negli anni ottanta con l’avvento del trapianto autologo di cellule staminali emopoitiche (ASCT), trattamento riservato ai pazienti più giovani senza comorbidità e la terza era dal 1999 quando sono stati introdotti nuovi farmaci come immunomodulanti, a partire dalla talidomide e dalla lenalidomide5, e l'inibitore del proteasoma di prima generazione, bortezomib6. Successivamente il panorama terapeutico si è ampliato con l’impiego degli inibitori del proteasoma di seconda generazione, carfilzomib e ixazomib7, l’analogo della talidomide pomalidomide8, gli anticorpi monoclonali come elotuzumab e daratumumab9 e altri farmaci e combinazioni di farmaci che sempre più vengono testati come possibili ulteriori evoluzioni del trattamento del MM10-13.

Dato il notevole aumento delle opzioni terapeutiche disponibili per i pazienti con MM, una delle principali sfide per il clinico è decidere quali farmaci usare e in quale ordine e/o combinazione14, 15. La terapia di combinazione, che utilizza farmaci di diverse classi con meccanismi d'azione distinti e sinergici, viene sempre più utilizzata nell'intento di indurre una risposta più profonda duratura e ridurre il rischio di sviluppare resistenza ai farmaci16, 17. Tuttavia, quando si prendono decisioni terapeutiche, è importante considerare i fattori correlati al paziente (ad es. età, comorbidità e eleggibilità al ASCT), i fattori correlati alla malattia (ad es. citogenetica, tumor burden e aggressività della malattia) e, nel caso di pazienti in recidiva, le terapie precedentemente eseguite (cioè il numero di precedenti linee terapeutiche, il tipo di molecola utilizzata, la risposta e la tollerabilità a terapie precedenti e la durata della risposta ottenuta)14, 16, 18-20. La possibile tossicità indotta dai farmaci è un aspetto molto importante considerando che la terapia multi-farmaco intensiva richiesta per raggiungere una maggiore profondità di risposta può provocare una significativa tossicità correlata al trattamento, tale da richiederne l’interruzione. Inoltre, l'obiettivo primario del trattamento può differire se siamo di fronte ad un paziente con una malattia di nuova diagnosi piuttosto che con una malattia in recidiva/refrattaria, cosa che può influenzare la scelta del regime farmacologico da utilizzare.

 
Trattamento del MM di nuova diagnosi – pazienti elegibili al trapianto di cellule staminali emopoietiche

L'attuale paradigma di trattamento per i pazienti affetti da MM di nuova diagnosi elegibili per l'ASCT è costituito da 4 fasi: induzione pre-trapianto, trapianto, consolidamento e mantenimento post-trapianto21. Il trattamento di induzione consiste generalmente in 4-6 cicli di immuno-chemioterapia con l'obiettivo di ottenere un rapido controllo della malattia, migliorarne i sintomi e consentire la successiva raccolta di cellule staminali da sangue venoso periferico. Durante gli anni '90 lo schema VAD (vincristina, doxorubicina e desametasone), basato sulla sola chemioterapia, era il regime di induzione maggiormente utilizzato22. Con l'introduzione della talidomide e del bortezomib lo schema di induzione al momento approvato in Italia per questa categoria di pazienti è il VTd (Bortezomib, Talidomide e Desametasone) che è stato valutato in numerosi studi randomizzati dimostrando una efficacia e durata di risposte migliori rispetto agli schemi di controllo23, 24. Numerosi studi in corso stanno valutando altre combinazioni di farmaci quali inibitori del proteasoma e immunomodulanti di seconda e terza generazione in associazione o meno agli anticorpi monoclonali. Anche se in precedenza si pensava che una efficace terapia di combinazione dovesse essere impiegata solo nel caso di malattia in recidiva, attualmente si ritiene che il suo utilizzo precoce in prima linea possa aumentare le possibilità di ottenere una risposta profonda e duratura, con risultati migliori a lungo termine. Ciò si basa sull'ipotesi che un trattamento efficace in una fase precoce di malattia può aumentare la probabilità di eradicare la maggior parte, o addirittura tutti, i subcloni del MM25. Inoltre, i pazienti hanno maggiori probabilità di presentare comorbidità e quindi complicanze correlate alla malattia e al trattamento nelle successive linee di terapia con conseguente incapacità di tollerare combinazioni di farmaci più potenti. Pertano, l'uso precoce di schemi terapeutici che si basano sulla combinazione di più farmaci aumenta l’efficacia e la probabilità di una risposta profonda e duratura25. Sebbene siano necessari ulteriori studi per determinare il beneficio dei moderni regimi di trattamento di combinazione in prima linea di terapia, si prevede che essi possano migliorare le risposte e l’andamento della malattia a lungo termine26 e quindi di sostituire lo schema VTd come terapia di induzione. Il regime di condizionamento standard prima del trapianto autologo è quello con melfalan (HDM) somministrato per via endovenosa ad una dose di 200 mg/m2. In passato sono stati utilizzati dosaggi più bassi di melfalan (140, 70 e 100 mg/m2) e dosaggi più elevati (7 gr/m2) che tuttavia non sono stati confrontati in modo prospettico27. Altri regimi di condizionamento, compresi i nuovi farmaci, sono stati finora valutati solo in studi a braccio singolo28. Data l'efficacia e il profilo di tossicità favorevole di HDM, questo regime rimane tutt'ora lo standard terapeutico. Il consolidamento è un approccio comunemente adottato dopo il trapianto autologo per migliorare la profondità della risposta ottenuta. È una procedura molto utilizzata in Europa, ma non è stata ancora approvata in Italia a causa di risultati discordanti ottenuti negli studi randomizzati29, 30. La fase successiva consiste nell’impiego di una terapia di mantenimento che ha l’obiettivo di prolungare la durata della remissione senza influire sulla qualità della vita dei pazienti. Al momento in Italia i farmaci approvati con questa indicazione sono la talidomide e la lenalidomide31. Quest’ultima è, di gran lunga, la più utilizzata perché meglio tollerata per l’assenza di neurotossicità indotta invece dalla talidomide.


Trattamento del MM di nuova diagnosi – pazienti non elegibili al trapianto di cellule staminali emopoietiche

I criteri di non elegibilità alla terapia ad alte dosi e trapianto autologo non sono ben definiti, ma si ritiene che l'uso di misurazioni strutturate del performance status o di un indice di fragilità, piuttosto che della semplice età, rappresentino strumenti più appropriati per determinare il miglior approccio terapeutico per i pazienti più anziani affetti da MM19, 32. Tuttavia, anche per questa categoria di pazienti, l'obiettivo del trattamento iniziale è quello di ottenere la risposta più profonda possibile senza però indurre una tossicità che comprometta la qualità di vita o che determini riduzione della sopravvivenza. Infatti, in questa categoria di pazienti una maggiore intensità di trattamento non si traduce necessariamente in una migliore efficienza di cura. Questi risultati sottolineano ulteriormente la necessità di terapie attive ed efficaci per i pazienti più anziani e, allo stesso tempo, richiedono ulteriori studi per bilanciare gli effetti collaterali e il peso del trattamento, che sono più accentuati in questa popolazione.

Le combinazioni di melfalan e prednisone più talidomide o bortezomib (MPT e MPV, rispettivamente) sono state approvate nel 2009 anche in Italia e raccomandate dalle linee guida internazionali (EMN, ESMO, IMWG) per il trattamento di pazienti non elegibili per ASCT33-35. A queste due opzioni terapeutiche si è poi aggiunto nel 2015 lo schema Rd (lenalidomide e desametasone) che al momento viene preferito al MPT a causa della neurotosicità indotta dalla talidomide.


Trattamento dei pazienti recidivati o refrattari

Per identificare il trattamento idoneo in caso di recidiva/progressione nel MM, è necessario prendere in considerazione una serie di fattori prima di iniziare la terapia36-38. Molti fattori influenzano la decisione o la scelta della terapia di salvataggio, come il tipo di schema terapeutico utilizzato in prima linea (le linee guida suggeriscono di utilizzare una molecola diversa da quella utilizzata precedentemente), l'età del paziente (ad esempio, se è ancora eleggibile per un secondo ASCT), la durata della risposta a una precedente induzione o ASCT, gli effetti collaterali residuati dai trattamenti precedenti (ad esempio, neuropatia periferica), co-morbidità (ad es. va fatta attenzione all'uso di lenalidomide nella compromissione della funzione renale o di carfilzomib nell'insufficienza cardiaca) o presenza di alterazioni citogenetiche, come la delezione del cromosoma 17, che permette di definire il paziente ad alto rischio citogenetico, caratteristica predittiva di una risposta di breve durata anche alla chemioterapia ad alte dosi seguita da un doppio ASCT39, 40. Negli ultimi anni, nuovi farmaci e schemi di trattamento sono stati proposti per i pazienti recidivati o refrattari41. Due schemi di trattamento basati sull’utilizzo dell’anticorpo monoclonale anti-CD38 (Daratumumab) hanno mostrato efficacia in questo setting di pazienti con buon profilo di tollerabilità e sicurezza: daratumumab-lenalidomide-desametasone (DRd) e daratumumab-bortezomib-desametasone (DVd). Ulteriori alternative considerate efficaci in termini di risposta e sicure in termini di tossicità, basate sempre su combinazioni di più farmaci, comprendono: carfilzomib-lenalidomide-desametasone (KRd); ixazomib-lenalidomide-desametasone (IRd); elotuzumab-lenalidomide-desametasone (ERd).

Sono in corso numerosi studi per valutare l’efficacia e la sicurezza della immunoterapia: nello specifico, anticorpi coniugati con farmaci citotossici che si legano a specifiche proteine espresse sulla superficie delle cellule patologiche come il B-cell maturation antigen (BCMA); anticorpi bispecifici che sono in grado di legarsi contemporaneamtne a due diversi antigeni di superficie sulla plasmacellula e sul linfocita T attivando la risposta immunitaria contro le cellule patologiche e la terapia cellulare con chimeric antigen receptoris T cells (CAR-T) dirette verso diversi antigeni di superficie della plasmacellula. Altri farmaci valutati in studi prospettici, ma attualmente non in indicazione per la recidiva di malattia in Italia, comprendono il venetoclax, inibitore orale della proteina anti-apoptotica bcl-2, che sembra avere attività come farmaco singolo in pazienti con MM che presentano la traslocazione (11; 14)42. L’altro anticorpo anti CD38 isatuximab43, il selinexor44 e la molecola LGH‐447 (un inibitore della pan PIM chinasi)45.

In conclusione possiamo affermare che la prognosi dei pazienti affetti da MM, negli ultimi anni, è decisamente migliorata grazie alla possibilità di utilizzare molecole sempre più attive e numerose che tuttavia al momento non ci consentono ancora di parlare di guarigione. È possibile però essere ottimisti considerando i tanti farmaci e combinazioni di essi che ci aspettiamo di poter utilizzare nei prossimi anni.


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