Dott.ssa Anna Rita Rizzo

U.O.S.D. Chirurgia Vascolare, Ospedale S. Eugenio, ASL Roma 2

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2019-2020

Vol. 64, n° 3, Luglio - Settembre 2020

ECM: Innovazione nel trattamento del tromboembolismo venoso e delle arteriopatie

25 febbraio 2020

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Arteriopatie periferiche rivascolarizzate: terapia medica

A. Rizzo, F. Accrocca, R. Gabrielli, A. Siani, S. Bartoli

L’arteriopatia periferica (PAD) rappresenta una delle più frequenti manifestazioni della malattia aterosclerotica. La PAD è presente nel 4-12% dei soggetti di fascia di età 55-70 anni, e la sua prevalenza aumenta con l’età1.

La PAD rappresenta il più potente marker di rischio cardiovascolare sia per morbilità che mortalità (IMA ed ictus cerebri)2. La mortalità cardiovascolare, soprattutto per infarto del miocardio e ictus, è 3-4 volte maggiore rispetto ai soggetti di pari età e sesso senza claudicatio1.  Inoltre una concomitante PAD in pazienti con una cardiopatia ischemica comporta una maggiore gravità della malattia coronarica e una più rapida progressione con una prognosi più sfavorevole per quanto attiene agli eventi cardiovascolari2, 3.

Nonostante queste evidenze, la PAD rimane sottostimata e sottotrattata per quanto attiene al controllo dei fattori di rischio. Le recenti linee guida europee ESC-ESVS 2017 identificano chiaramente l’importanza dell’approccio clinico per rilevare la PAD, che dovrebbe coinvolgere sia i medici di Medicina Generale che gli specialisti.

Il trattamento infatti, è multidisciplinare e può essere suddiviso in alcune categorie in relazione allo stadio clinico:

- terapia preventiva della morbilità-mortalità cardiovascolare e della progressione della malattia (prevenzione secondaria);

- terapia fisica e farmacologica del paziente sintomatico;

- terapia chirurgica (classica, endovascolare o ibrida);

- terapia palliativa.

L'approccio terapeutico nei pz con PAD include due aspetti:

1. valutare i sintomi specifici in base al distretto anatomico e il rischio correlato alla lesione;

2. gestire il rischio correlato ad eventi cardiovascolari.

La Best Medical Therapy (BMT) della PAD, indicata dalle linee guida americane prima (2016)4 ed europee poi (2017)5, comprende sia la correzione dei fattori di rischio sia i cambiamenti degli stili di vita considerati terapeutici con l’obiettivo di ridurre non solo i sintomi e migliorare la capacità funzionale del paziente, ma di rallentare la progressione dell'aterosclerosi sistemica e la riduzione della morbilità e mortalità per cause cardiache e cerebrovascolari67 (Tab. 1).

 

Tab. 1: BMT nella PAD (Linee guida ESC-ESVM 2017)

 

La terapia medica dovrebbe considerare in modo differente la PAD asintomatica, nella quale l’obiettivo più importante è quello di ridurre i “Major Adverse Cardiac Events” (MACE), e la PAD sintomatica, nella quale gli obiettivi sono quelli di ridurre MACE e i “Major Adverse Limb Events” (MALE) e di migliorare i sintomi della malattia.

Le statine sono indicate sia nei pazienti asintomatici che nei pazienti sintomatici, nei quali riducono effettivamente il rischio di MACE e MALE e migliorano i sintomi nella claudicatio intermittens (CL).  Le nuove linee guida ESC del 2017, confermano come l’uso di statine nei pazienti con PAD rappresenta una delle azioni terapeutiche più importanti per attuare la cosiddetta miglior terapia medica.  Dato che la presenza di PAD è strettamente correlata a manifestazioni di aterosclerosi polidistrettuale, l’impiego di statine nei pazienti con PAD riduce mortalità e morbilità per malattie cardiovascolari6, 7, 8, 9.  Inoltre secondo le attuali linee guida ESC-ESVM 2017, si consiglia come target pressione arteriosa <140/90 mmHg eccetto nei pazienti con diabete, per i quali una pressione diastolica < 85 mmHg è considerata sicura10 (Tab. 1).

La terapia con antiaggreganti piastrinici è controversa nei pazienti asintomatici, mentre nei pazienti sintomatici viene raccomandata soprattutto per ridurre i MACE, con preferenza per clopidogrel rispetto ad ASA. 

Gli studi sulla BMT nella PAD comunque sono numericamente e qualitativamente molto inferiori a quelli che riguardano la cardiopatia ischemica, il che ha generato raccomandazioni e livelli di evidenza meno forti. Spesso gli studi non sono stati pensati per la PAD e i dati relativi alla PAD sono stati mutuati da casistiche di pazienti con cardiopatia ischemica o ictus. Nell’ultimo anno abbiamo assistito a un crescente interesse per la PAD, anche grazie ai risultati di importanti studi quali l’EUCLID11, il COMPASS12 e il FOURIER13, che hanno valutato specificatamente la PAD.

Il COMPASS, trial randomizzato, controllato e in doppio cieco, al quale hanno preso parte 602 centri di 33 Paesi, ha arruolato 27.395 pazienti con vasculopatia aterosclerotica stabile (di cui il 90,6% con CAD e il 27,3% con PAD). I partecipanti sono stati suddivisi in tre bracci e assegnati casualmente al trattamento con rivaroxaban 2,5 mg/die più aspirina 100 mg/die, il solo rivaroxaban 5 mg/die oppure la sola aspirina 100 mg14.

La combinazione di Rivaroxaban con Aspirina ha ridotto i decessi per cause cardiovascolari, gli infarti del miocardio e gli ictus del 24%, ha migliorato la sopravvivenza del 18% e ha mostrato di ridurre anche un altro endpoint importante per questa popolazione di pazienti: gli eventi avversi maggiori a carico degli arti (MALE), comprese le amputazioni maggiori.

La combinazione rivaroxaban a basso dosaggio e aspirina sembra essere quindi un approccio vincente per migliorare gli outcome nei pazienti con malattia aterosclerotica perferica. Inoltre, fino ad oggi nessuna terapia aveva mostrato un chiaro beneficio nel ridurre sia i MACE sia i MALE14.

Tuttavia Rivaroxaban, sia combinato con l'aspirina sia in monoterapia, ha mostrato un aumento del rischio di sanguinamento pur non essendo stato fatale.

Questi risultati in termini di riduzione di MACE e MALE in pazienti con PAD hanno portato a una maggior attenzione per questa patologia “orfana”, stimolando i clinici a una più efficace diagnosi della PAD mediante ABI e a mettere in atto strategie di prevenzione secondaria, considerando la PAD come un equivalente coronarico.

Attenzione particolare va indirizzata anche nei confronti del paziente diabetico. Spesso il quadro di “piede diabetico ischemico” è associato ad una prognosi infausta con un tasso di amputazioni e mortalità ad un anno pari al 30 e al 25 %, rispettivamente15. Pertanto la rivascolarizzazione, chirurgica o percutanea, rappresenta il trattamento di scelta16, permettendo di migliorare la sopravvivenza e ridurre il tasso di amputazioni17. Tuttavia, nonostante sia aumentata la possibilità di accedere a tali procedure negli ultimi anni, fino al 50% dei pazienti affetti da ischemia critica (CLI) non è candidabile alla rivascolarizzazione e pertanto la mortalità a lungo termine rimane elevata18.  Per tali ragioni, la prognosi dei pazienti affetti da CLI è peggiore di quella di molti tipi di cancro19. I pazienti con PAD presentano un’elevata prevalenza di coronaropatia e patologie cerebrovascolari con un aumento fino a sei volte del rischio di mortalità cardiovascolare20. Infatti, la morte avviene principalmente per cause cardiovascolari non necessariamente direttamente correlate all’ischemia degli arti inferiori o alle sue complicanze.

Questi dati clinici ed epidemiologici dimostrano che, in questi pazienti deve essere previsto un trattamento multidisciplinare:

- correzione dei fattori di rischio cardiovascolare e delle patologie concomitanti (abolizione del fumo, stretto controllo metabolico del diabete mellito mediante utilizzo di insulina in presenza di lesioni trofiche, correzione farmacologica dello scompenso cardiaco, della cardiopatia ischemica e delle aritmie cardiache, monitoraggio attento della terapia antipertensiva e anticolesterolemica);

- terapia farmacologica di supporto con antiaggreganti, anticoagulanti, statine e ACE-inibitori nella prevenzione primaria e secondaria degli eventi cerebro- e cardiovascolari;

- impiego di un’efficace terapia analgesica (antidolorifici, oppiacei ecc);

- trattamento topico delle lesioni ulcero-gangrenose (sbrigliamento chirurgico delle zone necrotiche e periodiche medicazioni locali, uso di calzature appropriate, eventuale utilizzo di ossigenoterapia iperbarica);

- terapia antibiotica per via sistemica in presenza di lesioni trofiche infette (dopo tampone cutaneo e antibiogramma);

- terapia farmacologica con prostanoidi (che possono essere usati per via endoarteriosa o endovenosa).

Nel management odierno del paziente con PAD, la terapia che non preveda utilizzazione di tecniche chirurgiche e/o interventistiche può essere formulata con diverse sostanze farmacologiche, schematizzabili in tre differenti categorie: terapia con farmaci convenzionali non appartenenti alla categoria dei prostanoidi; terapia genica e cellulare staminale.  Per quest’ultime, da quando è stato scoperto il ruolo delle cellule circolanti nell’angiogenesi post-natale, numerosi studi clinici sono stati realizzati al fine di valutare l’efficacia della terapia cellulare nel trattamento dell’ischemia critica degli arti inferiori. Gli studi sono molto eterogenei e comprendono: case reports, trials non controllati, trials non randomizzati controllati e trials randomizzati controllati (RCTs).


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