Dott. Paolo Battistoni

Pneumologo Interventista Endoscopia Toracica, Az. Osp. San-Camillo Forlanini, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2015-2016

Vol. 60, n° 2, Aprile - Giugno 2016

ECM: Cuore Polmone 2016

23 febbraio 2016

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La BPCO come malattia sistemica

P. Battistoni

La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è caratterizzata da limitazione del flusso aereo dovuta a infiammazione/rimodellamento delle vie aeree periferiche (bronchiolite ostruttiva) e a distruzione degli spazi aerei distali al bronchiolo terminale (enfisema polmonare) spesso associata, senza rapporto causale e temporale diretto, a interessamento delle vie aeree più prossimali (bronchite cronica).

            Già nel 2006 le linee guida GOLD davano risalto anche alla presenza di alcuni significativi effetti extrapolmonari e di importanti comorbidità in grado di contribuire alla gravità della malattia nei singoli pazienti. Questa definizione ha modificato sostanzialmente la tradizionale visione della malattia che era centrata essenzialmente sulla presenza dell’ostruzione al flusso aereo1.

            Classificare una condizione morbosa in modo univoco, tra le manifestazioni sistemiche (cioè effetti extrapolmonari) o tra le comorbidità, in rapporto al livello di conoscenze attuali, è spesso difficile: le une sarebbero condizioni morbose “complicanti”, le altre malattie “con-causali” (che ne condividono cioè i fattori di rischio). Di fatto anche negli aggiornamenti 2014/15 delle linee guida GOLD queste affezioni (croniche) che si associano frequentemente alla BPCO, vengono  globalmente definite “comorbidità”, pur riconoscendone peculiarità diverse (le une collegate per evidenza di caratteristiche in comune, le altre correlate per causa e per reciproco incremento del rischio)2,3.

            Fatta salva la terminologia, nella BPCO si assiste, come se non bastasse, alla comparsa di diverse condizioni morbose extrapolmonari, con variabile ma significativa  prevalenza. Le comorbidità più rilevanti e frequenti includono la presenza di malnutrizione coinvolgente soprattutto perdita e disfunzione della muscolatura scheletrica, osteoporosi, alterazioni metaboliche, compreso il diabete mellito, compromissione cardiovascolare (cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, aritmie quali in particolare la fibrillazione atriale, ipertensione arteriosa, embolia polmonare), ansia /depressione3,4,5.

            Le comorbidità influenzano notevolmente il decorso della BPCO, indipendentemente dalla limitazione al flusso aereo, connotato fisiopatologico di gravità della malattia, a tal punto che clinicamente non la si può più considerare confinata ai  soli polmoni, bensì vera e propria malattia complessa. Prognosi, morbilità, capacità funzionale, qualità di vita, ospedalizzazione, mortalità e costi dell’assistenza sanitaria ne risultano chiaramente condizionati, specie quando l’ostruzione delle vie aeree diventa più severa; comunque, in tutti gli stadi di gravità della BPCO il rischio di mortalità aumenta con il numero di comorbidità contemporaneamente presenti. Nei due terzi dei casi i pazienti con BPCO muoiono per disordini non respiratori6,7.

            Le comorbidità rappresentano semplicemente la coesistenza di alcune malattie, abituali, età-dipendenti, o invece sono patogeneticamente connesse alle alterazioni polmonari che caratterizzano la BPCO?  Le comorbidità compaiono solamente per l’intervento di fattori di rischio in comune, o piuttosto esiste un filo conduttore che le lega tutte, BPCO compresa?

            Nei polmoni dei fumatori si genera una chiara risposta infiammatoria, ma nello sviluppo della BPCO il processo assume connotati di cronicità esagerati e anomali.  Se un normale processo infiammatorio rappresenta un meccanismo di difesa per l’organismo contro danni e infezioni, una risposta infiammatoria alterata e prolungata diventa essa stessa causa di malattia.

Proprio i connotati dell’infiammazione cronica polmonare possono svelare il comune percorso di collegamento con le comorbidità e la spiegazione del perché esse si sviluppano tipicamente insieme.

            Nei polmoni, in risposta all’inalazione cronica di agenti nocivi,  si verifica accumulo di diversi elementi cellulari con ruoli determinanti sia nell’immunità naturale, sia in quella acquisita. Macrofagi, neutrofili, linfociti T (ma anche cellule dendritiche, eosinofili e altri linfociti, quali cellule NK, cellule γδ, linfociti B) vanno incontro ad attivazione insieme a cellule strutturali (epiteliali, endoteliali) e fibroblasti.

            Un ruolo chiave nell’orchestrazione del processo infiammatorio cronico della BPCO, attraverso il reclutamento, l’attivazione e la promozione della sopravvivenza delle innumerevoli cellule, viene svolto dalle citochine. Questi mediatori molecolari dell’infiammazione, sono sintetizzati e rilasciati dalle stesse cellule infiammatorie e strutturali e stabiliscono intricate correlazioni fra loro stessi e fra cellule produttrici e cellule bersaglio. Appartengono alla vasta famiglia delle citochine: chemochine (ad azione chemiotattica per le cellule infiammatorie, come IL-8, GRO-α),  linfochine (secrete dai linfociti T regolanti le risposte immuni, come IFN-γ), fattori di crescita (che promuovono la sopravvivenza cellulare e conducono a modificazioni strutturali nelle vie aeree, come TGF-β, GM-CSF, EGF, VEGF), citochine pro-infiammatorie (che amplificano l’infiammazione, come TNF-α, IL-1β, IL-6) e citochine anti-infiammatorie8.

            Linfociti citotossici da una parte, neutrofili (e macrofagi), produttori di enzimi proteolitici, dall’altra, sono fautori della distruzione delle strutture alveolari; mentre la proliferazione dei fibroblasti conduce invariabilmente al rimodellamento delle pareti delle piccole vie aeree; tutti questi eventi, irreversibili, ai quali si associa la diffusa ipersecrezione di muco, danno ragione della grave e persistente compromissione funzionale dell’apparato respiratorio9.

            Ad aggravare notevolmente i danni dell’infiammazione cronica, si aggiunge poi il fenomeno dello stress ossidativo dovuto all’enorme sproporzione tra l’attività ossidante delle specie reattive dell’ossigeno - R.O.S. - (esogene, provenienti dagli agenti nocivi inalati ed endogene, prodotte dalle stesse cellule infiammatorie e strutturali)  ed i meccanismi di difesa antiossidanti. Gli estesi processi di ossidazione a carico delle macromolecole cellulari conducono alla formazione di carbonili reattivi che, provocando la “carbonilazione delle proteine”, determinano il cosiddetto stress carbonilico, causa a sua volta di effetti innumerevoli e devastanti10.

            Citochine quali TNF-α, IL-1β, IL-6, TGF-β, leucociti attivati (neutrofili, linfociti, monociti), proteine della fase acuta (PCR), si riscontrano abitualmente nel plasma dei pazienti affetti da BPCO, a documentare la presenza di uno stato d’infiammazione sistemica cronica di basso grado. E’ proprio questo il terreno comune su cui si stabilisce un legame tra BPCO e comorbidità, poiché anch’esse si presentano con i medesimi attori dell’infiammazione in circolo11.

            D’altra parte, il rilievo di una prevalenza delle comorbidità decisamente più elevata nei soggetti con BPCO alimenta fortemente il sospetto che questa malattia sia responsabile dell’insorgenza delle comorbidità stesse, attraverso un fenomeno detto dello spill-over, cioè dello spandimento in circolo dell’infiammazione polmonare con effetti secondari a carico di organi ed apparati3,12.

            Da questa interpretazione patogenetica che mantiene la BPCO al centro del processo, può scaturire la visione da un’altra angolatura, in cui riconoscendo l’importanza cardinale dell’infiammazione sistemica cronica, le si attribuisce il ruolo di primum movens patogenetico; la BPCO, al pari delle altre manifestazioni extrapolmonari, diventa così una delle forme di espressione clinica di un processo che si manifesta con variabile compromissione multiorgano13.

            Già alcuni anni fa, per stimolare la discussione intorno a questo nuovo, interessante punto di vista è stata proposta (Fabbri. The Lancet 2007) un’originale entità morbosa, la sindrome infiammatoria sistemica cronica, caratterizzata dalla presenza di almeno tre di sei componenti: età > 40 anni, fumo > 10 pacchetti/anno, sintomi di alterata funzione polmonare compatibile con BPCO, insufficienza cardiaca cronica, sindrome metabolica, livelli di PCR aumentati. La visione da questa prospettiva favorisce un approccio globale alla diagnosi e alla valutazione di gravità nella ricerca di anomalie cliniche e funzionali dei sistemi respiratorio, cardiovascolare e metabolico14.

            Dirimere la questione, “l’infiammazione locale è l’origine per diffusione di quella sistemica oppure, esiste dall’inizio un’infiammazione sistemica con successivo effetto multiorgano, che coinvolge fra l’altro il polmone”, non è semplicemente la trasposizione scientificadel dilemma che ‘attanaglia’ l’umanità da migliaia di anni, cioè “se sia nato prima l’uovo o la gallina”, ma può avere delle rilevanti ripercussioni sull’atteggiamento terapeutico o perlomeno dare sostanza all’impegno dei ricercatori in campo farmacologico, a sostegno di una visione più “olistica”, per la semplificazione delle cure15.

            Allo stato attuale le linee guida internazionali definiscono meticolosamente l’atteggiamento terapeutico per le singole malattie ma ignorano il fatto che  la gran parte  dei pazienti affetti da una malattia cronica presentano contemporaneamente svariate comorbidità. Tutto ciò si traduce spesso in multipli, diversi regimi terapeutici che da una parte incrementano effetti indesiderati e collaterali per le interazioni farmacologiche, dall’altra riducono la compliance individuale alle cure. Anche se le linee guida GOLD, in  particolare, riconoscono alle comorbidità la possibilità di avere un importante impatto sulla prognosi, in tema di trattamento, in mancanza di validi presidi alternativi, suggeriscono salomonicamente: “…. In generale la presenza di comorbidità non modifica il trattamento della BPCO e le comorbidità vanno trattate come se il paziente non avesse la BPCO”2.

            La svolta nella terapia potrebbe venire dall’impiego di farmaci per i quali si possa documentare efficacia nella remissione dell’infiammazione sistemica cronica16.

            I farmaci al momento in uso per la BPCO, broncodilatatori per via inalatoria (β-agonisti, anticolinergici) hanno modesta attività in tal senso17; l’attività antinfiammatoria dei cortisonici è peraltro ostacolata nella BPCO dall’instaurarsi di un meccanismo di resistenza; qualche effetto benefico sull’infiammazione polmonare è posseduto dalla Teofillina. I farmaci abitualmente utilizzati per il trattamento delle varie comorbidità sono potenzialmente efficaci, ma per essi sono necessari ulteriori approfondimenti: le Statine (con i loro  effetti pleiotropici), i Glitazoni ed i Fibrati (agendo come agonisti dei recettori  attivati dai proliferatori  perossisomiali, PPAR-γ e PPAR-α), gli ACE -inibitori (è nota l’attività pro-infiammatoria dell’Angiotensina II)3.

            La complessità della malattia e la limitata conoscenza delle basi fisiopatologiche e dei meccanismi molecolari rendono problematica ricerca e sviluppo di nuovi farmaci.

            Antagonisti recettoriali di diverse citochine e chemochine oppure agenti bloccanti i mediatori infiammatori già in uso per altre patologie o in corso di iniziale sperimentazione non sembrano mostrare efficacia a fronte di svariati e pesanti effetti collaterali; ne sono un esempio gli anticorpi monoclonali, quale l’Infliximab, bloccante del TNF-a, che oltre a risultare inefficace in quest’ambito, provocherebbe aumento di incidenza di infezioni polmonari e cancro.

            Le molecole più promettenti sono quelle che agendo su specifiche attività enzimatiche interferiscono nei percorsi della segnalazione intracellulare per la regolazione genica. Esempio di queste sono gli inibitori della Fosfodiestarasi4 (PDE4-inibitori), quale il Roflumilast, di recente introduzione nella pratica clinica, farmaco indicato nel fenotipo “riacutizzatore frequente” con BPCO in fase avanzata18. Farmaci attualmente in corso di studio sono gli inibitori  della Fosfoinositide3 Kinasi (Pi3K inibitori), della ProteinKinasi Attivata dai Mitogeni p38 (p38-MAPK inibitori), del Fattore Nucleare kB (NF-kB inibitori), della Janus Kinasi (JAK inibitori)3,16,19,20.

            Interessante è anche la ricerca intorno ai farmaci attivatori della Deacetilasi degli Istoni, come le Sirtuine che consentendo la normale trascrizione genica, rallentano l’invecchiamento cellulare e riducono l’infiammazione neutrofila16,20,21.

            Un altro fronte sul quale si rivolgono gli studi è l’attenuazione della resistenza ai corticosteroidi per la quale oltre alle Sirtuine stesse si stanno sperimentando inibitori selettivi della PI3K-δ e Macrolidi non antibiotici20,21. A tale proposito sarebbero molto utili anche agenti antiossidanti20,21; mentre quelli attualmente disponibili (a base di glutatione) sono deboli ed inattivati dallo stress ossidativo stesso, si sta lavorando sui regolatori della genesi degli antiossidanti endogeni, quale  il fattore di trascrizione Nrf2 - fattore nucleare 2 eritroide 2-correlato (di questi se ne conosce un attivatore naturale, il Sulforafane, presente nei broccoli)16.

            Da ultimo, poiché è dimostrato che l’inattività è causa di aumento significativo dei marker di infiammazione sistemica, la Riabilitazione Polmonare, se integrata con interventi sullo stile di vita, può acquisire la capacità di rivolgersi anche alle comorbidità associate. In questo senso, la riabilitazione polmonare, allo stato attuale, sembra essere l’unico, ampio approccio terapeutico che ne rispetti una vera visione olistica15.


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