Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 2, Aprile - Giugno 2019

ECM: Il mondo sorretto da Atlante. L’importanza delle discipline non chirurgiche nel trapianto di fegato

22 gennaio 2019

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Radiologia interventistica e trapianti

R. Cianni, P. Riu

Dal primo trapianto di fegato 50 anni fa, sono sati eseguiti notevoli progressi in vari campi con, come risultato, un aumento dei tassi di sopravvivenza nei pazienti trapiantati. E questi, non solo nella tecnica chirurgica e nel campo dei trattamenti immunosoppressivi, ma soprattutto nelle innovazioni in radiologia interventistica, sono stati notevoli negli ultimi 10-15 anni. Hanno consentito di trattare i pazienti in lista d’attesa, ma anche le complicanze o recidive di malattia in post trapianto.

Le innovazioni tecnologiche in materia di apparecchiature con angiografi di ultima generazione sono state fondamentali per eseguire interventi mini invasivi sempre più complessi e delicati.

Più ancora la rivoluzione terapeutica rappresentata dalla radio embolizzazione ha consentito di trattare pazienti con HCC fino ad allora esclusi da qualsiasi schema terapeutico, stage B and C of “Barcelona clinic liver cancer (BCLC) staging”.

Le indicazioni suggerite della radio embolizzazione in questa popolazione di pazienti sono le seguenti:

-stage intermediate:tumore bilobare or estensione tumorale del 20-40%, se bilirubina <2mg;

-stage advanced: invasione portale, nell’assenza di malattia extra epatica, funzionalità epatica conservata.

La radioembolizzazione ha consentito di riportare un gran numero di questi pazienti all’interno di criteri di Milano (sia bridging che downstaging) e di trapiantarli con risultati di sopravvivenza sovrapponibili agli altri pazienti. Ne è testimone il lavoro pioniere del nostro Gruppo del Word Journal of Surgery 20171.

Forse una nuova era di Transplant Oncology sta iniziando, con nuove strategie basate su markers biologici e dinamici, invece che su parametri morfologici e statici, aprendo le porte ad una espansione dei criteri di Milano e all’incremento delle terapie locoregionali2.

Nonostante lo sforzo educazionale sulla donazione di organi, permangono un pool limitato di donatori, e una lista d’attesa importante.

Il controllo della progressione tumorale, con terapie ablative percutanee, chemio o radioembolizzazione, non solo evita il drop-out in lista d’attesa, ma contribuisce anche all’aumento della sopravvivenza post trapianto.

La TIPS (transjugular intrahepatic portosystemic shunt) riduce la mortalità per emorragia variceale, controllando l’ipertensione portale con rispetto dell’anatomia vascolare extra epatica senza compromettere il trapianto o impattare la funzionalità epatica.

Dopo il trapianto i campi d’applicazione della radiologia interventistica sono i seguenti:

-aiuto alla diagnosi di eventuali malattie del graft con biopsia transgiugulare e misurazione delle pressioni

e soprattutto

-trattamento delle eventuali complicanze vascolari, in minor misura biliari3, le quali rimangono prevalentemente competenza dell’endoscopista.

Senza dimenticare il trattamento delle oligo-recidive tumorali o dell’ipertensione portale nella recidiva di malattia cirrotica.

Le complicanze vascolari sono gravate da un’alta morbidità, dalla possibilità di perdita del graft e persino da un rischio di mortalità.

Inoltre la loro presentazione clinica è molto variabile, spesso difficile da distinguere da altre complicanze post trapianto, biliari, rigetto, disfunzione del graft, e infezioni. Deve essere sospettata in qualunque paziente trapiantato con alterazioni della funzionalità epatica.

L’incidenza delle varie complicanze vascolari in letteratura varia a seconda della tecnica e dei gruppi. Può riguardare l’arteria epatica, la vena porta ma anche l’outflow con percentuali variabili:

-          arteria epatica, stenosi 4-11%, occlusioni 3-20%

-          vena porta 1-3%

-          vena sovra epatica/anastomosi cava (out flow) <2%.

Le steno-occlusioni arteriose sono le complicanze più frequenti e più temute.

Le stenosi dell’arteria epatica sono classicamente associate a un deterioramento della funzionalità epatica, ma non sempre. Sono abbastanza precoci, in generale tra 1 e 6 mesi post trapianto. Esiste una relativa indicazione al trattamento delle stenosi asintomatiche perché più del 65% dei pazienti diventa sintomatico se la stenosi non è trattata, con lo sviluppo di complicanze biliari.

La diagnosi e il trattamento precoce prevengono i danni d’organo e la trombosi secondaria, la quale è gravata da un’alta incidenza di morbidità e mortalità per insufficienza epatica, danno biliare e sepsi secondaria.

La trombosi dell’arteria epatica è la più severa complicanza vascolare dopo trapianto. Induce una necrosi biliare duttale e una sepsis incontrollata. Rappresenta più del 50% di tutte le complicanze vascolari, ed è la più importante causa di graft failure che necessita di ritrapianto con percentuale di mortalità che può raggiungere il 60%.

La vascolarizzazione del parenchima e dell’albero biliare è sostenuta esclusivamente dall’arteria epatica. La circolazione collaterale è povera nel post trapianto immediato. Si sviluppa in seguito, con l’adesione del fegato al diaframma, al tessuto peritoneale (arterie freniche) e all’omento in un periodo di 2-4 mesi post-trapianto. Lo sviluppo di tale collateralità spiega verosimilmente la paucità dei sintomi nelle trombosi o stenosi severe più tardive, e previene un risultato disastroso in tale situazione.

Esistono classicamente due modalità terapeutiche per la trombosi dell’arteria epatica: tuttavia il trattamento più effettivo, il ritrapianto rimane controverso e limitato dal pool di donatori, dalla mancanza in vari centri di sistema di back-up, etc.

La rivascolarizzazione chirurgica urgente come scelta primaria offre la possibilità di evitare il ritrapianto ma probabilmente in pazienti asintomatici, o in caso di diagnosi precoce, riservando il ritrapianto in caso di pazienti sintomatici o d’insuccesso.

Sulla scia di tale concetto, vari studi suggeriscono che la trombosi dell’arteria  epatica possa essere trattata con successo con tecniche endo-vascolari includendo trombolisi endovascolare, angioplastica e stenting della stenosi sottostante. Appare fondamentale la precocità di diagnosi e di intervento.

In particolare una review della letteratura pubblicata nel 2010 rivede l’uso combinato di tali metodiche. 69 casi sono stati riportati in 16 studi sia come salvataggio che come terapia definitiva con l’intento di riservare la chirurgia per gli insuccessi o complicanze4.

La stenosi portale anastomotica è una complicanza post-operatoria riportata in meno di 3% dei pazienti dopo LT. Sono diagnosticate nel post operatorio precoce o tardivo, da 10 a 30% dei pazienti sono asintomatici, gli altri presentano sintomi di ipertensione portale (varici, ascite, splenomegalia). Le tecniche di imaging non invasive dimostrano normalmente sia la stenosi che eventuali trombi associati. Il trattamento endovascolare è efficace e migliora la sopravvivenza del graft.

La stenosi dell’outflow è una complicanza rara ma maggiore. Nel post operatorio precoce è dovuta prevalentemente a torsione, più raramente ad anastomosi serrata, in fase tardiva a fibrosi o ipertrofia. Clinicamente i pazienti presentano ascite refrattaria o versamento pleurico, edema o disfunzione epatica. La diagnosi può essere sospettata sull’imaging ma viene confermata  dalla misurazione del gradiente di pressione.

Il trattamento endovascolare con angioplastica e stenting migliora la sopravvivenza del graft.           

Le complicanze biliari dopo trapianto non sono rare, e possono essere suddivise in due gruppi: stenosi e leaks (biloma). Il biloma è frequente, riguarda dal 10 al 40% dei pazienti trapiantati. Il trattamento è il drenaggio percutaneo.

Le stenosi rappresentano un problema più complicato, e possono essere suddivise in stenosi anastomotiche e non anastomotiche.

Le stenosi anastomotiche avvengono nella maggior parte dei casi su base ischemica, meno frequentemente sono dovute ad altre cause quali ABO incompatibiliy, CMV infections, rigetto cronico, recidiva di malattia sul graft, prolungata ischemia fredda. L’ipotesi ischemica si spiega con l’interruzione della vascolarizzazione della via biliare extra epatica nell’epatectomia del donatore. Il trattamento è endoscopico (stenting).

La complicanza biliare più drammatica è la bile cast syndrome. Le etiologie sono multiple, principalmente ischemiche, trombosi dell’arteria epatica o tempi prolungati di ischemia calda o fredda. L’aspetto è di una colangite ischemica con aspetto di dilatazioni e stenosi multiple, dilatazioni duttali, spesso associate ad ascessi intra epatici. Riguarda dal 3 al 18% dei pazienti, 1 a 5 anni dopo il trapianto. È associato ad alta morbidità dovuta a necrosi biliare ed infezione, malfunzionamento del graft, necessità di ritrapianto e mortalità. Il trattamento percutaneo è indicato. Avviene in varie tappe con drenaggio degli ascessi e colangiografia transepatica percutanea (PTC), associato a terapia antibiotica per risolvere l’infezione, stenting percutaneo e/o combinato. I risultati immediati possono essere buoni, consentendo di differire il ritrapianto.

In conclusione, una stretta relazione tra il radiologo interventista e il team trapianto è parte essenziale per il successo del programma trapianto.


BIBLIOGRAFIA

  1. Ettorre GM, Levi Sandri GB, Laurenzi A, et al. Yttrium-90 Radioembolization for Hepatocellular Carcinoma Prior to Liver Transplantation. World J Surg 2017; 41: 241-9.
  2. Hibi T, Itano O, Shinoda M, Kitagawa Y. Liver transplantation for hepatobiliary malignancies: a new era of "Transplant Oncology" has begun. Surg Today 2017; 47: 403-15.
  3. Miraglia R, Maruzzelli L, Caruso S, et al. Interventional radiology procedures in adult patients who underwent liver transplantation. World Journal of Gastroenterol 2009; 15: 684-93.
  4. Singhal A, Stokes K, Sebastian A, Wright HI, Kohli V. Endovascular treatment of hepatic artery thrombosis following liver transplantation. Transpl Int. 2010; 23: 245-56.