Prof. Giuseppe Visco

Già Primario Infettivologo, INMI “Lazzaro Spallanzani” IRCCS, Roma. Libero Docente in Malattie Infettive, Università di Roma “Sapienza” e “Tor Vergata”

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 1, Gennaio - Marzo 2019

Conferenza: Terapia genica

18 dicembre 2018

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Terapia genica

G. Visco

Sono molto grato all’Accademia per l’occasione che mi viene offerta, di riferire su di un tema che ritengo sia di notevole importanza.

Non avrei, infatti, immaginato che dopo aver assistito, negli anni ’50, all’esperienza esaltante dell’arrivo delle terapie antibiotiche, che ha ridotto drasticamente la mortalità nelle malattie infettive, sarei stato anche testimone di una nuova rivoluzione epocale della medicina, quella dell’era epigenetica. Una svolta che, forse, non cambierà la nostra vita ma che di certo modifica il modo con cui ci cureremo.

Le terapie, mediche e chirurgiche erano state, finora, rivolte a colpire i nemici, esterni ed interni, dell’uomo, come gli agenti infettivi ed i fattori fisici, ambientali ed ereditari.

La terapia genica, diretta all’interno dell’organismo, sui bersagli genomici molecolari, tende invece a ottimizzare le nostre risposte nei confronti degli avversari1-3.

Nata negli anni ’904, essa ha fatto seguito ai grandi progressi realizzati nel campo della biologia e dell’ingegneria genetica. Con le nuove tecniche messe a punto, si è infatti riusciti non soltanto a identificare e clonare i geni responsabili di molte malattie ma anche a correggere molti di quelli alterati. Oltre a ciò, i ceppi di alcuni microorganismi (soprattutto virus) sono stati modificati, resi innocui e indotti ad esprimere nuove molecole da utilizzare in terapia.

Ricordiamo che per genoma si intende il quadro d’insieme dei geni che formano l’unità ereditaria fondamentale degli organismi viventi. Si tratta del materiale che compone i cromosomi, i cui frammenti sono situati in precise posizioni, nelle sequenze delle molecole degli acidi nucleici (DNA ed RNA), i quali forniscono le informazioni per produrre le proteine del corpo.

Oltre alla composizione chimica dei geni, è stato anche importante conoscerne la disposizione spaziale e ciò si è ottenuto analizzando la loro mappatura. Ricordiamo che la prima mappa genomica era stata identificata, già nel 1913, da Sturtenham, in Drosophila ampelophila5.

Terapia genica

La terapia genica comprende i trattamenti che utilizzano l'inserzione di materiale genico nell' interno di cromosomi alterati, allo scopo di curare (o di prevenire) le malattie che da quelle alterazioni erano causate.

La procedura è chiamata trasfezione: con essa si immette DNA o RNA o anche proteine più complesse (come ad esempio anticorpi) nel nucleo della cellula, in sostituzione o in aggiunta al gene originale.   

La prima mossa sarà quindi quella di identificare il gene anomalo responsabile di una data malattia, onde sostituirlo con quello “restaurato”. Il gene introdotto nella cellula e integrato nel genoma dell'ospite si dovrà poi replicare in maniera stabile.  A questo scopo, spesso si utilizzano ceppi di virus non patogeni (o resi artificialmente tali), quali: retrovirus, lentivirus, adenovirus, virus adeno-associati, herpesvirus, ecc., che fungeranno da veicolo sia per penetrare nella cellula che per inserirsi nel suo genoma. Il gene si replicherà in modo autonomo e sarà poi trasferito alle cellule figlie.

Oltre a ciò, con la trasfezione si possono anche attivare i geni a produrre determinati anticorpi oppure ad eliminarne di dannosi (come nelle malattie autoimmuni).

Risultati clinici

Le applicazioni della terapia genica si vanno oggi sempre più estendendo e con risultati positivi. Si tratta di una situazione davvero eccezionale, dato che si è ottenuta la cura e la guarigione – che fino ad oggi erano impensabili – di numerose malattie. Ma il campo è così vasto che, in questa sede, non si potrà dare altro che qualche esempio, tra i più significativi.

Le ricerche sull'uso dei geni in terapia clinica risalgono agli anni ‘706, 7, ma soltanto 25 anni dopo sono stati resi noti i primi successi, negli USA,8 con la guarigione di due bambini affetti da un gravissimo difetto immunitario congenito, la SCID (Severe Combined Immuno Deficiency) da mancanza del gene ADA (l’enzima Adenosina DeAminasi)9.

Con la trasfezione di questo gene, veicolato da un retrovirus, si è realizzata nei due piccoli malati la completa normalizzazione del profilo immunitario, persistita anche dopo la sospensione del precedente trattamento sostitutivo.

Un ulteriore apporto di quella Scuola ha riguardato altri 10 soggetti affetti da questa malattia, guariti con il trapianto di cellule staminali ematopoietiche autologhe CD34+, modificate con il vettore retrovirale MND-ADA10.

Dopo questi straordinari successi, gli studi si sono estesi nel campo di altre malattie ereditarie. 

L’adreno-leuco-distrofia cerebrale è una grave malattia genetica del sesso maschile, causata da una mutazione che rende difettoso il gene ABCD-1. Si tratta del gene che codifica il perossisoma ABC, l’organello cellulare produttore dell’H2O2, necessario per degradare gli acidi grassi.

Il difetto del gene ABCD-1 provoca abnormi rotture nelle lunghe catene degli acidi grassi, con conseguenze deleterie sul surrene e sull’encefalo (per progressiva demielinizzazione cerebrale) e morte entro 2 anni dalla comparsa dei primi sintomi.  

In uno studio internazionale, coordinato dall’Università di Boston, 17 ragazzi affetti da questa malattia, in fase precoce e non candidabili al trapianto di midollo, sono stati trattati con infusione di linfociti CD34+ autologhi, transdotti con il gene elivaldogene, che era veicolato da un lentivirus (tavalentivel o Lenti D). In 15 di essi si è ottenuto un arresto nella progressione della malattia, arresto che ancora persisteva a 2 anni di distanza dal trattamento. Gli altri 2 ragazzi erano invece, nel frattempo, deceduti11-13.

Da notare che, fra le terapie geniche, questa è stata la prima ad essere approvata dalla FDA USA14

Altra affezione ereditaria guarita con la terapia genica è l’atrofia spinale muscolare infantile Tipo 1. A 15 neonati colpiti da questa malattia è stato inoculato, negli USA, un Virus Adeno-associato al quale era legato DNA contenente la proteina SMN, della quale i bambini erano carenti. Si è ottenuta la completa regressione della malattia, abitualmente letale già a soli 2 mesi dalla nascita15.

Sempre negli USA, altri pazienti con questa affezione sono stati invece trattati, anche qui con successo, con un gene (l’oligo-nucleotide anti-senso nusinerseen) capace di indurre la cellula a produrre della proteina SMN16.

Da vari Centri la terapia genica è stata applicata anche alla cura dell’emofilia A (la malattia da deficit ereditario di fattore VIII)17.

In un’indagine policentrica mondiale18, 109 pazienti di sesso maschile che, a seguito della terapia convenzionale con fattore VIII avevano sviluppato allo-anticorpi neutralizzanti ad alto titolo, sono stati trattati con emicizumab: un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato che attiva i fattori IX e X, inducendoli a supplire alla carenza del IX. Dai risultati di questo studio, controllato e randomizzato e condotto in 43 Centri, è emersa l’efficacia del trattamento nel ridurre significativamente la frequenza delle emorragie.

Anche 10 casi di emofilia B (la malattia da deficit ereditario del fattore IX), nell’Ospedale Pediatrico di Filadelfia sono stati trattati, per 492 settimane, con la somministrazione di fattore IX transgene-derivato, che veniva veicolato dal ceppo di un Virus Adeno-associato. Al termine della cura tutti i pazienti avevano potuto sospendere il trattamento sostitutivo, senza alcuna manifestazione emorragica19.

Non diretto all'emofilia ma ai frequenti effetti dannosi del trattamento convenzionale con farmaci coagulanti è uno studio multicentrico controllato19, basato sull’uso del Fitusiran. Questa molecola interferisce sull’RNA-messaggero dell’anti-trombina (il SERPINC-1), che è il fattore che si oppone alla produzione dell’anti-trombina epatica. Nell’indagine il Fitusiran, somministrato anche una sola volta al mese a pazienti con emofilia A o B, è riuscito a impedire i danni da eccesso della coagulazione indotti dalla terapia20.

La fibrosi cistica è una malattia ereditaria multi-sistemica, causata da un disordine monogenetico (c.d. mendeliano: le forme legate ad una singola mutazione genica). I primi sintomi compaiono nell’infanzia, ma è in età giovanile che si manifesta il quadro clinico conclamato. Esso consiste in infezioni croniche delle vie respiratorie che provocano bronchiettasie ed in gravi disfunzioni degli apparati digerente e uro-genitale. Il gene alterato, detto CF, situato nel cromosoma 7, codifica CFTR, regolatore della conduttanza trans-membrana. Questo gene può presentare vari tipi di delezioni delle quali una delle più frequenti (DeltaF508) è l’assenza della fenilalanina in posizione 508.

I risultati di due importanti studi sono stati resi noti di recente, ottenuti con il trattamento dei geni alterati con l’associazione ivacaftor - tezacaftor, entrambi modulatori del CFTR.

Il primo di essi era già stato sperimentato, con successo, in questa malattia (con riduzione della letalità e della necessità di adire al trapianto del polmone). Nel corso dello studio era stato, però, anche riscontrato nei soggetti trattati, un più evidente declino della funzione polmonare, con effetti collaterali negativi su tutto l’apparato respiratorio21.

Il secondo farmaco è, invece, una molecola nuova che, oltre alla intensa attività sul CFTR, sembra dimostrare un effetto protettivo sul polmone.

Nella prima indagine, una ricerca internazionale multicentrica coordinata dall’Istituto Nazionale di Igiene di Denver (USA), sono stati arruolati oltre 500 pazienti con il fenotipo F508 della malattia, che erano omozigoti per la mutazione Phe508del o eterozigoti per le mutazioni G551D e Phe508del. I risultati dello studio, condotto in doppio cieco randomizzato, sembrano provare maggiore efficacia e minori effetti collaterali, quando i due farmaci vengono dati in associazione22.

Il secondo studio23 ha, invece, arruolato 248 pazienti con questa malattia, ma eterozigoti per la mutazione Phe508del e portatori di una mutazione di CFTR non completa sul piano funzionale. In un doppio cieco controllato randomizzato, i malati sono stati trattati con le stesse molecole (icavaftor da solo o associato a tezacaftor), con risultati positivi, analoghi a quelli del Gruppo di Denver21.

Vanno anche ricordati gli studi in corso sui portatori di rene policistico, malattia congenita causata dalla frammentazione, ad opera della proteina CGRP, dei geni che codificano le policistine 1 e 2.

In molte Sedi si sta attualmente verificando l’efficacia e la tollerabilità della molecola Tolvaptan, che potrebbe essere utile per questi pazienti, potendo essa bloccare il legame della CGRP con il recettore della vasopressina, la sostanza che provoca la formazione delle cisti renali24-27.

L’epidermolisi bollosa è una sindrome, comprensiva di alcune rare malattie della pelle (da 2 a 5 su 100.000 abitanti), di carattere genetico. Esse sono tutte causate da alterazioni delle proteine cutanee a funzione adesiva intercellulare (il collagene, la cheratina, la laminina, la desmocolina, la desmoplachina, la desmogleina, la placoglobina, la placofillina, le integrine, ecc.).

Tali alterazioni sono indotte con meccanismo genetico, attraverso una mutazione negli emidesmosomi (le strutture deputate all’adesività cellulare). Alle varie forme cliniche della sindrome corrisponde una particolare mutazione, in uno dei 54 geni - 28 del gruppo I e 26 del gruppo II - che gestiscono i filamenti intermedi.

In tutto il mondo fervono le ricerche per allestire adeguate terapie geniche per queste malattie ed anche la stampa di informazione ha diffuso recentemente la notizia che anche in Italia (Istituto Telethon di Milano) alcuni casi di questa sindrome sono stati curati con pieno successo.

La psoriasi è una diffusa e ben nota dermatosi, causata da un complesso disordine immunitario. In essa sono coinvolte sia numerose interleukine che recettori dell’IFN, per lo più attivati dall’enzima intracellulare tirosin-kinasi 2 (TYK2). Da uno studio in doppio cieco svolto in 82 Centri di tutto il mondo sembrerebbe documentata l’efficacia, in questa malattia, di un potente inibitore della TYK2 (il BMS-986165), somministrato per 12 settimane ma molte altre indagini sono tuttora in corso.

L’Amiloidosi trans tiretinica [ADAMS] è una malattia ereditaria autosomica dominante: non frequente ma molto interessante sul piano immunologico. Causata da una mutazione del gene TTR (che regola lo smaltimento dell’amiloide dagli organi interni e dal sistema nervoso periferico) essa è fortemente invalidante e sempre letale entro pochi anni dalla comparsa dei sintomi. In uno studio francese sono stati ottenuti significativi risultati preliminari - sia clinici che sull’attesa di vita – in soggetti trattati con Patisiran, molecola che interferisce sull’mRNA della transtiretina riducendo, in essa, le mutazioni dannose.

Per quanto riguarda le malattie acquisite finora sottoposte a terapia genica, vanno segnalati i risultati ottenuti, nell’asma bronchiale, grave o moderata, con tezepelumab, un anticorpo umano monoclonale specificamente diretto contro la citokina TSLP (Linfopoietina Timica Stromale)28, 29. In uno studio controllato e randomizzato su 918 soggetti, si è osservata, con questo trattamento, una significativa riduzione nella frequenza delle esacerbazioni29. Nel corso di un’indagine internazionale multicentrica (117 gruppi, in 15 paesi) è stato somministrato, con notevole successo, anche un altro anticorpo monoclonale umanizzato, mepolizumab (che blocca l’interleukina 5 (la citochina-chiave degli eosinofili), a pazienti con malattia polmonare cronica ostruttiva del fenotipo eosinofilo30, 31.

L’emicrania cronica è un frequente e complesso disordine neurologico, nella cui patogenesi è in causa il neuro-peptide CGRP, correlato al gene della calcitonina29. In uno studio multicentrico anglo-americano su 1130 pazienti, si è visto che l’anticorpo monoclonale umanizzato fremanezumab (specificamente diretto contro i ligandi di CGRP, ai quali si fissa strettamente), se somministrato preventivamente, è in grado di ridurre in modo significativo la frequenza delle crisi di emicrania7, 24

In un’altra casistica (di pazienti con emicrania episodica) è stato invece usato erenumab, altro anticorpo monoclonale umano, che si lega selettivamente al recettore CGRP. Goadsby e Coll7 hanno coordinato questo studio internazionale multicentrico, nel quale erenumab si è dimostrato capace di ridurre in modo significativo la frequenza degli episodi di emicrania32, 33.

Negli ultimi anni vari contributi scientifici hanno migliorato le nostre conoscenze sulla patogenesi dell’osteoporosi. Si è appreso, ad esempio, che nella forma di origine ormonale, la perdita del calcio è legata agli elevati livelli di citokine pro-infiammatorie della menopausa. Da questa premessa sono partiti i numerosi studi che utilizzano la terapia genica. Ad esempio è stata usata (nel topo) l’a1Anti-tripsina veicolata da un virus adenoassociato (rAAV), con il risultato di ridurre i livelli della IL-6 e di bloccare l’attivazione del recettore NF-κB (RANK).

Altre molecole promettenti sono:

- denosumab, un anticorpo monoclonale diretto contro l’attivatore del ligande della citokina osteoclasta NF-κB;

- odanacatib, inibitore della proteasi osteoclasta catepsina K;

- gli anticorpi anti-sclerostina ed anti-dickkopf-1, entrambi inibitori endogeni della formazione ossea.

Notevoli anche i contributi sulle applicazioni della terapia genica in oncologia. I primi studi riguardano la cura del melanoma metastatizzato in encefalo, malattia già trattata con discreto successo, nello scorso decennio, sia con ipilinumab - un anticorpo umano monoclonale, diretto contro l’antigene 4 (CTLA-4) anti-linfociti T del tumore34-36 -  che con nivolumab.

Successivamente ipilinumab è stato usato37 anche associato alla decarbazina38 o a nivolumab39. Infine, in altra indagine multicentrica diretta da ricercatori australiani, si è ricorsi all’associazione: dabrafenib (inibitore della mutazione BRAF) con trametinib (inibitore della mutazione MEK) ed i risultati, in termini di sopravvivenza, sono stati ancora più brillanti36, 38, 40, 41.

La terapia genica è stata anche applicata al carcinoma del polmone del tipo “non a piccole cellule”42, 43.

In uno studio internazionale controllato e randomizzato, 303 pazienti ALK+ (cioè positivi per il gene della kinasi anaplastica), in fase avanzata ma mai trattati prima, hanno ricevuto, per circa 2 anni, alectinib (inibitore della tirosin-kinasi di ALK, resistente alle mutazioni di ALK), a confronto con il già noto crizotinib (anticorpo diretto contro il gene ALK). I risultati dell’indagine parlano a favore di alectinib, sia sul piano del ritardo di progressione della malattia che della letalità al termine del trattamento44, 45

In un altro studio controllato randomizzato, su 713 soggetti (non operabili), affetti dallo stesso tipo di tumore polmonare, ma in fase più avanzata (ED-SCLC) e già sottoposti a chemio- e radio-terapia, si è ottenuto un prolungamento statisticamente significativo della sopravvivenza nei soggetti trattati con durvalumab. È questo un anticorpo umano IgG1, rivolto contro PDL1 e CD80 che, in questa malattia, sono ligandi di morte programmata, così come atezolizumab, usato in altri casi44-46.

Benefici dalla terapia genica sono stati ottenuti anche in pazienti con linfoma non Hodgkin. Nella forma follicolare l’aggiunta, all’immuno-chemioterapia convenzionale, dell’anticorpo monoclonale anti-CD20 rituximab, ha significativamente migliorato i risultati del trattamento11, 47, 48.

In un’indagine randomizzata, condotta in Gran Bretagna su 1202 pazienti affetti da questa malattia (sempre del tipo follicolare) è stato, invece, usato obinutuzumab, altro monoclonale anti-CD20. Rispetto a rituximab, quest’anticorpo possiede una maggiore citotossicità anticorpo-dipendente (minore è, invece, quella complemento - dipendente), associata ad un potente effetto citocida sui linfociti B49. Lo studio ha mostrato, nei pazienti trattati con obinutuzumab, un più lungo periodo di sopravvivenza senza sintomi, però anche una maggiore incidenza di effetti collaterali avversi.

I dati disponibili non sembrano, quindi, ancora sufficienti per decidere quale dei due composti sia da preferire50.

Per quanto riguarda il carcinoma della mammella, vanno premessi alcuni dati di acquisizione piuttosto recente che riguardano, in particolare, la scoperta dell’esistenza di un gene che protegge le donne da questo tumore: l’HER-2 (Human Epidermal growth factor Receptor). È stato infatti accertato che, nel 5% circa dei casi, quest’affezione si presenta sotto una forma particolarmente grave: si tratta di donne con familiarità neoplastica, portatrici di mutazioni nei geni anti-tumore BRCA (BReast CAncer), e che risultano negative per HER-2 e per i recettori degli estrogeni e del progesterone.

Da uno studio, in collaborazione tra Autori tedeschi e statunitensi, su quasi 5000 donne con questo tumore, ma in forma meno grave (con mutazione BRCA, in fase precoce, operabili e positive per HER-2), è emersa l’utilità di associare in esse, alla chemioterapia, sia pertuzumab che trastuzumab51.

Quest’ultimo è un anticorpo monoclonale umanizzato, che si lega strettamente al dominio della trans-membrana e che per questa via inibisce l’etero-dimerizzazione del gene HER-2.

Il pertuzumab, molto simile al precedente, si lega invece direttamente al dominio della dimerizzazione, opponendosi alla neutralizzazione di HER-2 mediante un diverso recettore. I due anticorpi hanno entrambi una potente citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente. Usati in associazione in donne HER2+ già operate, aumentano nettamente la durata della sopravvivenza senza sintomi51, 52.

Sul carcinoma mammario metastatizzato ci sono i dati di uno studio internazionale randomizzato, coordinato dallo Sloan Kettering Center di New York. In esso, su 302 pazienti con mutazione genica in BRCA e negative per il recettore HER-2, si è giunti alla conclusione che il trattamento con olaparib, un inibitore della PARP (Poli - Ribosio Adenosin-difosfato Polimerasi), prolunga significativamente la durata della sopravvivenza senza sintomi e riduce del 42% il rischio di progressione del tumore51.  

La forma acuta della Leucemia mieloide è affezione piuttosto eterogenea sul piano molecolare. Molti studi sono in corso (tra l’altro anche a Roma, al Policlinico Gemelli), con trattamenti mirati sui geni FTL3, NPM1 e KIT53-55.

Vanno, infine, ricordati i casi, tutti trattati con successo, di epatocarcinoma - dove è stato usato cabozantinib, un inibitore delle tirosin-kinasi - e quelli di glioblastoma cerebrale, nei quali il gene PVSRIPO, inserito in un ceppo attenuato di Poliovirus, è stato inoculato ai pazienti per via intracerebrale56.

Il rischio di progressione e di morte è risultato significativamente ridotto anche in alcuni pazienti con mieloma multiplo trattati con l’anticorpo elotuzumab (attivatore dei Natural Killer), in aggiunta alla terapia convenzionale.

Conclusioni

Considerato che, in questo campo, si sta lavorando solo da pochi anni, possiamo ben dire che i risultati sono di grande interesse. Ma siamo soltanto agli inizi: i campi di applicazione della terapia genica si vanno man mano estendendo ed ogni giorno si scopre la possibilità di guarire malattie già incurabili.

Vanno poi anche considerati gli aspetti etici del problema. Innanzitutto, la manipolazione del genoma deve presupporre il consenso informato dell’interessato, ma occorre anche stabilire una ferrea regolamentazione, dato che, con queste tecniche, si potrebbe persino arrivare alla creazione di super-uomini o addirittura di mostri. Ma di ciò ci si sta già occupando nelle sedi più idonee.

Si tratta quindi di una vera sfida per la medicina dei prossimi anni, che non può trovarci impreparati.


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