Dott. Pierluigi Edgard Mollo

Servizio di Angiologia Medica, Casa di Cura INI, Divisione Città Bianca, Veroli, Frosinone

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2017-2018

Vol. 62, n° 4, Ottobre - Dicembre 2018

Simposio: Ulcere vascolari degli arti inferiori

29 maggio 2018

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Attualità in tema di debridement e innesti di matrice dermica

G. Guarnera, R. Borioni, L. Fratticci, P. Mollo, F. Pomella, S. Bilancini, M. Lucchi

Il debridement

La corretta gestione di una lesione ulcerativa prevede in primo luogo un inquadramento clinico del paziente e uno studio delle cause fisiopatologiche che hanno determinato la comparsa della lesione. La terapia della malattia che ha causato l’ulcera non deve tuttavia essere disgiunta da un adeguato trattamento topico. La preparazione del letto dell’ulcera rappresenta una tappa importante dell’iter diagnostico-terapeutico del paziente. Essa consiste nella “gestione globale e coordinata della lesione volta ad accelerare i processi endogeni di guarigione e a promuovere l'efficacia di altre misure terapeutiche”1, 2, 3. Questo approccio è stato caratterizzato con l’acronimo TIME (T=debridement tessutale, I=trattamento dell’infiammazione e dell’infezione, M=gestione dell’essudato, E=stimolo alla riepitelizzazione a partenza dai margini della lesione)4.

Il debridement (termine coniato dal francese Desault) rappresenta quindi una tappa essenziale nella preparazione del letto dell’ulcera. Ha lo scopo di rimuovere i tessuti necrotici e devitalizzati, i batteri, le cellule senescenti, il tessuto ipercheratosico. Il debridement deve avvenire con regolarità e periodicità e deve raggiungere anche gli spazi “morti” o sottominati.

Accanto alle metodiche tradizionali (enzimatiche, autolitiche, meccaniche, biologiche, chirurgiche) negli ultimi anni nuove proposte terapeutiche hanno permesso di ottenere risultati brillanti in tema di rapidità ed efficacia di trattamento. Il bisturi ad acqua (Versajet) permette di tagliare e aspirare i tessuti devitalizzati, anche nelle aree di più difficile accesso. Viene impiegato un getto di soluzione salina, di cui si può regolare la potenza propulsiva, che passa attraverso la finestra operativa di un manipolo, creando un vuoto localizzato (effetto Venturi) in grado di aspirare il tessuto e convogliarlo in un raccoglitore di scarico. In tal modo si realizza una detersione rapida ed accurata. In una recente pubblicazione 53 lesioni trattate con bisturi ad acqua mostravano dopo una settimana una percentuale di tessuto di granulazione superiore all’80%5.

Anche la terapia con ultrasuoni ha dimostrato di essere efficace in tema di riduzione significativa dell’essudato e miglioramento dei tempi di guarigione. Una recente estesa revisione della letteratura conferma tali dati, ma evidenzia la mancanza di trials prospettici randomizzati che mettano a confronto le metodiche6

La scelta della tecnica di debridement deve comunque tener conto di diversi criteri quali velocità, selettività, dolore, quantità di essudato, presenza di infezione, costi (Tab. 1).

 

 

Negli ultimi anni ha trovato sempre più spazi di impiego, nella detersione e nella preparazione dell’ulcera ad un intervento di innesto, la terapia topica a pressione negativa. Esistono una serie di variabili connesse alla metodica (livello di pressione negativa, materiale a contatto dell’ulcera, modalità di applicazione della pressione, possibilità di istillazione di fluidi) che possono influenzare il processo di guarigione. Esiste altresì anche una vasta esperienza clinica che documenta l’efficacia della metodica nel creare un ambiente umido, rimuovere l’essudato e l’edema, ridurre la carica batterica, esercitare una forza attrattiva sui bordi, indurre angiogenesi e formazione di tessuto di granulazione7.

In sintesi, il debridement può essere condotto con diverse metodiche e si rivela particolarmente utile nella gestione delle ulcere cutanee. Tuttavia, le evidenze scientifiche a supporto del debridement come regime di trattamento primario al fine di migliorare la guarigione sono esigue. I dati di economia sanitaria specificatamente correlati alle tecniche di debridement sono limitati e vi è necessità di studi sul rapporto costo-efficacia8.

Le matrici dermiche

Di fronte ad un danno tessutale, soprattutto se esteso, l’obiettivo terapeutico è quello di riparare il danno restituendo funzionalità e ottenendo una cicatrice di qualità, esente da fenomeni di fibrosi marcata.

Nelle lesioni croniche, si verifica un eccesso di metalloproteasi (MMPs) e una ridotta attività dei fattori di crescita. Ne consegue una degradazione della matrice extracellulare. L’intervento terapeutico deve consistere nel riequilibrare il rapporto tra MMPs e fattori di crescita. È stato dimostrato che l’applicazione sul letto dell’ulcera di prodotti a base di collagene può iniziare il processo di guarigione, attraverso l’inibizione dell’eccesso di MMPS e lo stimolo all’angiogenesi e alla formazione del tessuto di granulazione9.

L’innesto di un tessuto cutaneo autologo ha rappresentato a lungo la prima opzione terapeutica, ma gravata da una serie di inconvenienti: danno cutaneo permanente a livello del sito donatore che può essere fonte di dolore e oggetto di infezione, limitata estensione dell’area disponibile, scarsa compliance del paziente, specie se anziano. In questo contesto si inseriscono i prodotti di ingegneria tessutale sotto forma di equivalenti cutanei, cute e derma omologhi, sostituti dermici10.

Tali prodotti devono possedere proprietà importanti: protezione contro l’infezione e la perdita di liquidi, flessibilità e adattabilità al letto dell’ulcera, resistenza alle forze di trazione, assenza di reazioni immunologiche, fungere da matrice naturale per la formazione di tessuto di granulazione, proliferazione di fibroblasti, angiogenesi, riepitelizzazione11.

Le matrici dermiche sono prodotti di ingegneria tessutale, di origine umana o animale, decellularizzati (per evitare fenomeni infiammatori e immunologici) che posseggono la capacità di riprodurre le funzioni strutturali, biomeccaniche e biochimiche della matrice extracellulare e quindi costituire un substrato idoneo per una rapida colonizzazione da parte delle cellule dell’ospite. Le matrici combinano molteplici componenti di derivazione animale (bovina, porcina) come collagene, elastina e glicosaminoglicani e sono trattati con processi di cross-linking per aumentarne la stabilità meccanica. Essendo permeabili, molte di esse presentano uno strato esterno di silicone, che agisce come epidermide temporanea e ha la funzione di proteggere dalle infezioni e controllare le perdite di fluidi dall’ulcera. Possono essere poi rimosse e sostituite da un innesto autologo.

Esse permettono un processo ripartivo ottimale con riduzione della componente fibrotica della cicatrice12.

Al fine di fornire criteri di scelta di facile applicabilità è stato proposto di recente un sistema di classificazione dei sostituti dermici basato sui seguenti parametri: cellularità (cellulare o acellulare), strato (singolo o doppio), regione sostituita (epidermide, derma o entrambe), materiale usato (naturale, sintetico o entrambi), permanenza in base alla biodegradabilità (temporanea o permanente)13.

Per quanto concerne i risultati, due differenti trials controllati randomizzati, che mettevano a confronto nel trattamento di ulcere vascolari una matrice acellulare naturale con una medicazione tradizionale e con una matrice acellulare artificiale, hanno entrambi documentato una più rapida e completa guarigione nei pazienti trattati con innesto di matrice naturale14.

Una recente revisione sistemica pone l’accento sulla necessità di ottenere maggiori dati per esprimere un giudizio definitivo sull’efficacia delle matrici acellulari, soprattutto nei pazienti con piede diabetico e ulcere ischemiche, mentre una evidenza, anche se non di alto grado, esiste per le ulcere venose15.

Il protocollo di trattamento che adottiamo presso la Divisione di Chirurgia Vascolare dell’Aurelia Hospital di Roma, per il trattamento di ulcere di varia eziologia, prevede un accurato inquadramento clinico, studio ecocolordoppler ed esame colturale del fondo della lesione. Una volta trattata la patologia di base e firmato il consenso informato, in anestesia periferica i pazienti sono sottoposti a debridement dell’ulcera con bisturi ad acqua e innesto di matrice dermica. Utilizziamo una matrice formata da uno strato di atelocollagene derivato da tendine porcino, di circa 3 mm di spessore, con pori di 60-110 micron di diametro, foggiata a rete e rinforzata da uno strato esterno di silicone (Pelnac, prodotta da Gunze Ltd e distribuita in Italia da Siad). Questa matrice consente una gestione agevole dell’essudato e una buona aderenza al fondo della lesione, mentre lo strato esterno di silicone consente di ottenere un rinforzo della forza tensile del materiale e una protezione dall’infezione16 (Fig. 1a, 1b, 1c, 1d, 1e).

 

Fig. 1a. Ulcera post-traumatica infetta

 

 

 

 

 

Fig. 1b. Aspetto del fondo della lesione dopodebridement con bisturi ad acqua 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 1c. Innesto di matrice dermica fenestrata, con strato esterno di silicone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 1d. Controllo dopo una settimana dall'innesto: la matrice è ben adesa al fondo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 1e. Controllo dopo 20 giorni: è presente un nuovo tessuto dermico vitale

 

 

 

 

 

In alcuni casi, dopo l’applicazione di matrice dermica è stata praticata terapia a pressione negativa per favorire l’attecchimento dell’innesto, che è avvenuto rapidamente e completamente, in accordo con altre esperienze riportate in letteratura17.

I pazienti sono controllati dopo 5 giorni dall’innesto, 10 giorni per la rimozione degli eventuali punti di ancoraggio, 20 giorni per constatare l’avvenuto distacco dello strato esterno di silicone e poi con periodicità variabile per controllare lo sviluppo del nuovo tessuto dermico e lo stato di avanzamento del processo di riepitelizzazione. In relazione ai reperti viene valutata la migliore scelta terapeutica: continuare la gestione della lesione con medicazioni o praticare un innesto epidermico.

 


BIBLIOGRAFIA

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