Anno Accademico 2015-2016

Vol. 60, n° 1, Gennaio - Marzo 2016

Simposio: Clostridium difficile: una infezione emergente

12 gennaio 2016

Copertina Atti primo trimestre 2016.jpg

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Il Trapianto di Feci

G. Cammarota

L’infezione da Clostridium difficile (CD) può essere causa di colite con complicanze severe come  il megacolon, perforazione intestinale, shock, fino alla morte. La colonizzazione intestinale avviene per via oro-fecale ed è favorita dalla modifica della flora intestinale a seguito di una precedente terapia antibiotica. Gli individui degenti, soprattutto anziani, in ambienti ospedalieri, sono particolarmente esposti alla colonizzazione e all’eventuale conseguente patologia, che si manifesta a causa della produzione da parte del microrganismo di tossine che si legano a recettori delle cellule della mucosa intestinale determinando flogosi e diarrea. Il trattamento standard, pur efficace, non elimina il rischio di un alto tasso di ricorrenza dell’infezione, intendendo come tale la ricomparsa dei sintomi e la positività della tossina nelle feci entro un mese dalla fine del trattamento, come conseguenza di persistenza di spore o di reinfezione. Ciò si spiegherebbe in quanto questi antibiotici alterano la normale flora batterica intestinale. Nell’ultima decade, le problematiche legate all’infezione da CD sono aumentate a causa di una maggiore diffusione in ambito nosocomiale e della comparsa di nuovi ceppi più virulenti.

Il trattamento standard di prima linea contempla la possibilità di utilizzare la vancomicina o il metronidazolo, con un tasso di eradicazione dell’97-87%, a seconda se si usi rispettivamente vancomicina o metronidazolo. Dopo un iniziale successo terapeutico, tuttavia, il 20%, ma secondo altri dati fino al 35%, di tutti i pazienti trattati va incontro ad una prima ricorrenza dell’infezione, come conseguenza di persistenza di spore o di reinfezione. Di questi, il 40-45% va incontro ad una seconda ricorrenza; dopo 2 o 3 ricorrenze, il 60-65% dei pazienti sperimenta ricorrenze multiple. La recidiva è più frequente negli individui lungo-degenti in ospedale con più di 65 anni di età. L’infezione da CD ricorrente espone particolarmente al rischio di complicanze severe.

Per trattare l’infezione da CD ricorrente sono stati introdotti nuovi approcci terapeutici che prevedono l’impiego della rifaximina, della nitazoxanide, oppure della fidaxomicina. Sono state sperimentate terapie immunologiche quali la somministrazione endovenosa di immunoglobuline oppure di anticorpi monoclonali specifici contro la tossina del CD. Infine, sono stati utilizzati probiotici (Saccharomyces boulardii, Lactobacillus) e tentativi di ricolonizzare l’intestino con ceppi di CD privi di tossina. Comunque, tutte le modalità di trattamento attualmente disponibili hanno mostrato limiti di efficacia, e molto spesso l’occorrenza di recidive multiple dell’infezione sono difficilmente prevenibili senza una terapia continuativa con vancomicina o metronidazolo.

La ricomposizione della normale flora batterica attraverso il trapianto fecale è stata descritta fin dal 1958. Da allora, un numero sempre maggiore di evidenze ha dimostrato l’efficacia del trapianto fecale nel trattamento dell’infezione ricorrente da CD.

Sebbene il meccanismo esatto di azione del trapianto fecale sia ancora poco chiaro, è plausibile che la ricostituzione e la funzione del microbiota intestinale sia di primaria importanza, in quanto costituisce un fattore di resistenza decisivo contro il CD ed altri patogeni, attraverso meccanismi che includono la resistenza alla colonizzazione batterica e la stimolazione del sistema immunitario intestinale. La resistenza alla colonizzazione include la produzione di fattori antimicrobici e la competizione per nutrienti e per siti recettoriali sull’epitelio da parte del microbiota residente.

Il trapianto di feci consiste nell’infusione di feci da un donatore sano ad un ricevente malato per la cura di una specifica patologia. L'uso in campo medico e veterinario è stato segnalato fin dall'antichità1,2, ma la prima documentazione clinica risale al 1958, quando Eiseman e la sua equipe chirurgica del Colorado hanno trattato con clisteri di feci un piccolo numero di soggetti con colite pseudomembranosa come terapia di salvataggio3. Da allora, sono state descritte diverse serie di casi sul trapianto di feci nella gestione delle ricorrenze da CD, ma solo negli ultimi anni comunque i centri che hanno adottato il trapianto di feci per il trattamento delle recidiva da CD sono  aumentati in maniera esponenziale4.

In particolare, sono negli ultimi 3 anni sono stati pubblicati trials terapeutici randomizzati controllati sperimentali che hanno dimostrato la maggiore efficacia del trapianto di feci, mediante somministrazione con sondino naso-duodenale,  rispetto alla terapia antibiotica standard. Un primo trial pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale New England Journal of Medicine nel 2013 ha dimostrato una efficacia del trapianto di feci statisticamente superiore alla terapia con vancomicina (81% vs 31%)5. Lo studio fu addirittura interrotto precocemente per la netta evidente superiorità del trapianto di feci.

Tali dati sono stati successivamente confermati ulteriori studi randomizzati che pure adottavano modifiche procedurali principalmente relative alla modalità di infusione delle feci donate (ad esempio, attraverso la colonscopia o mediante capsule per os), con  tassi di successo tra l’83% e il 100%, e pochi eventi avversi transitori a breve termine6,7.

Dai dati disponibili, quindi, il trapianto di feci risulta efficace per il trattamento delle recidive da CD garantendo una cura dell’infezione indipendentemente dalla via di somministrazione delle feci donate. Sebbene alcuni aspetti della procedura del trapianto di feci debbono ancora essere definitivamente standardizzati (soprattutto in relazione alla selezione dei donatori, la preparazione delle feci da infondere) le linee guida di alcune prestigiose società scientifiche internazionali (American College of Gastroenterology e Società Europea di Microbiologia Clinica e Malattie Infettive) raccomandano l’uso del trapianto di feci per il trattamento dell’infezione ricorrente da CD8.

Un aspetto comunque da sottolineare è che mentre la comunità scientifica è sempre più concorde nel suggerire la pratica del trapianto di feci per il CD, le autorità regolatorie dei vari Paesi non hanno ancora trovato un accordo nello stabilire se il trapianto di feci debba seguire una regolamentazione stabilita per i farmaci o per il trapianto di tessuti. Tale incertezza limita ancora oggi l’adozione di tale presidio terapeutico nella pratica clinica.



 

 

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Zhang F, Luo W, Shi Y et al. Should we standardize the 1700-year old fecal microbiota transplantation? Am J Gastroenterol 2012; 107: 1755.
  2. Borody TJ, Warren EF, Leis SM et al. Bacteriotherapy using fecal flora: toying with human motions. J Clin Gastroenterol 2004; 38: 475–83.
  3. Eiseman B, Silen W, Bascom GS et al. Fecal enema as an adjunct in the treatment of pseudomembranous enterocolitis. Surgery 1958; 44: 854-9.
  4. Cammarota G, Ianiro G, Gasbarrini A. Fecal microbiota transplantation for the treatment of Clostridium difficile infection: a systematic review. J Clin Gastroenterol 2014; 48: 693-702.
  5. van Nood E, Wrieze A, Nieudorp M et al. Duodenal infusion of donor feces for recurrent Clostridium difficile. N Engl J Med 2013; 368: 407-15.
  6. Cammarota G, Masucci L, Ianiro G et al. Randomised clinical trial: faecal microbiota transplantation by colonoscopy vs. vancomycin for the treatment of recurrent Clostridium difficile infection. Aliment Pharmacol Ther 2015; 41: 835-43.
  7. Youngster I, Russell GH, Pindar C, Ziv-Baran T, Sauk J, Hohmann EL. Oral, capsulized, frozen fecal microbiota transplantation for relapsing Clostridium difficile infection. JAMA 2014; 312: 1772-8.
  8. Bakken JS, Borody T, Brandt LJ et al. Treating Clostridium difficile infection with fecal microbiota transplantation. Clin Gastroenterol Hepatol 2011; 12 :1044-9.