Dott. Pasquale Lepiane

POIT - Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti, U.O.C. Chirurgia Generale e Trapianti d'Organo, Az. Osp. San Camillo-Forlanini, Roma

 

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2017-2018

Vol. 62, n° 2, Aprile - Giugno 2018

ECM: Universo Fegato

16 gennaio 2018

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Chirurgia nei Trapiantati

P. Lepiane

La chirurgia nei pazienti trapiantati può essere precoce nell’immediato post-trapianto, prevalentemente per episodi emorragici, trombosi della vena porta o deiscenze anastomotiche biliari, o tardiva per la comparsa di tumori ex-novo, complicanze biliari tardive e difetti di parete (ernie e laparoceli).

Un evento emorragico cospicuo post-operatorio richiede il più delle volte una chirurgia immediata, finalizzata appunto al controllo dell’emorragia stessa e ad evitare complicanze  cardiocircolatorie serie e talvolta fatali; talvolta la chirurgia può essere differita e volta alla risoluzione di ematomi addominali o a carico del fegato trapiantato od ancora in sede peri- o retro epatica che potrebbero compromettere la funzionalità del graft per fenomeni compressivi e/o per il formarsi di ascessi. Ovviamente in questi casi, e quando possibile, si cerca sempre di eseguire un trattamento conservativo (radiologico interventistico) per non esporre il paziente stesso ad ulteriori stress chirurgici reiterati. A tal proposito, c’è da sottolineare che fortunatamente la maggior parte delle complicanze arteriose post-trapianto (trombosi, stenosi, kinking), oltre ad una loro individuazione precoce (importantissima una stretta collaborazione chirurgo-radiologo), richiedono molto spesso un trattamento conservativo (posizionamento di stent) nelle stenosi tardive; raramente bisogna ricorrere alla chirurgia con resezione-anastomosi. Ciò si rende necessario al fine di scongiurare la formazione di ascessi biliari determinati dall’alterata vascolarizzazione dell’albero biliare stesso in conseguenza del ridotto apporto vascolare arterioso a tale livello, determinato dalla stenosi.

Per quanto riguarda i difetti di parete (ernie e laparoceli), i pazienti trapiantati registrano un’alta incidenza di tali patologie, a causa soprattutto dell’aumento volumetrico della cavità addominale per la presenza di copiosi versamenti ascitici a cui questi pazienti vanno incontro per l’epatopatia cronica ed il conseguente scompenso epatico, e che determinano un lento e progressivo indebolimento delle fasce muscolari ed il cedimento della parete che si osserva a breve distanza dopo il trapianto. A ciò consegue la formazione di voluminosi laparoceli a livello dell’incisione chirurgica che richiedono quasi sempre una correzione chirurgica.  La correzione chirurgica prevede nella gran parte dei casi, l’utilizzo di reti biologiche1 che, oltre a garantire un’ottima tenuta, sono ben tollerate dai pazienti e sono per lo più totalmente riassorbibili. Inoltre i pazienti in attesa di trapianto, per le cause di cui sopra, sono soggetti alla formazione di importanti ernie ombelicali che vengono trattate o prima del trapianto, quando sono in fase di buon compenso epatico per evitare che s’intasino o peggio ancora si strozzino, o subito dopo il trapianto, quando la risoluzione dell’ascite ne determina la formazione. 

Inoltre c’è da dire che, in alcuni casi, la chiusura dell’addome non è immediatamente possibile subito dopo il trapianto, soprattutto nei pazienti gravemente scompensati che hanno una distensione intestinale importante o ancora quando le dimensioni del fegato trapiantato, alcune volte più grande rispetto alla capacità contenitiva della cavità addominale2, rende necessario un “second look chirurgico” per la sintesi della parete a distanza di almeno 48/72 ore dal trapianto. Attualmente i nuovi orientamenti prevedono una chiusura progressiva della cavità addominale con un sistema a pressione negativa, per evitare di esporre il paziente ad una sindrome compartimentale conseguente anche fatale.

Certamente interessante è ancora il ruolo della chirurgia epatica, nei pazienti trapiantati, nei casi in cui si sviluppano recidive o nuovi epatocarcinomi nel graft ed ancora metastasi epatiche da neoplasie sviluppatesi in altre sedi. Com’è infatti noto, i trapiantati a causa del loro regime immunosoppressivo, possono sviluppare tumori ex novo (es. tumori del colon)3, tumori del distretto orofaringeo (abbastanza frequenti), neoplasie dell’apparato linfoemopoietico ed anche metastasi in sedi extraepatiche (es. surrene)4. L’approccio chirurgico per tali situazioni può essere di tipo tradizionale “a cielo aperto” o addirittura minivasivo laparoscopico; infatti la presenza di un’ampia cicatrice chirurgica, il più delle volte sottocostale bilaterale, non rappresenta una controindicazione all’utilizzo della tecnica mini invasiva.


BIBLIOGRAFIA

  1. Vennarecci G, Mascianà G, De Werra E,  et al. Effectiveness and versatility of biological prosthesis in transplanted patients. World J Transplant 2017; 7: 43-8.
  2. Levesque E, Duclos J, Ciacio O, Adm R, Castaing D, Vibert E. Influence of larger graft weight to recipient weight on the post-liver transplantation course. Clin Transplant 2013; 27: 239-47.
  3. Darnis B, Poncet G, Robert M. Laparoscopic total colectomy for ulcerative colitis after liver transplantation is feasible. J Minim Access Surg 2017; 13: 222-4.
  4. Jalbani IK, Nazim SM, Tariq MU, Abbas F. Adrenalectomy for solitary metastasis of Hepatocellular carcinoma post liver transplantation: case report and literature review. Pak J Med Sci 2016; 32: 1044-6.