Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 4, Ottobre - Dicembre 2017

Simposio: La ricerca biologica nella Marina Militare

09 maggio 2017

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La ricerca biologica nella Marina Militare: cenni storiografici e campi di intervento

L. Ricciardi

Dal 1861, anno dell’Italia unita e della nascita delle Forze Armate nazionali, la Marina (allora Regia Marina) ha istituito il proprio Corpo Sanitario, che, pur alle prese con innumerevoli problemi logistici e amministrativi, ha iniziato anche a interessarsi di ricerca. Alle origini la ricerca era specialmente incentrata su Igiene navale, Epidemiologia e Statistica sanitaria1. Nel 1894 la Regia Marina organizza un congresso i cui Atti sono la fotografia dell’”Armata” e dell’Accademia Navale dal punto di vista statistico, con moltissimi istogrammi dedicati alla Sanità delle varie Basi navali, delle Navi e di Ospedali e Istituti2.

Negli anni dell’espansione coloniale e fino alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale troviamo ufficiali medici impegnati soprattutto nella ricerca in campo di Medicina tropicale (da Tien Tsin a Mogadiscio); in Somalia è esistito un Centro Studi e Ricerche di Malariologia “Ettore Marchiafava”, del Policlinico Umberto I, ma gestito dalla Marina, fino al 1960, anno in cui la Somalia si rese indipendente.

Alcuni ufficiali vennero reclutati nelle varie spedizioni del prof. Tucci in Tibet e Nepal, dagli anni ‘30 ai ’50: Regolo Moise, Eugenio Ghersi, Concetto Guttuso, questi ultimi, entrambi direttori del centro di Mogadiscio3.

Nel 1899/1900 Achille Cavalli Molinelli si trovò invece coinvolto nella spedizione al Polo Nord del Duca degli Abruzzi4.

Una curiosità: Guttuso, di passaggio da Kathmandu nel 1952, diagnosticò la malaria a Tenzing Norgay Sherpa, che fu da lui curato felicemente, giusto l’anno prima che questi conquistasse l’Everest con Edmund Hillary (1953).

Abbiamo identificato la ricerca come biologica, per distinguerla da quella clinica, come quella citata sinora. Almeno nelle premesse, la ricerca biologica fa riferimento alla Fisiologia dell’organismo e alle risposte e/o adattamenti che esso organizza se esposto, ad esempio, ad ambienti straordinari (subacqueo) o confinati (sommergibile), dove il microclima può generare modificazioni sostanziali rispetto all’habitat consueto dell’uomo.

L’attività fisico/lavorativa umana in tali ambienti dà luogo a manifestazioni fisiopatologiche più spiccate e precoci rispetto a qualsivoglia attività in condizioni standard di riferimento: STPD, cioè standard temperature and pressure, dry.

Va da sé che la qualità della ricerca dipenda dall’evoluzione tecnologica e quindi i passi della Fisiologia applicata sono stati notevolissimi se confrontiamo l’ambiente medico fra le due guerre, con il dopoguerra.

Lo sviluppo dei sommergibili e delle attività subacquee portarono la Marina Italiana, nonostante incomprensioni e resistenze come quelle di cui furono vittima il comandante Angelo Belloni e addirittura il maggiore Teseo Tesei, a livelli tecnici di avanguardia e, di conseguenza, iniziò a svilupparsi la Medicina subacquea, basata su sperimentazioni svolte nelle sedi dell’addestramento degli equipaggi di SLC (siluri a lenta corsa “maiali”), SSB (siluri San Bartolomeo), MTM (motoscafi turismo modificati) e sommergibili. Le basi coinvolte erano Bocca di Serchio, Varignano, Accademia Navale, Venezia5.

Purtroppo, proprio su questa fase, almeno per i Mezzi d’assalto, sono molto carenti e nebulose le informazioni riguardo all’attività sperimentale di Fisiologia subacquea.

Indubbiamente Bruno Falcomatà MOVM fu sicuramente fra i primi a interessarsi di problematiche connesse con l’ambiente subacqueo, la respirazione di ossigeno iperbarico e la resistenza fisica in immersione. Scrisse inoltre del microclima dei sommergibili. Da ricordare anche il dottor Giorgio Spaccarelli, che fu molto operativo a bordo dei sommergibili di avvicinamento.

Nel dopoguerra Giancarlo Moretti fonda il Centro Studi di Fisiopatologia subacquea della Marina nel 1960 presso il Varignano e sarà uno dei pionieri della Medicina subacquea in Marina.

Sergio Fontanesi gli succede e introduce interessi nuovi quali gli alti fondali, l’iperossia, le immersioni in saturazione e il monitoraggio dell’attività cerebrale in iperbarismo.

Altri ricercatori furono Raffaele Pallotta d’Acquapendente, che si occupò di Medicina del Lavoro applicata all’immersione subacquea, nella sede di Napoli e Giacomo Modugno, che si occupò di Medicina del Lavoro applicata ai sommergibili, nella sede di Taranto.

A questo punto, chi scrive non può non citare se stesso, avendo prestato servizio presso COMSUBIN come ufficiale di complemento, poi richiamato e come consulente per la Fisiologia, negli ultimi quarant’anni. Dagli anni ’80 del secolo scorso mi sono interessato di valutazione funzionale di laboratorio e sul campo di Incursori e allievi Incursori, formulando e realizzano anche razioni da combattimento, prodotte dalla ditta ENERVIT. È stata poi la volta dello studio dell’autonomia della calce sodata degli ARO (autorespiratori a ossigeno) in dotazione sempre agli Incursori, col risultato di poter programmare l’immersione in funzione della velocità del nuoto subacqueo. C’è poi stato uno studio di immersioni in apnea ad altissima quota (5067 m) con interessanti risultati sul piano della Fisiologia subacquea e dell’alta quota. Negli ultimi 15 anni circa, chi scrive si è interessato della qualità dell’aria dei sommergibili con campionamento di gas ambientali e particolato, della rigenerazione dell’aria operativa e d’emergenza e di programmi di mantenimento fitness per gli equipaggi.

Ai tempi in cui era Capo Sezione Fisiologia Subacquea, come si è detto, Sergio Fontanesi si interessò agli effetti della respirazione di ossigeno iperbarico sull’attività elettrica corticale; il motivo fu la lettura del primo articolo del prof. Lucio Pastena6 di neurofisiologia sperimentale sul coniglio, in cui si vedeva come l’incremento della PiO2 da 0.2 a 1 a 4 ATA generasse significative variazioni di onda nelle risposte evocate corticali generate per stimolazione con elettrodi impiantati nei corpi genicolati laterali.

Da allora scaturì un’intensa attività sperimentale e scientifica, a terra e a bordo, che si concretò in un progetto, DGSM7, finanziato dalla Sanità Militare e terminato agli inizi del secolo corrente.

La tecnologia di registrazione elettroencefalografica (EEG) si è sviluppata negli anni ed è passata dalla necessità di collegamenti via cavo fra soggetti studiati e sperimentatore, all’applicazione della tecnica Holter di registrazione su memoria di massa e lettura off-line, fino alla trasmissione radio via Bluetooth®, dei segnali EEG fra soggetto studiato e sperimentatore7. È evidente che, in fase di simulazione, l’uso di camere iperbariche ha avuto grandi facilitazioni da questo avanzamento tecnologico, poiché, anziché dovere aprire un passaggio a scafo per connettere fisicamente il soggetto al registratore, oppure dover attendere di staccare il registratore Holter per poterne scaricare il contenuto, la trasmissione Bluetooth®, attraverso gli oblò della camera, permette un controllo preciso in tempo reale.

Il progetto DGSM7 prevedeva lo studio di immersioni in saturazione con tecniche di registrazione EEG e analisi di Fourier e con risposte evocate corticali, lo studio della narcosi da azoto e lo studio della tossicità dell’ossigeno, il tutto in camere iperbariche della Marina, come il vecchio impianto abissale di COMSUBIN e l’impianto di Nave Anteo.

L’immersione in saturazione a 250 m (26 ATA) metteva in luce due aspetti diversi che si riflettevano tanto sulla registrazione EEG, quanto sui potenziali evocati P300, indici di reattività agli stimoli e capacità decisionale. Questi due effetti sono:

 

  1. EEG
  • Effetto compressione: aumento delle attività delta e theta nel primo minuto.
  • Effetto narcosi: aumento delle attività delta, theta e alfa nelle zone medio-anteriori al terzo minuto.
2. P300
  • Riduzione di ampiezza (effetto compressione).
  • Sdoppiamento dell’onda con aumento della latenza della seconda componente (effetto narcosi).

 

Le modificazioni EEG durante la saturazione sono risultate pienamente reversibili, dipendenti dunque dalle diverse condizioni di habitat e quindi accettabili fisiologicamente.

Lo studio della tossicità dell’ossigeno ha messo in luce come nei soggetti sensibili l’aumento di attività inibitoria (delta) condizioni una diminuzione di attività alfa nelle regioni centrali; questo fenomeno veniva messo in relazione al livello di vasocostrizione in queste regioni, non seguito da vasodilatazione (non visibile nei controlli). Si ipotizzava un’attività dell’ossido nitrico e/o dei radicali liberi dell’ossigeno. Un’ulteriore indagine SPECT confermava questa ipotesi.


BIBLIOGRAFIA

  1. Belli C. L’igiene navale. In: Lo sviluppo marittimo nel secolo XIX. Rivista Marittima. Roma, 1905;  Vol. I: 385-400.
  2. L’Armata e l’Accademia Navale: un decennio di statistica sanitaria (1883-1892). In: Atti XI Congresso medico internazionale, XIV Sezione: Regia Marina. Roma: Bertero, 1894.
  3. Martines V. La storia e gli uomini del Corpo Sanitario della Marina Militare. Roma: Adel grafica, 2000.
  4. di Savoia LA., Cagni U, Cavalli Molinelli A. La Stella Polare nel mare Artico 1899-1900. Hoepli:  Milano, 1913.
  5. Spertini M., Bagnasco E. I mezzi d’assalto della X Flottiglia MAS 1940-1945. Parma: Albertelli, 1997
  6. Pastena L. Variazioni dell’attività evocata corticale durante respirazione di O2 iperbarico. Ann Med Nav 1968; 73: 501-8.
  7. Ricciardi L. Registrazione di parametri biologici in camera iperbarica. Atti della Accademia Lancisiana 2014; 58: 134-8.