Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 2, Aprile - Giugno 2017

ECM: Update Clinico-Terapeutico in Reumatologia

14 febbraio 2017

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Spondiloartriti sieronegative: nuove opzioni terapeutiche

F. Sensi

Premessa

Le spondiloartriti (SpA) comprendono un gruppo di malattie di interesse reumatologico caratterizzate da comuni aspetti clinici come la presenza di un’artrite infiammatoria asimmetrica, di un interessamento delle articolazioni sacroiliache, di manifestazioni extra-articolari (cutanee, oculari, mucose) o di una familiarità per psoriasi, sacroileite, spondilite, uveite o enterite. Le SpA sono definite sieronegative per l’assenza del fattore reumatoide.

L’approccio farmacologico si fonda sull’uso di farmaciantinfiammatori (non steroidei, cortisonici) e di farmaci che possano modificare il decorso naturale della malattia (methotrexate, leflunomide, salazopirina, ciclosporina). Tuttavia la scelta del farmaco e delle sue modalità di somministrazione sono condizionate dal tipo di SpA e dalla sua prevalente espressione clinica (assiale o periferica).

Attualmente la definizione del ruolo del Tumor Necrosis Factor (TNF)-alfa nella patogenesi, non solo dell’artrite reumatoide ma anche delle SpA, ha profondamente modificato le strategie terapeutiche. Infatti sono disponibili farmaci in grado di bloccare il TNF-alfa, mediante un recettore solubile (etanercept) o un anticorpo monoclonale (infliximab, adalimumab, certolizumab pegol, golimumab), che hanno come indicazione, oltre l’artrite reumatoide, anche la spondilite anchilosante e l’artrite psoriasica. L’introduzione di questi trattamenti definiti “biologici” ha rappresentato una rivoluzione terapeutica.

L'uso dei farmaci biologici anti TNF-alfa nel trattamento delle SpA, ha mostrato, negli anni, di non riuscire però a raggiungere alcuni obiettivi. Il 40% circa dei pazienti in trattamento non ha un adeguato controllo della malattia o risulta intollerante al trattamento che può anche associarsi ad un aumentato rischio di infezioni o a comparsa di neoplasie.Inoltre, l'efficacia risulta ridursi nel tempoe non è stata evidenziata una sufficiente inibizione della progressione del danno radiologico.

 

Nuove opzioni terapeutiche per il trattamento delle SpA

Nuove molecole, con differenti meccanismi di azione rispetto all'inibizione del Tumor Necrosis Factor (TNF)-alfa, hanno recentemente dimostrato di essere efficaci nel trattamento dell'artrite psoriasica (Apremilast, Secukinumab, Ustekinumab) e della spondilite anchilosante (Secukinumab).

 

Apremilast

Apremilast è un inibitore orale a basso peso molecolare della fosfodiesterasi 4 (PDE4), agisce a livello intracellulare per modulare una rete di mediatori pro-infiammatori e antinfiammatori. La PDE4 è una PDE specifica per l'adenosin monofosfato ciclico (cAMP) ed è la PDE dominante nelle cellule infiammatorie.

L'inibizione della PDE4 aumenta i livelli intracellulari di cAMP, che a sua volta provoca una sottoregolazione della risposta infiammatoria modulando l'espressione di TNF-α, IL-23, IL-17 e altre citochine infiammatorie. L'AMP ciclico modula inoltre i livelli di citochine antinfiammatorie, come IL-10. Questi mediatori pro-infiammatori e antinfiammatori sono coinvolti nell'artrite psoriasica e nella psoriasi.

Apremilast, da solo o in associazione a farmaci antireumatici modificanti la malattia (Disease Modifying Antirheumatic Drugs, DMARD), è indicato per il trattamento dell’artrite psoriasica (PsA) attiva in pazienti adulti che hanno avuto una risposta inadeguata o sono risultati intolleranti a una precedente terapia con DMARD. La dose raccomandata di Apremilast è 30 mg due volte al giorno, assunta per via orale, alla mattina e alla sera, a distanza di circa 12 ore, senza limitazioni per quanto riguarda l'assunzione di cibo. È previsto uno schema di titolazione iniziale. Dopo la titolazione iniziale non è richiesta una nuova titolazione.

La sicurezza e l'efficacia di Apremilast sono state valutate in 3 Studi multicentrici, randomizzati, in doppio cieco, controllati verso placebo (Studi PALACE 11, PALACE 22 e PALACE 33), con disegno simile, in pazienti adulti con PsA attiva, nonostante un precedente trattamento con DMARD biologici.

In totale 1493 pazienti sono stati randomizzati e trattati con placebo, Apremilast 20 mg o Apremilast 30 mg, somministrati per via orale due volte al giorno. I pazienti in questi Studi avevano una diagnosi di PsA da almeno 6 mesi. Apremilast è stato usato in monoterapia (34,8%) o in associazione a dosi stabili di DMARD a basso peso molecolare (65,2%). Il trattamento concomitante con DMARD biologici, inclusi bloccanti del TNF, non era consentito. L'endpoint primario era la percentuale di pazienti che raggiungevano una risposta American College of Rheumatology (ACR) 20 alla settimana 16. Il trattamento con apremilast ha prodotto miglioramenti significativi dei segni e sintomi della PsA, valutati secondo i criteri di risposta ACR 20, rispetto al placebo, alla settimana 16.  Le risposte ACR 20/50/70 risultavano mantenute alla settimana 24.

Tra i pazienti inizialmente randomizzati al trattamento con Apremilast 30 mg due volte al giorno, i tassi di risposta ACR 20/50/70 sono stati mantenuti fino alla settimana 52 negli Studi PALACE 1, PALACE 2 e PALACE 3 combinati. Tra i 497 pazienti inizialmente randomizzati ad Apremilast 30 mg due volte al giorno, 375 (75%) pazienti continuavano a seguire questo trattamento alla settimana 52. In questi pazienti, le risposte ACR 20/50/70 alla settimana 52 erano pari rispettivamente al 57%, 25% e 11%. Le risposte osservate nel gruppo trattato con apremilast sono risultate simili nei pazienti che assumevano e nei pazienti che non assumevano DMARD, incluso MTX, in concomitanza. I pazienti trattati in precedenza con DMARD o medicinali biologici che hanno ricevuto Apremilast hanno conseguito una risposta ACR 20 alla settimana 16 superiore rispetto ai pazienti del gruppo placebo.

Negli Studi PALACE 1, PALACE 2 e PALACE 3, i miglioramenti nel punteggio dell'attività di malattia per 28 articolazioni (Disease Activity Scale, DAS28) misurata con la proteina C reattiva (CRP) e nella percentuale di pazienti che hanno raggiunto un criterio di risposta per la PsA (PsA response criteria, PsARC) modificato, sono stati maggiori nel gruppo apremilast rispetto al placebo alla settimana 16 (rispettivamente valore p nominale p ≤ 0,0004, valore p ≤ 0,0017). Questi miglioramenti risultavano mantenuti alla settimana 24. Tra i pazienti che hanno proseguito il trattamento con Apremilast a loro assegnato all'inizio dello Studio, il punteggio DAS28 (CRP) e la risposta PsARC sono stati mantenuti fino alla settimana 52.


Secukinumab

Secukinumab è un anticorpo monoclonale IgG1/κ completamente umano che lega selettivamente e neutralizza la citochina proinfiammatoria interleuchina-17A (IL-17A). Secukinumab ha come bersaglio l’IL-17A e ne inibisce l’interazione con il suo recettore che è espresso su diversi tipi di cellule compresi i cheratinociti. Di conseguenza secukinumab inibisce il rilascio di citochine proinfiammatorie, chemochine e mediatori di danno tissutale e riduce il contributo mediato da IL-17A alla patogenesi delle malattie autoimmuni e infiammatorie.

Livelli clinicamente rilevanti di secukinumab sono reperibili a livello cutaneo dove riducono i markers infiammatori locali. Come diretta conseguenza il trattamento con secukinumab riduce eritema, indurimento e desquamazione presenti nelle lesioni della psoriasi a placche. IL-17A è una citochina di origine naturale che è coinvolta nelle normali risposte infiammatorie e immunitarie. IL-17A gioca un ruolo chiave nella patogenesi della psoriasi a placche, dell’artrite psoriasica e della spondilite anchilosante ed è iperespressa nella cute lesionata rispetto a quella non lesionata nei pazienti con psoriasi a placche e nel tessuto sinoviale nei pazienti con artrite psoriasica. La frequenza di cellule produttrici di IL-17A è stata significativamente maggiore anche nel midollo osseo subcondrale a livello delle faccette articolari di pazienti con spondilite anchilosante.

La sicurezza e l’efficacia di Secukinumab sono state valutate in 1.003 pazienti in due Studi di fase III randomizzati, in doppio cieco, controllati verso placebo effettuati su pazienti con artrite psoriasica attiva nonostante la terapia con farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS), corticosteroidi o DMARD. I pazienti in questi Studi presentavano una diagnosi di PsA da una mediana di 3,9 a 5,3 anni. La maggioranza dei pazienti presentava anche lesioni cutanee compatibili con psoriasi attiva o una storia documentata di psoriasi. Oltre il 62% e il 47% dei pazienti con PsA presentava rispettivamente entesite o dattilite al basale.

Per entrambi gli Studi, l’obiettivo primario era la risposta ACR 20 alla settimana 24.

Negli Studi 1 e 2 sull’artrite psoriasica, il 29% e il 35% dei pazienti, rispettivamente, era stato precedentemente trattato con un agente anti-TNFα e aveva interrotto il trattamento per mancanza di efficacia o per intolleranza. Lo Studio 1 sulla PsA (FUTURE 14-5) ha valutato 606 pazienti, il 60,7% dei quali assumeva in concomitanza MTX. I pazienti randomizzati a Secukinumab hanno ricevuto una dose di 10 mg/kg per via endovenosa alle settimane 0, 2 e 4, seguita da 75 mg o 150 mg per via sottocutanea ogni mese a partire dalla settimana 8. I pazienti randomizzati al placebo che non avevano risposto alla settimana 16 (early rescue) e gli altri pazienti in placebo alla settimana 24 sono passati al trattamento con Secukinumab (75 mg o 150 mg per via sottocutanea) seguito dalla somministrazione della stessa dose ogni mese.

Lo Studio 2 sulla PsA (FUTURE 26)  ha valutato 397 pazienti, il 46,6% dei quali assumeva in concomitanza MTX. I pazienti randomizzati a Secukinumab hanno ricevuto una dose di 75 mg, 150 mg o 300 mg per via sottocutanea alle settimane 0, 1, 2 e 3, seguite dalla somministrazione della stessa dose ogni mese a partire dalla settimana 4. I pazienti randomizzati al trattamento con placebo che non avevano risposto alla settimana 16 (early rescue) sono passati al trattamento con Secukinumab (150 mg o 300 mg per via sottocutanea) alla settimana 16, seguito dalla somministrazione della stessa dose ogni mese. I pazienti randomizzati al trattamento con il placebo che avevano risposto alla settimana 16 sono passati al trattamento con Secukinumab (150 mg o 300 mg per via sottocutanea) alla settimana 24, seguito dalla somministrazione della stessa dose ogni mese. Il trattamento con Secukinumab ha determinato un miglioramento significativo degli indici di attività della malattia rispetto al placebo alla settimana 24.

Nei pazienti con PsA sono state osservate risposte simili per l’endpoint primario e per i principali endpoints secondari indipendentemente dal fatto che fossero o meno in trattamento concomitante con MTX. Alla settimana 24, i pazienti trattati con Secukinumab con uso concomitante di MTX hanno avuto sia una risposta ACR 20 superiore che una risposta ACR 50 superiore. I pazienti trattati con Secukinumab senza uso concomitante di MTX hanno avuto una maggiore risposta ACR 20 e ACR 50. I pazienti trattati con Secukinumab, sia quelli mai trattati con anti-TNFα sia quelli anti-TNFα-IR, hanno avuto una risposta ACR 20 significativamente superiore rispetto al placebo alla settimana 24, con una risposta leggermente superiore nel gruppo di pazienti mai trattati con anti TNFα.

Nel sottogruppo di pazienti anti-TNFα-IR, solo il dosaggio di 300 mg ha mostrato una percentuale di risposta ACR 20 significativamente superiore rispetto al placebo) e ha dimostrato maggiore beneficio clinico significativo del 150 mg su molteplici endpoint secondari. Nello Studio 1 sulla PsA, l’inibizione della progressione del danno strutturale è stata valutata radiologicamente ed è stata espressa in termini di variazione dell’indice totale di Sharp modificato (mTSS) e dei suoi componenti, dell’indice di erosione (ES) e dell’indice di restringimento della rima articolare (JSN), alla settimane 24 e 52, rispetto al basale. L’inibizione del danno strutturale è stata mantenuta con il trattamento di Secukinumab fino alla settimana 52.

La sicurezza e l’efficacia di Secukinmab sono state valutate in 590 pazienti in due Studi di fase III randomizzati, in doppio cieco, controllati verso placebo effettuati in pazienti affetti da spondilite anchilosante (AS) attiva con Bath Ankylosing Spondylitis Disease Activity Index (BASDAI) ≥4 nonostante la terapia con farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS), corticosteroidi o farmaci antireumatici in grado di modificare il decorso della malattia (DMARDs).

In questi Studi i pazienti presentavano una diagnosi di AS da una mediana di 2,7 a 5,8 anni. Per entrambi gli Studi, l’endpoint primario era un miglioramento di almeno il 20% dei criteri di valutazione stabiliti da parte della Società Internazionale sulle spondiloartriti (ASAS 20) alla settimana 16.

Negli Studi 1 e 2 sulla spondilite anchilosante, il 27,0% e il 38,8% dei pazienti, rispettivamente, era stato precedentemente trattato con un agente anti-TNFα e aveva interrotto il trattamento per mancanza di efficacia o per intolleranza (pazienti anti-TNFα - IR).

Lo Studio 1 sulla AS (MEASURE 17) ha valutato 371 pazienti, dei quali il 14,8% e il 33,4% ha utilizzato in concomitanza MTX o sulfasalazina, rispettivamente. I pazienti randomizzati a Secukinumab hanno ricevuto una dose di 10 mg/kg per via endovenosa alle settimane 0, 2 e 4, seguita da 75 mg o 150 mg per via sottocutanea ogni mese dalla settimana 8. I pazienti randomizzati al placebo che non avevano risposto alla settimana 16 (early rescue) e tutti gli altri pazienti in placebo alla settimana 24 sono stati avviati al trattamento con Secukinumab (75 mg o 150 mg per via sottocutanea), seguito dalla somministrazione della stessa dose ogni mese.

Lo Studio 2 sulla AS (MEASURE 28) ha valutato 219 pazienti, dei quali l’11,9% e il 14,2% ha utilizzato in concomitanza MTX o sulfasalazina, rispettivamente. I pazienti randomizzati a Secukinmab hanno ricevuto una dose di 75 mg o 150 mg per via sottocutanea alle settimane 0, 1, 2 e 3, seguita dalla somministrazione della stessa dose ogni mese dalla settimana 4. Alla settimana 16, i pazienti che erano stati randomizzati al braccio placebo al basale sono stati di nuovo randomizzati per ricevere Secukinumab (75 mg o 150 mg per via sottocutanea) ogni mese. Nello Studio 2 sull’AS, il trattamento con Secukinumab 150 mg, ha determinato un importante miglioramento di tutti gli indici relativi all’attività di malattia rispetto al placebo alla settimana 16.

 

Ustekinumab

Ustekinumab è un anticorpo monoclonale IgG1κ interamente umano che lega con specificità la proteina p40, subunità condivisa delle interluchine (IL)-12 e IL-23, citochine umane. Ustekinumab inibisce l'attività biologica di IL-12 e di IL-23 umane, impedendo il legame di p40 con la proteina recettoriale IL-12Rbl espressa sulla superficie delle cellule immunitarie. Ustekinumab non può legarsi a IL-12 o a IL-23 che sono già legate ai recettori IL-12Rbl presenti sulla superficie cellulare. Quindi, è improbabile che Ustekinumab contribuisca alla citotossicità complemento-mediata o anticorpo-mediata delle cellule con i recettori di IL-12 e/o IL-23. IL-12 e IL-23 sono citochine eterodimeri secrete da cellule attivate presentanti l'antigene, come macrofagi e cellule dendritiche ed entrambe le citochine partecipano all'attività immunitaria. IL-12 stimola le cellule natural killer (NK) e conduce la differenziazione delle cellule T CD4+ verso il fenotipo T helper 1 (Th1), IL-23 induce il pathway del T helper 17 (Th17). Tuttavia, la regolazione anomala di IL-12 e IL-23 è stata associata a patologie immuno-mediate, come la psoriasi e l'artrite psoriasica. Attraverso il legame alla subunità p40 condivisa di IL-12 e IL-23, Ustekinumab può esercitare i suoi effetti clinici sia nella psoriasi che nella artrite psoriasica interrompendo i pathway citochinici di Thl e Th17, che sono cruciali per la patologia di queste malattie.  Ustekinumab ha mostrato di migliorare i segni ed i sintomi, funzionalità fisica e qualità della vita correlata alla salute e di ridurre il tasso di progressione del danno articolare periferico nei pazienti adulti con PsA attiva.

La sicurezza e l'efficacia di Ustekinumab sono state valutate in 927 pazienti in due Studi clinici, randomizzati, in doppio cieco controllati con placebo in pazienti con PsA attiva (≥ 5 articolazioni tumefatte e ≥ 5 articolazioni dolenti) nonostante la terapia anti-infiammatoria non steroidea (FANS) o la terapia con farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD). I pazienti in questi Studi avevano una diagnosi di PsA da almeno 6 mesi. I pazienti erano randomizzati per ricevere il trattamento con Ustekinumab 45 mg, 90 mg o placebo per via sottocutanea alle settimane 0 e 4 seguite da una somministrazione ogni 12 settimane. Circa il 50% dei pazienti ha continuato con dosi stabili di MTX (≤ 25 mg/settimana). Nello Studio 1 della PsA (PSUMMIT I9-10) e nello Studio 2 della PsA (PSUMMIT II11), 80% e 86% dei pazienti, rispettivamente, erano stati trattati precedentemente con i DMARD. Nello Studio 1 non è stato consentito un precedente trattamento con agenti anti fattore di necrosi tumorale (TNF)α. Nello Studio 2, la maggior parte dei pazienti (58%, n = 180) aveva ricevuto in precedenza uno o più trattamenti con un agente anti-TNFα. Il trattamento con Ustekinumab ha portato alla settimana 24 miglioramenti significativi nella valutazione dell'attività della malattia a confronto con il placebo. L'endpoint primario era la percentuale dei pazienti che raggiungeva la risposta American College of Rheumatology (ACR) 20 alla Settimana 24. Le risposte ACR 20, 50 e 70 sono continuamente migliorate o sono rimaste costanti fino alla Settimana 52 (Studio 1 e 2 sulla PsA) e Settimana 100 (Studio 1 sulla PsA). Nello Studio 1 sulla PsA, le risposte ACR 20 alla Settimana 100 sono state raggiunte da 57% e 64%, per 45 mg e 90 mg, rispettivamente. Nello Studio 2 sulla PsA, le risposte ACR 20 alla Settimana 52 sono state raggiunte da 47% e 48%, per 45 mg e 90 mg, rispettivamente. Il danno strutturale sia nelle mani che nei piedi è stato espresso come la modifica nel punteggio totale di van der Heijde-Sharp (vdH-S score), modificato per la PsA attraverso l'aggiunta delle articolazioni interfalangee distali della mano, rispetto al basale. È stata eseguita una analisi integrata pre-specifica che combina i dati provenienti da 927 soggetti provenienti sia dallo Studio 1 sulla PsA che dal 2. Ustekinumab ha dimostrato una diminuzione statisticamente significativa del tasso di progressione del danno strutturale rispetto al placebo, come misurato dal cambiamento dal basale alla Settimana 24 nel punteggio totale vdH-S score modificato12. Questo effetto è stato guidato dallo Studio 1 sulla PsA. L'effetto è considerato dimostrato indipendente dall'uso concomitante di MTX ed è stato mantenuto fino alla Settimana 52 (analisi integrata) e 100 (Studio 1 sulla PsA).


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