Prof.ssa Paola Conigliaro

Specialista in Reumatologia, Ricercatore Universitario, U.O.C. Reumatologia, Università di Roma Tor Vergata

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 2, Aprile - Giugno 2017

ECM: Update Clinico-Terapeutico in Reumatologia

14 febbraio 2017

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Terapia innovativa dell’Artrite Reumatoide

P. Conigliaro

L’Artrite Reumatoide (AR) è una malattia cronica progressiva ed invalidante che coinvolge le articolazioni diartroidali e determina una perdita della funzionalità articolare, riduce la qualità di vita ed aumenta la morbidità e mortalità di chi ne è affetto1.  La perdita della tolleranza verso il self rappresenta il primo evento immunologico che porta allo sviluppo dell’autoimmunità. Soggetti con suscettibilità genetica sotto l’influenza di fattori ambientali, come il fumo di sigaretta e l’esposizione a trigger infettivi, possono sviluppare fenomeni autoimmunitari come la produzione di anticorpi anti-peptidi ciclici citrullinati (ACPA) e fattore reumatoide (FR)2. Diversi aplotipi HLA e non-HLA possono esercitare un ruolo importante nello sviluppo o meno degli ACPA. Il FR e gli ACPA sono dei marcatori sierologici dell’AR; durante la fase immunologica preclinica della malattia la presenza degli autoanticorpi è stata dimostrata. La presenza degli ACPA, inoltre, rappresenta un fattore di rischio indipendente di sviluppo della malattia conclamata in pazienti con artrite indifferenziata o artralgie. Gli autoanticorpi si associano inoltre ad una malattia erosiva, aggressiva, ad una perdita di massa ossea, all’infiammazione sistemica e locale e ad una maggiore mortalità3-6. Tuttavia, sebbene il FR e gli ACPA sono marcatori distintivi della malattia, esiste una minoranza di pazienti affetti da AR in cui tali anticorpi non si riscontrano a livello sierico; in questo caso si parla di "artrite sieronegativa"7.

Negli ultimi anni la terapia dell’AR è profondamente cambiata; l’avvento dei farmaci biotecnologici ha migliorato la prognosi quoad valitudinem dei malati. Gran parte del merito è dovuto al migliore armamentario terapeutico e al sempre più diffuso intervento precoce. Fino a pochi anni fa, i soli farmaci disponibili per l’AR erano i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), il cortisone ed i farmaci anti reumatici modificatori di malattia (DMARDs). Oggi, l’arrivo dei farmaci biologici ha notevolmente modificato l’evoluzione della patologia e ridotto nettamente la disabilità8. Le raccomandazioni EULAR aggiornate al 2013 indicano i DMARDs come prima strategia terapeutica alla diagnosi di AR. Si tratta di farmaci che diminuiscono i segni e i sintomi della malattia e ne ritardano la progressione del danno osseo radiologico. Fanno parte di questa classe il Methotrexate, la Sulfasalazina, la Leflunomide, l'Azatioprina e l'Idrossiclorochina.  In particolar modo, come primo trattamento viene suggerito il Methotrexate in monoterapia o in associazione con glucocorticoidi oppure combinato con altri DMARDs. Qualora ci fossero controindicazioni per il Methotrexate, si dovrebbe considerare l'uso della Leflunomide o della Sulfasalazina. Qualora non si arrivi al target prefissato, ovvero la remissione clinica oppure la bassa attività di malattia, con il primo DMARD, la strategia terapeutica dovrebbe vagliare l'utilizzo di un altro DMARD oppure di un agente biologico9.

Nove diverse terapie biologiche hanno l’indicazione per il trattamento dell’AR: sette sono inibitori delle citochine proinfiammatorie, uno è rivolto contro i linfociti B e l'ultimo contro i linfociti T. Adalimumab, Certolizumab Pegol, Etanercept, Golimumab ed Infliximab hanno come bersaglio il TNFα; Anakinra è un inibitore del recettore della IL1; Tocilizumab agisce impedendo il legame dell'interleuchina 6 con il proprio recettore. Rituximab ed Abatacept funzionano rispettivamente contro i linfociti B ed i linfociti T. La risposta clinica alla terapia impiegata dipende da molteplici fattori quali età, sesso, fumo, geni, positività degli autoanticorpi, attività di malattia, numero di farmaci precedentemente impiegati e terapia concomitante10. Un altro fattore che determina la risposta clinica è la strategia terapeutica impiegata. Diversi studi hanno dimostrato come una strategia intensiva di tipo “tight control” sia superiore alla terapia convenzionale11. Recentemente sono state pubblicate le raccomandazioni “treat to target” del 2014 in cui si evidenzia come in presenza di una malattia attiva il principale target terapeutico dovrebbe essere la remissione clinica nei pazienti con malattia precoce (inferiore ad un anno) e la bassa attività di malattia nei pazienti con malattia di lunga durata. Questi target terapeutici dovrebbero valutati periodicamente (ogni 1-3 mesi) mediante l’uso di indici compositi e la terapia modificata considerando le comorbidità e altre fattori inerenti al paziente. Una volta che il target terapeutico è stato raggiunto, dovrebbe essere mantenuto nel tempo, per almeno 3-6 mesi, e la terapia dovrebbe essere modificata qualora il target non venga mantenuto12. Nuovi farmaci biologici sono attualmente studiati come farmaci diretti contro IL-6 (Sirukumab, Olokizumab, Sarilumab, Clazakizumab), farmaci diretti contro i linfociti B (Ocrelizumab), farmaci diretti contro IL-17 (Secukinumab, Ixekizumab, Brodalumab) questi ultimi che tuttavia sembrano dimostrare un’efficacia inferiore a quella degli anti-TNF. Recentemente sono stati approvate due nuove terapie sintetiche: Tofacitinib, approvato da FDA nel Novembre 2012 e da EMA che ha dato un parere positivo a Gennaio 2017; Baricitinib che ha ricevuto parere positivo dall’EMA a Dicembre 2016. Tofacitinib è un inibitore di JAK3 che previene la fosforilazione di STAT, la sua traslocazione nel nucleo e attivazione della trascrizione di geni che codificano per citochine pro-infiammatorie. Baricitinib è un inibitore selettivo di JAK 2 e JAK1 inibisce la fosforilazione di STAT3 e STAT4 e la produzione di IL-17 e IL-22. Tofacitinib e Baricitinib sono terapie orali con efficacia similare a quella dei biologici ed un minore costo13. Le terapie per l’AR insieme ad un approccio di tipo “tight control” permetteranno ad un maggior numero di pazienti di raggiungere la remissione clinica e ritarderanno la progressione del danno osseo con il fine ultimo di ridurre l’invalidità ed aumentare la qualità della vita dei malati.


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