Prof.ssa Laura Gasbarrone

Presidente della Accademia Lancisiana

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2023-2024

Vol. 68, n° 1, Gennaio - Marzo 2024

Simposio: La prevenzione dimenticata

19 dicembre 2023

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Introduzione

L. Gasbarrone

Abbiamo ormai acquisito consapevolezza di come la pandemia dovuta alla infezione da SARS-CoV-2 iniziata alla fine del 2019 abbia determinato uno sconvolgimento nelle abitudini di vita della popolazione mondiale, non solo nella quotidiana vita di relazione, ma anche in quelle di norma considerate ormai basilari e ineludibili iniziative di prevenzione sanitaria. Non perché si fosse modificata la considerazione sulla validità di queste iniziative, ma il timore di contrarre l’infezione in qualunque ambiente si dovesse frequentare ha sicuramente prevalso in quel momento.

La pandemia Covid19 ha quindi distolto l’attenzione del mondo sanitario e di tutto il mondo civile dai programmi di prevenzione. Nella fase iniziale della pandemia, momento storico caratterizzato dall’incertezza globale, in primo luogo a livello delle istituzioni sanitarie, le strutture sanitarie sono state tutte coinvolte nella lotta alla pandemia, concentrate sulle problematiche assistenziali di diagnosi, terapia, complicanze e conseguenze a medio/lungo termine dell’infezione, aspetti del tutto sconosciuti per i quali non si disponeva di elementi basati su evidenze scientifiche che, viceversa, sono state raccolte progressivamente e di cui solo oggi si cominciano a vedere validi resoconti. Sono state quindi sospese tutte le attività in elezione, sospesi i programmi di prevenzione: la mancata offerta di questi servizi ha coinciso con l’indisponibilità da parte del pubblico ad accedere alle strutture sanitarie per la paura di contrarre l’infezione.

In quel momento il mondo si è autosospeso in attesa di acquisire conoscenze reali sulla malattia. Gli episodi di lockdown hanno autorizzato la sospensione delle attività, necessaria in quel momento, ma gli inevitabili risvolti negativi sono evidenti solo oggi a posteriori: facciamo quindi i conti con screening di prevenzione mancati, diagnosi mancate o tardive e siamo di fronte alla necessità di recuperare il tempo perduto per non incrementare questo conto in negativo.

I dati di Eurostat ci dicono che, rispetto alla media annuale 2018-2020, nel 2021 19 su 24 stati membri dell’Unione Europea (UE) hanno ridotto la richiesta media di consultazione medica ad eccezione di Lettonia, Slovacchia, Polonia, Austria e Repubblica Ceca che hanno dimostrato un lieve incremento. Le medie più basse di visite mediche sono state registrate invece in Svezia (2,3 visite per abitante), Grecia (2,7), Portogallo (3,5), Danimarca (3,8), Finlandia ed Estonia (entrambi 4,1). Sempre nel 2021 in Italia sono state registrate 5,3 visite per abitante all’anno, dato che potrebbe sembrare positivo rispetto alle medie più basse riportate dagli altri paesi UE. Se invece si considera dove sono state registrate le maggiori diminuzioni nel numero medio di visite mediche rispetto ai precedenti anni, si scopre che in Italia vi è stata la maggiore diminuzione (-39%), seguita da Lituania (-24%), Spagna (-20%), Estonia (-19%) e Ungheria (-8%).

Tutti i sistemi sanitari hanno subito le conseguenze della pandemia, ma questa non è una magra consolazione. Anzi, in alcune situazioni si sono accentuate carenze e inefficienze già notoriamente presenti, come nel nostro paese, dove molti sistemi sanitari regionali del sud hanno visto peggiorare le loro performance esaminate dalla Corte dei Conti attraverso il nuovo monitoraggio dei LEA. Quest’ultimo si compone di tre indicatori principali: prevenzione, territorio e ospedale.

Concentrando l’attenzione solo all’ambito della prevenzione, si evince che nel 2021 4 Regioni non raggiungono complessivamente il punteggio minimo, due nel Nord, Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano, e due nel Mezzogiorno, Sicilia e Sardegna.

Ancora, nello specifico dell’adesione ai programmi di screening per patologie neoplastiche, la pandemia ha peggiorato la situazione: nel 2019 erano insufficienti sette Regioni (tutto il Mezzogiorno ad eccezione dell’Abruzzo), nel 2020 le Regioni insufficienti incrementano a tredici (tutto il Mezzogiorno, Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Lazio) delle quali, nel 2021, solo quattro (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Basilicata) riottengono un punteggio positivo.

Il dato può essere interpretato come insufficiente domanda del servizio da parte degli utenti che non accedevano alle strutture per i motivi già esposti, oppure come carenza o inappropriatezza organizzativa da parte dell’offerta dei servizi all’utenza, peggiorata dalla necessità di dover assicurare l’assistenza per l’emergenza Covid-19. La realtà sicuramente contempla entrambi i fattori.

In merito alla prevenzione delle malattie neoplastiche, lo screening e il trattamento sono stati significativamente ridotti in quasi tutti i Paesi Ocse, in particolare all'inizio della pandemia e in coincidenza con la prima introduzione di lockdown del marzo 2020. Di conseguenza da quel momento diagnosi e trattamento del cancro sono stati notevolmente ritardati. In epoca pre pandemia nel 2019 in Italia il 70,9% delle donne nella fascia di età raccomandata tra 50 e 69 anni si è sottoposta a una mammografia secondo la cadenza raccomandata ogni due anni. Il nostro Paese si collocava sopra la media europea.

Per la prevenzione del tumore della cervice uterina, il dato di copertura per l’Italia era comparabile a livello europeo, ovvero la quota di donne che hanno effettuato uno screening negli ultimi tre anni, era pari al 71,7%, a fronte di una media europea di 72,6%.

Per l’esame della ricerca del sangue occulto nelle feci, la fascia di età confrontabile tra i vari paesi europei è quella di 50-74 anni: in Italia il 36,1% l’ha eseguito negli ultimi due anni, ossia con la cadenza raccomandata, valore più alto della media europea.

In epoca pandemia gli screening hanno visto purtroppo una drastica riduzione in tutto il paese: ad esempio al Nord, dove l’adesione alla mammografia è passata dal 63% nel 2021 al 54% nel 2022 e quella allo screening colorettale è in discesa dal 45% al 38%. Dati ancora più sconfortanti si registrano al Sud, già penalizzato in partenza. Il risultato finale è costituito dall’aumento delle nuove diagnosi di tumore e delle morti per questa causa nell’ultimo periodo e stimato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) per il 2023. Secondo la Comunità Europea entro il 2025 tutti gli screening dovranno essere offerti ad almeno il 90% degli aventi diritto: è una sfida importante, per la quale rischiamo di partire svantaggiati.

Altro aspetto critico dell’area della prevenzione riguarda le coperture vaccinali, peggiorate dalla pandemia rispetto ai dati ante pandemia, soprattutto per le vaccinazioni dell’età pediatrica. Le percentuali di adesione alle vaccinazioni esavalente e trivalente nei bambini a 24 mesi, in media nazionale, risultano inferiori al dato del 2019, segnando quindi una battuta di arresto nel percorso di miglioramento avutosi nel triennio 2017-2019. L’OMS, per le vaccinazioni in età pediatrica, raccomanda una soglia ritenuta accettabile ed una ottimale, pari, rispettivamente, al 92% e al 95% dei bambini in quella classe di età.

Per la vaccinazione esavalente, il valore ottimale è raggiunto, o superato, in nove Regioni (Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Molise, Campania), mentre si collocano al di sotto del valore minimo accettabile quattro Regioni, due nel Nord, la Valle d’Aosta (90,7%) e la Provincia autonoma di Bolzano (75,6%) e due nel Mezzogiorno, la Regione siciliana (86,3%) e la Sardegna (91,9%).

Ancora, per quanto riguarda la copertura vaccinale nei bambini a 24 mesi per prima dose contro morbillo, parotite e rosolia, la cui media nazionale si attesta al 92,3% rispetto al 93,3% del 2019, solo sei Regioni raggiungono il target ottimale (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio), mentre si collocano al di sotto del valore accettabile la Provincia autonoma di Bolzano, con il valore più basso (71,2%), e le Regioni Valle d’Aosta, Liguria, Calabria, Sicilia e Sardegna.

I dati sul calo delle adesioni alle vaccinazioni in età pediatrica sono piuttosto allarmanti se si considera che la mortalità infantile nel corso degli anni si è ridotta proprio anche grazie alle vaccinazioni, che insieme alla prevenzione in genere e all’uso appropriato delle terapie antibiotiche hanno costituito il fondamento del calo delle malattie infettive in età pediatrica. È noto oltretutto come vi sia attualmente una recrudescenza proprio di alcune di queste malattie infettive, non solo nell’infanzia ma anche tra gli adulti.

Altro aspetto importante riguarda le modifiche degli stili di vita, indicatore composito elaborato dall’Istat ed utilizzato come una delle misure del Benessere Equo e sostenibile (BES), che evidenzia un’altra criticità dell’area della prevenzione, concentrata soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, con la sola eccezione della Sardegna.

Nel 2019 il 19,0% delle persone di 18 anni e più ha svolto attività fisica aerobica per almeno 150 minuti a settimana, l’11,5% attività di potenziamento muscolare almeno due volte a settimana e solo l’8,1% si è cimentato in entrambe le attività, come raccomandato dall’OMS. Nella popolazione adulta, l'adesione alle raccomandazioni dell’OMS per l’attività aerobica scende con l'età: è massima tra i 18-24 anni (37,0%) e minima tra gli ultrasettantacinquenni (6,4%). Gli uomini adulti sono fisicamente più attivi delle donne (23,6% contro 14,9%), sebbene tra queste ultime la pratica dell’attività fisica aerobica sia in aumento rispetto al 2015 (era il 12,8%), soprattutto nella fascia di età 45-64 anni (da 12,5% a 16,0%).

In periodo pandemico l’attività fisica si è drasticamente ridotta, sia per il confinamento nelle case sia per l’indisponibilità di palestre, piscine e luoghi analoghi ad essa dedicati, e non è stata sopperita da attività più semplici che avrebbero potuto essere intraprese, come ad esempio camminare. Ma anche oggi in una giornata media due adulti su cinque trascorrono 7 ore o più in comportamenti sedentari (37%). Oltre a essere eccessivamente sedentaria, il 31% della popolazione adulta non svolge neppure livelli adeguati di attività fisica aerobica. Tale quota raggiunge il 40% tra gli ultrasessantacinquenni. Sappiamo bene quanto la sedentarietà incida sulla buona salute in genere e viceversa quanto l’attività fisica eserciti un effetto favorevole nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, metaboliche, osteoarticolari. Nei confronti di queste ultime, poiché comunque l’invecchiamento è un processo inevitabile e la vita media tende ad allungarsi insieme alla predisposizione a queste patologie spesso invalidanti, si prevede che nel 2050 i casi di frattura dell’anca raddoppieranno a livello globale rispetto al 2018, con un aumento maggiore negli uomini rispetto alle donne. È quindi urgente predisporre piani di prevenzione delle condizioni predisponenti, come l’osteoporosi, comunemente considerata in modo erroneo appannaggio pressoché esclusivo del sesso femminile, per provare a garantirci una vecchiaia almeno in buona salute.

Quindi gli indicatori fondamentali sulla salute della popolazione mostrano i perduranti effetti della pandemia, che non è scomparsa ma è tuttora persistente tra noi, apparentemente sotto traccia, mentre ne sono evidenti le conseguenze negative sullo stato di salute in generale delle popolazioni.

Il Rapporto Ocse “Health at a Glance 2023” ci dice che nei Paesi Ocse l’aspettativa di vita è diminuita in media di 0,7 anni tra il 2019 e il 2021. I dati provvisori per il 2022, pur indicando una ripresa in alcuni Paesi, registrano un’aspettativa di vita al di sotto dei livelli pre-pandemia in 28 Paesi. L’Italia registra un arretramento anche in quest’ambito, nel quale da molti anni occupava posizioni di vertice assoluto: scivola al nono posto della classifica della speranza di vita, con una media di 82,7 anni, a fronte di una media Ocse di 80,3. Sopra l’Italia troviamo Giappone (84,5), Svizzera (83,9), Corea (83,6), Australia (83,3), Spagna (83,3), Norvegia (83,2), Islanda (83,2) e Svezia (83,1). Da notare come il Giappone, rimasto in ottima posizione, sia stato per anni il paese con il quale l’Italia ha sempre conteso il primato della longevità ed anche della centenarietà: i centenari sono sempre stati prevalentemente giapponesi e italiani e sempre donne. Tra l’altro poiché la pandemia Covid-19 ha colpito soprattutto ultra80enni e ultra90enni, probabilmente ci aspetteremo nei prossimi anni una riduzione nel numero dei centenari poiché ci saranno meno anziani in graduatoria per raggiungere la centenarietà.

In questo contesto va considerato anche che persistono, anzi sono più evidenti, ostacoli nell’accesso all’assistenza sanitaria, nonostante la copertura universale prevista nella maggior parte dei paesi Ocse, poiché le lacune finanziarie rendono sempre più difficile l’accesso all’assistenza sanitaria per le famiglie a basso reddito. Gli individui con reddito più basso hanno in media probabilità tre volte maggiore di ritardare o non cercare assistenza rispetto agli individui con reddito più alto.

Permane il dato, che solleva molti interrogativi sulle scelte di politica sanitaria dei Paesi avanzati, secondo il quale quasi un terzo di tutti i decessi avrebbe potuto essere evitato attraverso una prevenzione e interventi sanitari più efficaci e tempestivi.

Ma se la maggior parte delle malattie sono oggi prevenibili e trattabili se diagnosticate in fase precoce, è necessario un cambio di rotta: disegnare un percorso che dall’allattamento al seno alle vaccinazioni dell’infanzia e dell’adolescenza, sino alle vaccinazioni dell’età adulta, ancora troppo sottovalutate e che invece costituiscono tappe fondamentali, insieme agli screening, per un invecchiamento in salute, diventino la strada maestra accessibile a tutti.

Durante la pandemia abbiamo visto l’impatto dell’innovazione nei vaccini. Ma non si fa prevenzione senza che i cittadini abbiano le informazioni di alfabetizzazione sanitaria e siano attiva parte in causa, quindi serve consapevolezza in ciascuno di noi.

Oggi in media si trascorrono 22,5 anni non in buona salute, quindi urge agire in prevenzione affinché la “non buona salute” impatti al minimo sulla qualità di vita.

Se guardiamo la fascia dei fragili, incrementando le coperture vaccinali contro influenza, pneumococco e herpes zoster si potrebbero evitare costi da 1 fino a 10 miliardi di euro. Ma deve essere chiaro che la prevenzione è anche fattore di crescita economica, oltre che di benessere nella popolazione, quindi la spesa in prevenzione deve essere considerata nei bilanci come voce di investimento e non come un costo passivo.

Prevenzione, ricerca, innovazione sono tre ‘asset’ fondamentali per poter vincere la sfida della “Global Health”. La buona salute è un problema individuale, ma contemporaneamente collettivo e che riguarda tutti i sistemi viventi.


Dott.ssa Laura Gasbarrone, Presidente dell'Accademia Lancisiana ETS

Per la corrispondenza: lancisi@aruba.it

BIBLIOGRAFIA

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