Anno Accademico 2023-2024

Vol. 68, n° 1, Gennaio - Marzo 2024

Seduta Inaugurale

07 novembre 2023

Copertina Atti Primo Trimestre 2024 per sito.jpg

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Responsabilità e Società della Conoscenza

A. Polimeni

Colleghe e Colleghi, Signore e Signori, Care Studentesse e Cari Studenti,

desidero innanzitutto salutarvi in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2023-2024 dell’Accademia Lancisiana e porgere un ringraziamento particolare alla sua Presidente Dott.ssa Laura Gasbarrone per l’invito che ha voluto rivolgermi ad intervenire a questa solenne cerimonia.

Il fondatore di questa Accademia, Giovanni Maria Lancisi, credeva fermamente che le Istituzioni deputate alla divulgazione del sapere dovessero essere delle “palestre” formative per i giovani; e, per tale ragione, oggi voglio in questa sede parlare di “responsabilità e società della conoscenza”.

Noi tutti sentiamo più che mai la responsabilità di contribuire, con formazione, ricerca e terza missione, alla creazione di benessere, conoscenza e valori condivisi. Uso la parola responsabilità consapevole delle sue diverse accezioni sul piano giuridico, morale, etico e psicologico. “Responsabilità” è una parola entrata relativamente tardi nel lessico europeo, alle soglie della modernità. Intendiamo “la capacità di rispondere” a una sfida, a un’emergenza, a un compito dinanzi a terzi.

Se “essere responsabili” vuol dire saper reagire e dar conto delle nostre azioni nei confronti degli altri, “responsabilità” è parola capace di veicolare una grande costellazione di concetti. Trasmettere il sapere non può prescindere dalla costruzione, in molti casi ricostruzione, di un sentimento di fiducia collettiva nei confronti della scienza e della cultura. Nel suo essere dovere, scelta, impegno, progetto formativo, responsabilità è però anche, inevitabilmente, un’espressione strettamente connessa con il “prendersi cura”.

La responsabilità verso gli altri è un comportamento volontario dettato dalla consapevolezza delle conseguenze e delle ricadute delle nostre decisioni. Il suo contrario non è tanto l’irresponsabilità, con la quale mantiene un legame dialettico, quanto, piuttosto, l’indifferenza. Riemerge qui l’originaria matrice del latino respondēre, cioè dell’impegnarsi a rispondere, a sé e all’altro, delle proprie scelte.

La prima nozione che desidero approfondire è quella di responsabilità come dovere; dovere dei compiti, dei ruoli e delle missioni. In un momento così importante per le sorti del nostro Paese e del sistema sociale che abbiamo costruito e che stiamo oggi difendendo, gli Atenei e gli Enti di alta formazione rappresentano un punto focale. Sono le istituzioni dove sviluppare e mettere alla prova nuovi modelli culturali e organizzativi sostenibili; dove innovare la didattica, creando percorsi di studio più aderenti alle mutate esigenze sociali; dove innovare la ricerca, attraverso il contagio delle idee e dei saperi, e la sperimentazione di nuove forme aggregative, attraverso collaborazioni scientifiche e formative sempre più improntate alla transdisciplinarità e all’internazionalizzazione.

La nostra capacità di innovare – si obietta spesso e non senza ragione – è ostacolata da risorse limitate, dai confini rigidi degli ordinamenti didattici e delle competenze disciplinari, da meccanismi di valutazione necessari, ma basati su parametri talvolta burocratizzati. Nessuna di queste obiezioni, però, sottrae qualcosa alle nostre responsabilità; semplicemente ci permette di mettere a fuoco le difficoltà che siamo chiamati a superare.

Collaborazione, dialogo, ricerca di sinergie, senso etico e del bene comune continuano a essere presupposti necessari, ma non più sufficienti. Quel che serve sempre di più è la capacità di adottare una visione prospettica, in grado di individuare i bisogni futuri e di formare oggi persone che siano in grado di soddisfarli domani.

All’Università, all’Accademia, spetta la responsabilità di creare competenze che consentano di anticipare, comprendere e risolvere le necessità future, di progettare e formare soft skills, quelle capacità duttili e trasversali che permettono di adattarsi al cambiamento e al tempo stesso di guidarlo.

Assumersi la propria responsabilità, evitando colpe di cui essere “imputabili”, non è sufficiente se vogliamo rispondere all’idea di un’assunzione pienamente cosciente del proprio mandato. Da medico, prima ancora che da Rettrice, penso occorra sottolineare una nozione di responsabilità che sia legata all’idea della “cura”.

Responsabile non è colui che agisce per evitare i problemi, ma chi, medicando ferite e proponendo rimedi, contribuisce a risolvere quelli della comunità in cui è inserito e che è stato chiamato a governare.

Ma questa accezione di cura da sola non basta. Ne esiste un’altra, puramente filosofica, che è la “cura”, nelle parole di Martin Heidegger, ad “impegnarsi in comune per la medesima causa”, la partecipazione autentica e libera diretta a uno scopo. Non può esistere l’una senza l’altra.

Vogliamo condividere con la società civile un’idea di Università capace di perseguire l’eccellenza e renderla accessibile a tutte e tutti, di favorire il merito senza dimenticare le pari opportunità. Vogliamo essere sempre di più un’Università in cui le politiche per l’inclusione, il riconoscimento e il rispetto dell’altra e dell’altro si riflettano pienamente nella didattica, nella ricerca e nel public engagement.

Conciliare eccellenza e inclusione è una delle missioni fondamentali dell’Ateneo che mi pregio di rappresentare. I passi compiuti in questa direzione sono chiari, nello sforzo di fare di Sapienza non solo l’università dove capita di incontrare un premio Nobel, ma una comunità educante, inclusiva, accessibile.

Il termine responsabilità coinvolge anche una nozione di progetto attinente alla formazione, alla convivenza e alla fiducia. Oggi più che mai ogni nostro gesto, ancor più come rappresentanti istituzionali, è portatore di responsabilità: nel campo della formazione, dell’insegnamento e, non ultimo, della salute e della sicurezza. Ciò che vogliamo è un “contagio delle responsabilità”.

Contagiare, in particolare, i nostri studenti significa – citando il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – “chiedere ai giovani di impegnarsi, chiedere di non tirarsi indietro, di accettare il rischio e di mettersi in gioco”. Quindi, responsabilità e conoscenza non possono fare a meno della fiducia.

È difficile capire il presente senza interrogarsi sul rapporto tra fiducia e conoscenza, quella “fiducia epistemica” che oggi sembra posta in discussione da momenti di crisi sociale che minano l’autorevolezza dell’azione medico-scientifica e dell’informazione, come è apparso evidente sui temi della campagna vaccinale e dei provvedimenti di sicurezza.

Il nostro compito non è quello di condannare moralmente le posizioni antiscientiste, perché giudicare non è nostro compito, ma di renderci pienamente responsabili della formazione di una coscienza collettiva fondata sulla conoscenza. Questo sì che è un nostro compito.

Dove, se non nelle scuole, nelle università e negli ospedali, dovremmo fare del nostro meglio per risanare la ferita di “sfiducia” che si è aperta nella nostra società? Questi sono i luoghi dove dovremmo portare il vaccino della conoscenza, capace di immunizzare da frettolose credulità da internauta, senza per questo demonizzare l’insostituibile ricchezza di tutto ciò che possiamo apprendere navigando online. Perché anche nella navigazione online bisogna esplorare bene, disponendo di un metodo scientifico, cioè selettivo, dubitante e non auto-referenziale.

L’ultima accezione di responsabilità che intendo considerare, quella per cui rivendichiamo la piena autonomia, quella al suo livello più alto, consiste nel rinnovare il contratto sociale che lega innovazione e scoperta – e la loro trasformazione in conoscenza – agli obiettivi della collettività. 

La scienza è costantemente presente nella vita dei cittadini; permette di curare, sfamare, dissetare; influenza il clima, la giustizia, la natalità; cambia il nostro modo di consumare, produrre, comunicare; genera ricchezza e modifica il lavoro. In tal modo la scienza influenza la società, dalla quale viene a sua volta influenzata.

Il funzionamento di una democrazia avanzata e la sua capacità di attribuire rilevanza all’evidenza richiedono che i cittadini “sappiano di scienza”. La società della conoscenza è l’esito più democratico, aperto e fruttuoso del rapporto tra scienza e cultura, perché la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui progressi scientifici amplia il consenso a decisioni politiche fondate su evidenze scientifiche. È alla luce di questa interpretazione che le Università e gli Enti di ricerca assumono il mandato di svolgere un ampio insieme di attività rivolte alla società.

Non si tratta solo di assumersi responsabilità; si tratta di non rinunciare al privilegio di contribuire alla crescita pacifica e democratica della società contemporanea e del nostro Paese. Scienza, formazione, società. Una costellazione di responsabilità per noi indissolubile e, al tempo stesso, indispensabile per il nostro comune futuro.

Voglio ricordare, e concludo, il pensiero della due volte Premio Nobel Maria Curie, che considerava le attitudini richieste da una vera vocazione scientifica come “una cosa infinitamente preziosa e delicata, un tesoro raro che è criminoso e assurdo lasciar perdere, e sul quale bisogna vegliare con sollecitudine per offrirgli le possibilità di rivelarsi”.

“Vegliare con sollecitudine”: questo è il nostro “prendersi cura”, questo è lo scopo che rappresenta al meglio la nostra vocazione responsabile.

Grazie dell’attenzione.


Prof.ssa Antonella Polimeni, Magnifica Rettrice “Sapienza” Università di Roma

Per la corrispondenza: rettricesapienza@uniroma1.it