Anno Accademico 2022-2023

Vol. 67, n° 4, Ottobre - Dicembre 2023

ECM: Ulcere vascolari degli arti inferiori: nuovi approcci ad una patologia antica

23 maggio 2023

Copertina Atti Quarto Trimestre 2023 per sito.jpg

Versione PDF dell'articolo: Download

La storia insegna…

P. Bonadeo

Se non si conosce il passato non si può affrontare il presente né predisporsi al futuro, specie in un’epoca di grave crisi culturale, ove si accentua la mancanza dell’esigenza e della necessità di studiare e di sapere come patrimonio e gratificazione personale. Talvolta è doloroso ammettere che il pensiero è il grande assente.

In Medicina i progressi di oggi si fondano sulle scoperte di ieri, fedeli al motto di DEMOCRITO secondo cui “nulla procede dal nulla”.

Riflettendo sulla lesione ulcerativa nel tempo possiamo dunque porci una domanda: “Tutta storia passata?”. Noi viviamo nel passato.  Anche quando osserviamo un cielo notturno noi in realtà ci inoltriamo nel passato e vediamo, per esempio, elementi così come erano milioni di anni fa o addirittura scomparsi mentre il sole lo percepiamo come era 8 minuti fa, tutto questo in virtù della velocità della luce in relazione alla distanza, mentre 13 msec è il tempo minimo perché il nostro cervello catturi l’immagine, per cui anche il concetto di presente, in senso stretto, può dirsi relativo.

Tutti noi, inconsapevolmente e senza alcun ricordo, sperimentiamo già alla nascita una ferita il cui esito è quella cicatrice ombelicale che ci accompagnerà per tutta la vita.

L’uomo primitivo o antico era molto esposto a traumi e ad aggressioni da parte di belve durante la ricerca del cibo con conseguenti ferite anche in contesti di lotte o bellici con il possibile sovrapporsi di infezioni, all’epoca e per millenni considerate mortali. Si sviluppò poi nei secoli anche la Medicina Militare esercitata da chirurghi sempre più impegnati nel curare le lesioni cutanee.

Esaminando la storia della Vulnologia, oggi intesa come disciplina finalizzata allo studio, alla terapia ed alla prevenzione delle ferite cutanee, ci troviamo di fronte ad una seconda domanda: “Tutte idee senza fondamenti scientifici o geniali intuizioni?” Il trattamento delle ulcere cutanee passò da concetti riferibili alla religione, al misticismo, all’empirismo fino a giungere ad indicazioni desunte dall’esperienza. Per esempio risalgono al 2100 a.C. le TAVOLE SUMERICHE che, suggestivamente, indicano “Tre gesti per la guarigione” ovvero: 1) lavare la ferita con acqua calda e birra; 2) formare lamine con erbe miste, unguenti e oli profumati; 3) fasciare la ferita. Ebbene, oggi sappiamo che una miscela di 1/3 di miele e 2/3 di grasso animale (burro) riduce le Unità Formanti Colonie (UFC) di Staphylococco e di Escherichia Coli da 105 a meno di 102 entro 24 ore.

Nella Bibbia (II Libro dei Re, 20, 1-7) si legge che il profeta ISAIA pronostica la fine imminente di re Ezechia colpito da un’ulcera infetta, salvo poi, per ordine divino, ribaltare la prognosi dicendo al sovrano peccatore: “Ho visto le tue lacrime ed ecco io ti guarisco…portate un impacco di fichi. Lo portarono e quando l’ebbero applicato sull’ulcera il re guarì”. Dunque una primordiale medicazione avanzata, interattiva antisettica e semipermeabile.


Fig. 1. Ippocrate.

Ricordiamo poi IPPOCRATE (IV sec a.C.) (Fig. 1) che scrisse un prezioso trattato sulle ulcere, il Perihelkoon, latinizzato in De Ulceribus, probabilmente il primo in materia, articolato in 48 “Testi”, meritevole di una lettura dettagliata.

Nel frattempo, dal 5000 al 2500 a.C., alcune pitture murali ritrovate nelle grotte di Tassili (Sahara) avevano già raffigurato rudimentali bendaggi degli arti inferiori confezionati sia a scopo ornamentale sia come protezione da traumi come poi indicato nel XVII secolo.

Il primo “Vulnerarius” fu un medico greco trasferitosi a Roma di nome ARCAGATO che, come riferito da Plinio il Vecchio (23-79 d.C). nella sua “Naturalis Historia, nel 219 a.C. portò contributi della medicina ippocratica ed esercitò in libera professione come “medico delle ferite” in un ambulatorio pubblico (“Taberna medicinae”). Tuttavia i suoi metodi furono giudicati troppo cruenti, fu accusato di venalità, vittima anche dell’ostilità verso il mondo greco e, sotto il titolo di “carnifex”, fu minacciato e allontanato dalla città e di lui si persero le tracce.

Un esempio eclatante di quanto oggi definiamo “prendersi cura ed assistere” un malato lo ritroviamo nell’Evangelo secondo Luca, medico egli stesso, a proposito dell’episodio del Buon samaritano. “Il samaritano…gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino; poi lo caricò sul suo cavallo, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno dopo tirò fuori due denari e li diede all’albergatore dicendogli <Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più te lo pagherò al mio ritorno>”.

La Medicina Romana è principalmente rappresentata da Aulo Cornelio CELSO (prima metà del I sec. d.C.) che, ricordiamolo, non era medico ma ebbe il merito di raccogliere in un’opera monumentale, il “De Medicina” in 8 volumi, buona parte del corpo dottrinario medico del passato, da cui l’appellativo di “latinus Hippocrates”.

Egli raccomandava la detersione delle sanie e l’attivazione dei metodi favorenti la fuoriuscita del pus dalle ferite suppurate per facilitare la guarigione (“Ubi pus, ibi ecacua”). Egli propose anche l’uso di medicamenti cicatrizzanti stimolanti la dissoluzione o la caduta di ciò che oggi definiamo escara. Celso nel suo trattato descrisse 34 medicazioni in lamine e pomate, 29 delle quali a base di alte dosi di sali di rame e di piombo e ripropose il “cerotto di Arcagato” composto di minio, rame bruciato, cerussa, trementina e litargirio.

Segue GALENO (131-201 d.C.) che espone una sintesi anatomo-fisiologica fra il principio “termico” dei tre spiriti (animale, vitale, naturale) e “fisico” dei quattro umori (bile gialla, bile atrabile, flegma e sangue).

Fu un grande sostenitore ed estensore della teoria degli umori elaborata da Ippocrate che tanto influenzò, anche negativamente, la Medicina fino ad essere abbandonata solo a metà dell’800. Inoltre Galeno introdusse in terapia il principio secondo cui “contraria contraris curantur” ovvero con mezzi antagonisti alla malattia da curare. Egli studiò anche la cicatrizzazione delle ferite ma sostenne che un’ulcera dovesse essere mantenuta attiva o beante perché così gli umori nocivi melancolici potessero abbandonare il corpo e, purificandolo, lo mantenessero in vita. Si pensi che questa credenza è ancora radicata nel contemporaneo anche in zone italiane, come da nostra conoscenza diretta.

L’esperienza basata sull’osservazione portò nel tempo all’applicazione o all’esclusione di topici a base di vegetali, minerali o metalli nella terapia delle ferite dimostrandosi una primitiva “Medicina basata sulle prove di efficacia”, oggi “Evidence Based Medicine” (EBM).

Sussisteva tuttavia ancora la pesante influenza di un nefasto empirismo, talvolta suffragato anche da eminenti esponenti della medicina alto- e tardo-medioevale. Ne è un esempio GUASPARINO da VENEZIA in “Secreti Medicinali”, antidotario del XIV-XV secolo quando a Venezia “si profumavano anche le monete”, proponendo per la terapia delle ulcere l’“associazione fra polvere di sangue essiccato, polvere di suole vecchie e mummificate, allume, urine di bambino, sterco, pepe, calce” … “in uno spaventoso connubio” (G. C. Donadi).

Un testo, a nostro avviso, estremamente collegato alla vulnologia attuale è il sorprendente manoscritto n.1736 scoperto a Londra presso la British Library’s Harleian Collection. Esso è anonimo, scritto in “middle english” o inglese arcaico e per questo poco conosciuto, consta di circa 9000 parole, datato 1446 (Fig. 2).


Fig. 2. Manoscritto British Library’s Harleian Collection.

Probabilmente ne è autore Thomas MORSTEDE (c. 1480-1450), chirurgo inglese insigne al servizio dei re Enrico IV, V e VI. Lo scritto è conciso, logico e indica trattamenti sistematici e razionali seguendo un dettagliato schema e un impianto metodologico che parte dalle definizioni dei vari tipi di ulcera e dalla loro classificazione eziologica per giungere ad alcuni aspetti clinici come la descrizione dei caratteri dell’essudato ed infine alla diagnosi definitiva e alla terapia. Quest’ultima è personalizzata a seconda del tipo e della presentazione dell’ulcera, quasi come l’odierna “tailored therapy”, combinata e sequenziale (locale e sistemica). Si propongono unguenti e rudimentali medicazioni in varie formulazioni opportunamente modificate a seconda delle fasi evolutive della lesione (“step”). In sintesi si propongono quattro procedure: 1) messa a piatto della lesione; 2) sbrigliamento del materiale devitalizzato (“mundification” ovvero l’attuale debridement) o chimico o chirurgico, raccomandando competenza ed esperienza dell’operatore; 3) detersione (“mundification”) anche con antisettici ad applicazione prolungata come riscoperto, rivalutato e raccomandato anche in tempi recenti; 4) riparazione tessutale (“fleshing”) con pomate a base di resina ed altri ingredienti indicando anche le unità di tempo per l’applicazione derivanti da preghiere come il “credo” la cui recita dura circa un minuto. Le ulcere profonde vengono colmate, oggi diciamo “zaffate”, con materiali assorbenti per due volte al giorno usando anche tamponi, medicazioni leggere, conformabili, ad elevato assorbimento, proprio come oggi, e vi si associa un bendaggio compressivo o contenitivo. L’opera considera anche misure generali, attualmente ben codificate, come la necessità di un’analgesia e di regole dietetiche. Lo scritto raccomanda un'accurata anamnesi basata sull’approccio olistico con riguardo alle comorbilità che, viene specificato, ritardano la guarigione, da cui la necessità di intervenire sulle malattie concomitanti; è fondamentale la diagnosi differenziale per riequilibrare il paziente. Il testo definisce ulcere difficili quelle delle dita, della caviglia e del ginocchio. Infine non mancano addirittura considerazioni etiche che sottolineano come le terapie abbiano limiti e prevedano tempi lunghi con l’esortazione a non creare false illusioni di guarigione.

Come si può dedurre, questo manoscritto, poco conosciuto, è stupefacente in termini di modernità in quanto contiene praticamente tutti i principi della attuale vulnologia e dovrebbe essere letto per comprendere quanto del passato possa coinvolgere il presente. Basti pensare alla moderna Wound Bed Preparation che pone la lesione nelle condizioni ottimali, passando dalla fase cronica a quella acuta, per riparare, secondo quanto espresso solo nel 2000 da Gary SIBBALD e da Vincent FALANGA ma che trova i suoi prodromi ben presenti nel manoscritto britannico.

Ambroise PARE’ (1510-1590), chirurgo militare al servizio di ben quattro re di Francia, considerato il padre della chirurgia moderna, fra le importanti innovazioni, fra cui ricordiamo la legatura vasale, eliminò l’uso dell’olio bollente come cauterizzante delle ferite, visti gli esiti anche mortali delle ustioni che ne derivavano, a favore della rivisitazione di un’antica ricetta romana a base di olio di rosa, tuorlo d’uovo e trementina con ottimi risultati. Così l’esperienza demolisce un dogma.

Cesare MAGATI (1579-1647) (Fig. 3), chirurgo emiliano e poi monaco col nome di fra’ Liberato da Scandiano, nel 1616 scrive la “Carta de rara vulnerum medicatione” in cui si sottolinea, per esperienza clinica diretta sul paziente, l’effetto negativo della “longae curationis fastidio” e raccomanda di non rimuovere spesso la medicazione come purtroppo accade ancora oggi per l’ansia di volere controllare lo stato della lesione, da cui la necessità dell’appropriatezza dell’indicazione e dell’uso delle odierne medicazioni tecnologicamente avanzate. Ancora un esempio antico dall’esperienza all’evidenza fino alla verifica obiettiva dei risultati.

 


Fig. 3. C. Magati.

 

A Richard WISEMAN (1622-1676) (Fig. 4) si deve la dizione “ulcera varicosa”, basata sulla conoscenza della fisiopatologia del sistema venoso, e la sistematizzazione della terapia compressiva.

 


Fig. 4. R. Wiseman.

 

Il chirurgo militare francese Pierre Joseph DESAULT (1747-1795) introduce il “debridement” ovvero la detersione e la rimozione di tutti i “detriti” presenti nella ferita come momento preliminare imprescindibile prima della medicazione, come già scritto da Morstede e, dal 2000, primo momento della Wound Bed Preparation.

Oggi sono presenti sul mercato migliaia di medicazioni interattive in vari allestimenti per cui sorge la necessità di un uso appropriato a seconda dell’eziologia e della fase in cui si trova l’ulcera, pena l’assenza o la modestia del risultato, l’ulteriore disagio del malato e un inaccettabile dispendio economico. Queste criticità si superano solo con un’adeguata e completa conoscenza del corpo dottrinario vulnologico basato sulla formazione, sulla specializzazione e sulla professionalità di tutti gli operatori sanitari coinvolti nel processo di cura.


Fig. 5. T. M. Celoni.

Suggestivo e premonitore è il titolo di un’opera del chirurgo romano Tommaso Maria CELONI (Fig. 5) del 1775: “Dell’abuso degli unguenti e delli ceroti ed un nuovometodo di medicare le piaghe”.

Ricordiamo che i principi della più volte citata Wound Bed Preparation nacquero principalmente dalla constatazione della deludente efficacia delle medicazioni avanzate già proposte come soluzione innovativa circa 20 anni prima.

Risale al 1797 il “Nuovo metodo di curare le ulcere cutanee delle gambe” (ed. italiana, Napoli 1809) autore il chirurgo inglese Thomas BAYNTON (1761-1820), primo libro sull’eziologia e la terapia delle lesioni cutanee rivolto al pubblico e non solo ai medici.

Benedetto SCHIASSI (1869-1954), celebre clinico chirurgo bolognese, scrisse nel 1941 “Frammenti di scienza moderna nell’arte antica del medicare (a proposito della “concezione Magati”)” in cui cita il “perturbamento circolatorio-essudativo” e il “lavorio cellulo-connettivale” specificando che l’essudato è un “liquido di medicazione umido naturale”, concetto attuale per cui l’essudato, per la sua composizione cellulare e per le sue proprietà biochimiche, non deve essere rimosso in toto ma piuttosto gestito.

Paul Gerson UNNA (1859-1954), grande dermatologo tedesco ma attivo a Vienna, ideò nel 1885 la pasta all’ossido di zinco, poi principio attivo impregnante una garza a sua volta impiegata come componente di un bendaggio sia per la terapia locale dell’ulcera sia come dispositivo compressivo (“stivale di Unna”).

Successivamente Heinrich FISCHER (1884-1943), anch’egli dermatologo tedesco, nel 1923 sistematizzò il bendaggio bi-strato elasto-adesivo fisso con compressione graduata dal basso verso l’alto e calcolata individualmente. Seguirono le positive esperienze di Arthur DICKSON-WRIGHT (1896-1976), chirurgo britannico, e di Conrad JOBST (1889-1957), ingegnere tedesco naturalizzato statunitense, che studiò la fisiopatologia del sistema venoso e, anche come affetto da varici e da sindrome post-trombotica, sperimentò su sé stesso l’efficacia della terapia compressiva ed elastocompressiva fino ad incrementarne la già attiva produzione industriale (Fig. 6).

 


Fig. 6. H. Fischer, A. Dickson-Wright, C. Jobst.

 

Risale invece al 1891 l’attività dell’azienda americana Johnson&Johnson prima produttrice di una medicazione chirurgica sterile.

Negli ultimi decenni si assistette alla riscoperta dell’Argento come agente topico. Già i romani, considerandolo non solo un metallo decorativo, lo applicavano come nitrato sfruttando quelle proprietà, oggi confermate, disinfettanti e battericide. Usato nei secoli in alchimia come “pietra infernale” o come “caustico lunare” e per le ustioni come antimicrobico. Dopo un periodo di declino dovuto all’introduzione degli antibiotici (penicilline e sulfamidici) l’argento fu riproposto, con inediti allestimenti, dagli anni ’90 grazie a nuovi studi e ad aggiornamenti circa le indicazioni.

È infine fondamentale ricordare la svolta decisiva per tutta la Vulnologia, quasi un “crollo delle colonne del Tempio”, che si registrò negli anni’60 quando George D. WINTER (1927-1981) (Fig. 7) del Department of Biomechanics and Surgical Materials  della London University pubblicò nel 1962 sulla prestigiosa rivista Nature un lavoro fondamentale in cui si stabilisce, dopo esperienze sulla cute del maiale domestico, il principio della guarigione delle ferite solo in ambiente umido e non secco come si era sempre creduto. L’anno successivo i dermatologi californiani Cameron H. HINMAN e Howard MAIBACH giungono alla stessa conclusione dopo l’esperienza sull’uomo. Inizia così la storia contemporanea della Vulnologia.

 


Fig. 7. G. D. Winter.

 

Naturalmente quanto esposto è solo un itinerario storico sintetizzato per punti essenziali per cui per ulteriori ed imprescindibili approfondimenti si rimanda a pubblicazioni specifiche ed esaustive.

In conclusione, ritornando ai quesiti iniziali, ne affidiamo la risposta a O. H. WANGENSTEEN (1898-1981) chirurgo americano e storico della medicina:

 “Certain it is that lessons of the past, besides imparting useful information, can help to light the way for today’s inquiring wayfares”.

 


BIBLIOGRAFIA

Agus GB, Bonadeo P. Chirurgia Vascolare: canovaccio storico. In: L’Angiologo italiano. Milano: Hippocrates, 1998; 23-95.
Bonadeo P. L’ulcera cutanea nel tempo. In: Corsi A. Forma O. Vulnologia. Manuale pratico. Dalle basi al Wound Tech Care. Milano: Edi-Ermes, 2022; 1-11.
Bonadeo P, Guarnera G. Ferite, Piaghe, Ulcere. Un viaggio tra storia e umanità. Torino: Minerva Medica, 2021.
Marongiu G. (Coordinamento editoriale Agus GB). Vascular Origins. Chronology from Neolithic to Modernity. Milano: Mediabout, 2022.