Prof.ssa Mirella Tronci

Consigliere della Fondazione San Camillo-Forlanini

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2022-2023

Vol. 67, n° 4, Ottobre - Dicembre 2023

Simposio: Dalla cura all’autocura, all’approccio “One-Health”

03 maggio 2023

Copertina Atti Quarto Trimestre 2023 per sito.jpg

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Dalla cura all’autocura, all’approccio “One-Health”*

L. Gasbarrone, M. Tronci, D. Donetti


Il cambiamento demografico

Nel corso del tempo si è assistito ad un cambiamento epocale nella composizione della popolazione italiana, e non solo. La forma a “piramide” descritta di norma dall’ISTAT, ove le età erano rappresentate con numerosità inversamente proporzionale all’età e scarsissima rappresentazione degli ultraottantenni, non è più attuale. Vi sono quindi soprattutto tre aspetti che vanno considerati:

  1. l’introduzione delle vaccinazioni in età pediatrica, che ha ridotto la mortalità infantile;
  2. l’introduzione degli antibiotici in terapia, che ha permesso ulteriormente la riduzione della mortalità infantile e della mortalità per le malattie infettive in tutte le età;
  3. la diffusione della cultura della prevenzione, che ha posto un limite alle malattie trasmissibili, infettive, e mira a contenere l’insorgenza di quelle non trasmissibili, che costituiscono la vera sfida di oggi e del domani.

Dobbiamo considerare ancora che, nel corso degli anni, la natalità è notevolmente diminuita ma, in parziale compenso, è diminuita anche la mortalità infantile. Inoltre l’aspettativa di vita è aumentata progressivamente, grazie alla scienza e alla Medicina in particolare che hanno permesso traguardi anagrafici impensabili fino a pochi anni fa, facendo sì che le classi di età intermedie e quelle degli anziani, fino ai centenari ed ultracentenari, aumentassero progressivamente. Il valore più elevato di aspettativa di vita, 83.6 anni, è stato raggiunto per noi italiani nel 2019, circa 20 anni in più rispetto a quello del 1970 e 2.5 anni in più rispetto alla media europea dello stesso 2019. Ci siamo quindi collocati al quarto posto dopo Giappone, Svizzera e Spagna nella classifica mondiale del 2019. Purtroppo la pandemia da SarsCov-2, che ha colpito soprattutto le popolazioni ultraottantenni con comorbidità, ha fatto perdere un anno dell’aspettativa di vita guadagnata, al momento ancora non del tutto recuperato; dimostrazione evidente di come le malattie infettive abbiano influito nel passato sulla sopravvivenza, ma anche monito per il futuro circa lo spettro della ipotesi di nuove infezioni virali o batteriche, queste ultime facilitate anche dalla possibile antimicrobico resistenza causata dall’inappropriato uso degli antibiotici, cosa che ben presto potrebbe costituire una nuova emergenza sanitaria.

Quindi l’abituale rappresentazione a “piramide” della popolazione è diventata un grande “fungo”, con incremento sempre più evidente della quota femminile soprattutto nelle classi di età più avanzate: infatti centenari e ultracentenari sono quasi esclusivamente donne! In questo contesto anche la popolazione immigrata dimostra la stessa rappresentazione a fungo, poiché va assumendo le stesse caratteristiche demografiche della popolazione ospite.

Questo nuovo scenario demografico è comune nei paesi europei, come evidenziato dai dati di Eurostat 2022, con una proiezione al 2100 che estremizza la tendenza (Fig. 1). In definitiva stiamo diventando una popolazione di anziani, facciamo pochi figli e più avanti negli anni anche per motivi socio-economici, mentre il benessere, la scienza e la Medicina ci permettono di raggiungere una ragguardevole età incrementando sempre più l’esercito di pensionati e di centenari.

 


Fig. 1. Proiezione al 2100 della piramide demografica (fonte Eurostat).

 

Per queste ragioni è cambiato il concetto di “anzianità”. Se negli anni ’60 si era anziani a 65 anni, negli anni ’80 si è cominciato a differenziare tra uomini anziani a 66 anni e donne anziane a 74 anni; oggi tra 61 e 74 anni siamo mediamente “tardo adulti”, uomini anziani a 73 anni e donne anziane a 76, poi diventiamo “grandi anziani” oltre gli 85 anni. Anche qui abbiamo un piccolo vantaggio, perché si dice che in Italia a 75 ne dimostriamo biologicamente 65!

Purtroppo una buona aspettativa di vita non definisce comunque una vita in buona salute. Infatti sempre Eurostat ci dice che le donne sono in buona salute fino a 68.7 e gli uomini fino a 67.2 anni, mentre la media europea raggiunge rispettivamente 64.5 e 63.5 anni appena. La differenza tra aspettativa di vita totale e aspettativa di vita in buona salute è quindi ragguardevole e, come vedremo, rappresenta un problema.

La valutazione soggettiva del proprio stato di salute è un importante parametro del benessere globale del singolo, soprattutto per gli anziani. Ricordiamo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la “salute” come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”, non solo “assenza di malattia”, quindi il benessere contempla anche quanto l’individuo percepisce nei confronti del proprio stato di salute/malattia. L’ISTAT per gli anni 2001, 2009 e 2019 ha esaminato le persone oltre 65 anni dividendole in fasce di età di cinque anni in cinque anni; nelle fasce 75-79 anni e > 80 anni si è visto che nei periodi considerati in entrambi i gruppi di età sono aumentate le persone che ritengono di essere in buona salute o di “non stare né bene né male” e sono diminuite quelle che ritengono di essere in cattiva salute. Quindi, gran parte della popolazione sembrerebbe essere in buona o in discreta salute, in autosufficienza, e una quota minore ritiene genericamente di essere in cattiva salute. Probabilmente i soggetti che si ritengono in cattiva salute rappresentano quelle categorie di persone anziane non autosufficienti gravate da più patologie croniche, o dagli esiti di patologie acute che hanno potuto superare, ma portandone dietro le conseguenze invalidanti per le quali necessitano di aiuti e di assistenza nelle attività della vita quotidiana.

Sempre l’ISTAT ci dice che a gennaio 2023 il totale della popolazione con oltre 65 anni era costituita da 14,2 milioni di persone, di cui 1,7 milioni donne e 6,2 milioni uomini su un totale di 58 milioni 851mila persone. Dei 14,2 milioni di over 65 anni ben 7,3 milioni sono over 75, più donne che uomini, e ben il 49% soffre di tre o più patologie croniche con limitazioni nelle attività della vita quotidiana.

Secondo il rapporto “Benessere Equo Sostenibile (BES) 2022”, le patologie che compongono la multicronicità risultano prevalentemente: ipertensione arteriosa, artrite/artrosi, osteoporosi, diabete, cardiopatie, patologie del sistema nervoso centrale come Alzheimer e demenza senile, con immaginabili limitazioni funzionali e necessità assistenziali. Anche Italialongeva nel suo data base “Health Search” che comprende persone oltre i 60 anni, quindi una popolazione più ampia, rileva che il 74,8% presenta cinque o più patologie, tra le donne la quota sale al 77,4%. Ad un esame ulteriore si evince che, nell’ambito della lista dei deficit inclusi nel “Primary Care Fraily Index”, al primo posto vengono riferite le difficoltà economiche con una prevalenza del 53,07%, valore molto alto rispetto al 18,20% del diabete, che costituisce la patologia con maggiore prevalenza tra tutte le 25 prese in considerazione. Quindi il dato socio-economico sembrerebbe essere il determinante della “fragilità” degli ultra 60enni, espressione di difficoltà di accesso alle cure quando non garantite dal SSN e di difficoltà nella possibilità di un supporto socio-assistenziale quando il servizio sociale pubblico non lo fornisce.

Il “Rapporto Osservasalute 2021” a cura dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ci dice che tra i pazienti assistiti dai MMG aderenti al “Network Health Search per combinazione di patologie concomitanti” vi sono pazienti con nove patologie in varia combinazione, più del 90% dei quali assume più categorie di farmaci. Il rischio di patologia iatrogena a causa delle interazioni farmacologiche nella combinazione di più farmaci è spesso causa, soprattutto negli anziani, di ricovero ospedaliero. Anche se la politerapia risulta appropriata in questi pazienti che comunque possono presentare riduzione delle funzioni renali ed epatiche solo per motivi fisiologici dovuti all’età, spesso nuovi specialisti consultati, all’insaputa di quanto già viene assunto, prescrivono nuovi farmaci, sia perché il paziente non ritiene di competenza di quello specialista la terapia in corso, sia perché lo specialista d’organo omette di chiedere quali siano le terapie assunte: un “problema di comunicazione” può generare gravi complicazioni. Il MMG o lo specialista internista a cui spetterebbe la funzione di “direttore d’orchestra” sono considerati in secondo piano, il più delle volte è il singolo paziente che decide in autonomia di rivolgersi allo specialista d’organo. Purtroppo l’esaltazione della ipertecnologica specialistica, spesso sofisticata, diffusa dai comuni mezzi di comunicazione a volte in maniera fuorviante, determina aspettative non realistiche o non applicabili a tutti, senza alcuna valutazione dell’appropriatezza per il singolo individuo in una determinata situazione, della valutazione costo/beneficio, tanto meno della sostenibilità in generale.

Viviamo e dobbiamo affrontare uno scenario piuttosto complesso. È vero che la Medicina con la prevenzione e le nuove terapie, la tecnologia e il progresso scientifico hanno permesso il cambiamento demografico descritto, l’aumento dell’aspettativa di vita, spesso la guarigione da malattie non trasmissibili sperando che nel futuro possano essere del tutto guaribili, ma per ora dobbiamo affrontare le necessità sanitarie e socio-assistenziali di una popolazione sempre più anziana che oggi non trova risposte né nelle famiglie, di cui è cambiata la struttura, né nel servizio pubblico che non soddisfa queste necessità. C’è una piena contraddizione tra la realtà ipertecnologica che propaganda una vita “assistita” per una quasi normalità e la vita reale priva invece di questo supporto, esclusiva dei pochi che autonomamente possono garantirsela.

Che vi sia consapevolezza di tutto questo, almeno in alcuni, è un fatto reale: sappiamo che i parametri da prendere in considerazione per programmare l’assistenza alla cronicità devono corrispondere a dati reali, ad esempio basati sulla “politerapia e la multimorbilità come lente di lettura”! I 22.000 centenari presenti al 1 gennaio 2023 ci suggeriscono che è ora di cambiare paradigma! In realtà la generazione dei “baby boomers”, nati tra il 1946 e il 1964, si rende conto che saranno proprio loro ad avere bisogno di necessità assistenziali nel loro futuro di possibile lunga vita, anche perché già vedono il loro futuro nel presente degli anziani di oggi. Questa generazione è protagonista di un “invecchiamento attivo”, “processo di ottimizzazione delle opportunità relative alla salute, partecipazione e sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone anziane” così come afferma l’OMS, per cercare di garantirsi una vecchiaia in buona salute, consapevoli del fatto che se avessero necessità di supporti assistenziali, dovrebbero solo garantirseli autonomamente. La prospettiva è quella di un aumento progressivo degli anziani e di un’altrettanto riduzione delle persone in età lavorativa, quindi pochi manterranno molti!

La generazione “consapevole” dei baby boomers cerca di condurre una vita attiva coltivando interessi, partecipando alla vita sociale, prendendosi cura di sé stessi con la prevenzione, le buone norme di vita, le attività fisiche. La collettività è purtroppo poco consapevole del fatto che il benessere presente e futuro di ogni individuo non prescinde dal benessere collettivo, della società, delle città, dell’ambiente tutto in cui viviamo: siamo una collettività, un mondo di popolazioni umane, animali, di cose e di persone in un unico collettivo contesto abitativo che in continuazione lancia allarmi alla nostra attenzione sulla necessità improcrastinabile di cambiare i comportamenti nei confronti del nostro pianeta, per non perderlo insieme a noi stessi.

Di tutto questo siamo più consapevoli in teoria di quanto lo siamo nel pratico. L’OMS già nel 2022 ha lanciato la campagna “Global One Health Joint Plan of Action” (2022-26) definendo 17 campi di azione su cui focalizzare l’interesse e le azioni a livello mondiale per modificare i comportamenti in modo sostenibile. Riportiamo qui la definizione di “One Health” dettata da OMS: “One Health è un approccio integrato e unificante che mira ad equilibrare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi. Riconosce che la salute dell’uomo, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale (ecosistemi inclusi) sono strettamente collegati e interdipendenti. L’approccio One Health spinge molteplici settori, discipline e comunità a vari livelli della società a lavorare insieme per promuovere il benessere e affrontare le minacce per la salute e gli ecosistemi, affrontando al tempo stesso la necessità comune di acqua pulita, energia e aria, alimenti sicuri e nutrienti, contrastando il cambiamento climatico e contribuendo allo sviluppo sostenibile”. Questa è l’unica direzione in cui dovremmo piuttosto in fretta muoverci per salvare il salvabile.


Il supporto della tecnologia

Quindi sicuramente vivremo più a lungo, ma con maggiori bisogni sanitari, e l’aspettativa di vita media alla nascita raggiungerà quasi i 90 anni per gli uomini e supererà i 93 per le donne. A questo si aggiunge maggiore dipendenza degli over 65 rispetto alla fascia di età 15-64 anni: saranno il 26,7% in più ad essere “dipendenti” rispetto al 2022.

La domanda di cura crescerà, in contrasto con la carenza di risorse umane (e non solo…) nel settore sanitario. Questi fatti rendono quindi necessario:

  • un ridisegno strutturale ed organizzativo della rete dei servizi, soprattutto nell’ottica di rafforzare l’ambito territoriale di assistenza;
  • lo sviluppo di un’assistenza alla popolazione più anziana e, visto l’indice di dipendenza in aumento, anche dell’assistenza domiciliare.

Sulla spinta del PNRR e del DM Salute 77/2022, nel 2022 sono state messe le basi per ridisegnare l’assistenza territoriale, con l’obiettivo tra gli altri di raggiungere il 10% degli ultrasessantacinquenni assistiti a domicilio, con l’indispensabile aiuto dei servizi di telemedicina.

Le basi fondanti del cambiamento saranno quindi:

  1. l’innovazione digitale e l’innovazione tecnologica;
  2. la telemedicina.

Cercheremo di capire come queste tecnologie possano adattarsi alle esigenze degli anziani e costituire per loro uno strumento di supporto gestibile autonomamente.

Innovazione digitale. L’Innovazione digitale, se posta al servizio della salute e dei pazienti, diventa volano dello sviluppo socioeconomico. Ciascun euro investito in strategie volte al miglioramento della salute comporta un beneficio economico per il Paese pari a 2-4 euro.

Gli investimenti delle aziende del settore saranno sempre più finalizzati ad elementi innovativi come la connettività e la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, i dati, il machine learning, la mininvasività e miniaturizzazione, la robotica e la telemedicina.

Health Tech R-evolution. La rivoluzione dell’Health Tech rappresenta un processo evolutivo dove le nuove tecnologie consentono di ridisegnare le cure sulla base dei bisogni delle persone con la valutazione dei risultati e degli esiti di salute. Gli strumenti attuativi possono essere rappresentati da una partnership pubblico/privato e da una convergenza di nuove tecnologie in grado di definire modelli di presa in carico, dalla prevenzione alla diagnosi e cura. Per il mercato questo significa definire modelli di offerta inclusivi di servizi e soluzioni, con nuove modalità di acquisto e nuove modalità di pagamento.

Innovazione tecnologica. L’innovazione tecnologica può contribuire a una riorganizzazione della assistenza sanitaria, in primo luogo sostenendo lo spostamento del fulcro dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio, attraverso modelli assistenziali innovativi incentrati sul cittadino; inoltre facilitando l’accesso alle prestazioni sul territorio nazionale.

Le prestazioni sanitarie e socio-sanitarie abilitate dalla Telemedicina sono fondamentali in tal senso, contribuendo ad assicurare equità nell’accesso alle cure nei territori remoti, un supporto alla gestione delle cronicità, un canale di accesso all’alta specializzazione, una migliore continuità della cura.


La Telemedicina

Nel 1908 Hugo Gernsback (1884-1967), considerato il “padre della fantascienza”, ipotizzava che da lì a cinquant’anni il sistema di cura sarebbe crollato: Gernsback descrive quindi la “telemedicina” (diremmo noi) come rimedio a tale criticità assistenziale. Senza definirla come tale, Gernsback preannuncia la telemedicina con l’invenzione di strumenti come il “Teledactyl” (dal greco tele-dito), che il medico avrebbe utilizzato per visitare a distanza, e ancora come una nuova figura sanitaria per la diagnosi attraverso la radio: il “Radio Doctor”. In pratica, una nuova modalità di erogare una prestazione sanitaria da remoto: diremmo noi nel 2023 la televisita.

Quindi una modalità di erogazione di servizi di assistenza sanitaria, tramite il ricorso a tecnologie innovative in situazioni in cui il professionista della salute e il paziente non si trovano nella stessa località; ciò comporta la trasmissione sicura di informazioni e dati di carattere medico (testi, suoni, immagini o altre forme) necessarie per la prevenzione, la diagnosi, il trattamento e il successivo controllo dei pazienti.

I servizi di Telemedicina vanno assimilati a qualunque servizio sanitario diagnostico/ terapeutico, ma è necessario ricordare che la prestazione in Telemedicina non sostituisce la prestazione sanitaria tradizionale nel rapporto personale medico-paziente, ma la integra per potenzialmente migliorare efficacia, efficienza e appropriatezza. Fare Telemedicina (Tele = a distanza; mederi = prendersi cura) non significa altro che erogare un atto sanitario dove è l’informazione che si sposta, e non i soggetti, utilizzando la tecnologia come strumento.

Le finalità del servizio sono prevalentemente prevenzione secondaria, diagnosi, cura, riabilitazione e monitoraggio. A questo proposito il Ministero della Salute attraverso Linee Guida dedicate ha individuato precisi ambiti di applicazione e di erogazione dei servizi (Fig. 2).

 


Fig. 2. Ambiti della Telemedicina. (Legenda: Classificazione dei servizi: B2B: individua la relazione tra medici; B2B2C: individua la relazione tra un medico e un paziente mediata attraverso un operatore sanitario; B2C: individua la relazione tra medico e paziente). Fonte: Ministero della Salute: Telemedicina, Linee di indirizzo nazionali.

 


Esperienze di innovazione digitale. Di seguito alcune applicazioni in essere di tecnologia digitale a supporto delle strutture sanitarie.

  1. ASL Roma 2: Liberi@mo la Salute, Telemedicina nell’istituto penitenziario di Rebibbia. La protezione del diritto alla salute per le persone private della libertà personale è centrale e costituisce l’applicazione del principio di eguaglianza, con impegno alla “rimozione degli ostacoli” dati da oggettivi svantaggi situazionali. Sovraffollamento delle carceri, disagio psicologico, stili di vita scorretti, impongono un’accelerazione sull’assistenza sociosanitaria, innovando metodologie e terapie mediche verso una “sanità digitale” e una medicina in rete.
  2. Esperienza Digitale ASL Roma 2: L’Ospedale Virtuale, un modello innovativo di presa in carico del paziente. In ASL Roma 2 il primo Ospedale Virtuale con 80 pazienti ricoverati a domicilio. Operativo dall’autunno del 2021, cura pazienti acuti e post-acuti che, non necessitando di costante e continuativo supporto medico “in presenza”, vengono ricoverati a casa e telemonitorati con rilevazione dei parametri vitali, televisite, teleconsulto e, ove richiesto, esecuzione di esami di laboratorio o diagnostica strumentale a domicilio. Ciò significa “virtualizzare” il ricovero, mantenendo il controllo costante dei parametri vitali del paziente e attivando una vera e propria “collaborazione clinica remota” tra il MMG, gli infermieri territoriali, la farmacia territoriale e il caregiver. Il fine è prevenire eventuali riacutizzazioni post-dimissione e re-ospedalizzazioni; inoltre consente una riduzione della pressione sui tempi di ricovero e una maggiore disponibilità giornaliera di posti letto nei Dipartimenti di Emergenza/Urgenza.
  3. Esperienza Digitale del Gemelli Digital Medicine & Health (GDMH) Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli. Obiettivo è la co-creazione e il co-sviluppo di soluzioni di medicina digitale con aziende partner, adoperando un processo di cross-fertilizzazione che ha come fine ultimo la generazione di una rete di valore, lo scambio di idee, strumenti e sapere tecnologico e la co-creazione di prodotti di medicina digitale pronti per essere immessi nel mercato.
  4. AUSL Ferrara: Sanità a Ferrara: innovazione digitale in Medicina. Il piano punta a: definire una presa in carico multi-disciplinare e professionale; promuovere un’assistenza di prossimità con rapporto “one to one” tra operatore e paziente; rinforzare sia il sistema ospedaliero sia quello territoriale, migliorando l’integrazione tra professionisti e la ricerca; monitorare il rispetto degli obiettivi e i risultati conseguiti.
  5. Esperienza Digitale dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza: Patient Journey per rendere inclusivo il follow-up dei pazienti cronici in televisita. L’obiettivo è favorire la loro inclusione digitale attraverso la creazione di un Patient Journey efficace e coinvolgente basato su tre touch point: Web App che rende disponibili in modo semplice e intuitivo i servizi digitali di accesso al percorso di follow-up – prenotazione, registrazione e pagamento delle impegnative mediche, ritiro di referti, immagini e prescrizioni mediche, televisita, upload della documentazione clinica richiesta dal medico; sistema di messaggistica automatica via SMS ed email; servizio di facilitazione digitale – sportello informativo, accoglienza digitale, assistenza e supporto tecnico – erogato tramite un Contact Center dedicato, con la funzione di accompagnare i pazienti in tutte le fasi della loro esperienza online.
  6. Esperienza Digitale dell'Ospedale Ceccarini di Riccione: Ambulatorio di Follow up dei pazienti fragili e multipatologici. Il progetto nasce dall’esigenza di mettere la multidisciplinarietà e l’innovazione organizzativo digitale al servizio dei più fragili allo scopo di avvicinarli al medico ed allontanarli da eventuali ulteriori ricoveri (circa 50% nei primi 12 mesi post dimissione). L’assenza di integrazione e trasversalità organizzativo-gestionale sono fattori che da un lato minano la bontà del percorso con ricadute sull’esito e dall’altro generano costi, sia diretti per prestazioni ripetute ed assenza di standardizzazione, che indiretti dovuti a re-ospedalizzazioni ed accessi impropri al Pronto Soccorso. Il progetto è finalizzato alla standardizzazione di un modello virtuoso di presa in carico del paziente polipatologico mediante la creazione di uno spazio “ibrido”:
-  Fisico, un ambulatorio di follow-up con lo scopo di continuare la presa in carico dopo la dimissione di pazienti con caratteristiche di fragilità a rischio di riospedalizzazione.
-  Digitale, dedicato al teleconsulto e al confronto multispecialistico.


Paziente esperto in tecnologie digitali per la salute (Corso Unitelma-Sapienza)

Lo sviluppo delle Tecnologie Digitali per la Salute deve essere indirizzato a soddisfare i reali bisogni della persona con malattia, il paziente. Questo obiettivo richiede la partecipazione ed il coinvolgimento della persona stessa fin dalle fasi iniziali di progettazione dei singoli dispositivi.

Questa collaborazione, che interessa sia il paziente che il suo caregiver, richiede la disponibilità di un paziente esperto nella tecnologia digitale, il quale presenta, accanto alla esperienza di malattia, anche uno specifico expertise (basato su conoscenza, esperienza, competenza) relativo alle modalità di ricerca, sviluppo e utilizzo delle tecnologie digitali per la salute.

Gran parte delle tecnologie per la salute sono state finora sviluppate senza un reale coinvolgimento del paziente, secondo approcci top-down definibili “tecno-centrici”. Il beneficiario ultimo, il paziente, è stato considerato come un “fattore umano”, in grado al massimo di fornire informazione sul bisogno e non tanto un vero e proprio partner nel processo di ricerca e progettazione.


Tecnologie digitali e anziani. Una relazione possibile?

Sono tutti concordi nel ritenere assolutamente insufficienti i servizi e le strutture per anziani soli. HelpAge International (organizzazione che certifica la qualità della vita degli anziani nel mondo) ci dice che l’Italia è al penultimo posto in Europa nell’erogazione di servizi a disposizione della popolazione anziana. Secondo AUSER l’Adi (Assistenza domiciliare integrata) esiste solo nel 40% dei Comuni. L’ISTAT riferisce che le risorse per gli anziani diminuiscono, dal 25% del 2003 al 17% del 2016, e ciò avviene anche se il numero di anziani continua ad aumentare. Oggi in Italia sono 3,8 milioni gli over 70 che vivono soli e di questi oltre la metà ha superato gli 85 anni.

La solitudine è patogena. Numerosi dati epidemiologici sostengono che “la solitudine è associata ad una riduzione della durata della vita” simile a quella provocata dal fumare 15 sigarette al giorno e superiore a quella associata all’obesità. La solitudine è legata ad un aumento del 29% e del 32% del rischio di malattia coronarica o un ictus, eventi che incidono oltre che sulla durata anche sulla qualità della vita. Le persone sole si curano poco di sé stesse. Nessuno si occuperà di indurre chi è solo a sottomettersi a controlli clinici, ed il singolo non sentirà alcuna spinta in tal senso.

La solitudine è associata con i meccanismi che portano alla demenza. È stato dimostrato un elevato carico di beta-amiloide nel cervello, sostanza che è il marker più noto della malattia di Alzheimer. Non si conoscono le possibili tappe della correlazione tra solitudine e deposito di beta-amiloide; vi è la possibilità che la solitudine non sia solo un fattore di rischio, ma anche un marker precoce di demenza.

I vissuti di solitudine possono segnalare uno stato prodromico di demenza; quando la persona percepisce la propria inadeguatezza nei rapporti sociali e con la famiglia tende a chiudersi e ad allontanarsi dagli altri.


I social robot. La robotica di assistenza ha il suo potenziale valore nel migliorare la qualità della vita di ampie fasce di popolazione e di fornire un ausilio ed un supporto alla cura e alla prevenzione attraverso l’interazione socio emotiva. Esistono soluzioni economiche, con app sul telefono, che incoraggiano l’aderenza terapeutica, ma spesso i pazienti si disimpegnano. I robot di assistenza sociale, possono migliorare la compliance rispetto ad altri dispositivi e alla Telemedicina.

robot socialmente interattivi (SAR) devono presentare le seguenti caratteristiche “umane”:
-  stabilire e mantenere relazioni sociali;
-  apprendere lo sviluppo di competenze sociali ed imparare modelli;
-  utilizzare segnali “naturali”, come i gesti e lo sguardo;
-  esprimere emozioni e riuscire a percepirle;
-  comunicare con un dialogo di alto livello;
-  esprimere una propria personalità ed un carattere distintivo.

Gli anziani vogliono vivere il più a lungo possibile nel proprio ambiente. Il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo) afferma che invecchiare dignitosamente dovrebbe essere un diritto fondamentale. Per il CESE è importante che le loro preferenze vengano rispettate, chiedendo anche un uso migliore delle tecnologie digitali come la Telemedicina, i sensori, le cartelle cliniche elettroniche e la domotica ed una maggiore attenzione alle politiche immobiliari e urbanistiche. Ciò potrebbe avvenire tramite osservatori nazionali e regionali sull'invecchiamento collegati ad una piattaforma europea di coordinamento.


Tecnologia digitale e anziani. Un lento innamoramento?

In Italia nel 2021, tra gli individui di 16-74 anni, meno del 50% ha dichiarato di avere competenze digitali di base. I più giovani (20-24 anni) nel 61,7% dei casi, mentre tra gli over 65 solo il 17,7%. Considerando il titolo di studio posseduto, dichiara di avere competenze digitali il 75,9% di chi ha una laurea, il 53,8 di chi ha diploma secondario, il 21,9% di chi ha un titolo di studio più basso. I maschi sono più numerosi delle femmine, ma solo nelle fasce di età più anziane.

Consideriamo anche che in Italia un terzo delle famiglie non possiede né un computer né un tablet, in particolare il 14,3% delle famiglie con almeno un minore e il 65,4% delle famiglie con over 65. Sempre secondo ISTAT il Lazio sembrerebbe la regione con maggiori competenze digitali (52,9%) e la Calabria la regione con minori competenze (33,8%).

Nel rapporto tra Telemedicina e popolazione anziana si devono intromettere tutti gli attori del percorso di cura, dai professionisti della salute ai caregiver, al fine di facilitare la comunicazione tra anziano e strumentazione digitale: app, device di monitoraggio, piattaforma di Telemedicina. Questo soprattutto nelle situazioni in cui l’impairment fisico e cognitivo dell’anziano rappresenti un ostacolo all’utilizzo della tecnologia o durante la fase di alfabetizzazione digitale dell’anziano stesso. I professionisti sanitari devono conoscere la realtà socio-assistenziale del cittadino (anche non anziano) a cui offrono il servizio di Telemedicina e coinvolgere le figure familiari che possono facilitare l’intero processo di cura. Numerosi studi e ricerche rappresentano una situazione in cui l’anziano riceve aiuto prevalentemente dalla famiglia.

In conclusione, la tecnologia potrà essere un aiuto rilevante e concreto per efficientare il sistema sanitario e ridurre i costi, combinando soluzioni di intelligenza umana e artificiale per ottenere i migliori outcome.

Occorrono investimenti e una collaborazione di tutti i player verso una implementazione pratica dei sistemi digitali che permetta di utilizzare queste nuove tecnologie intorno al paziente con l’unico obiettivo di migliorare il suo outcome clinico.

Per tenere vivo e in buona salute il rapporto tra Telemedicina e anziani non basta focalizzarsi sulla scelta dello strumento digitale, ma serve ripensare all’intero processo di cura, a partire dalla formazione di tutti gli attori coinvolti. In attesa che invecchino i nativi digitali, la Telemedicina per diffondersi e rappresentare un reale ed efficace strumento di cura deve essere proposta da personale sanitario formato ad accompagnare l’anziano al digitale.

Ma…..il personale sanitario in Italia è anch’esso non nativo digitale! La fatica e l’opportunità di crescere nella conoscenza e nell’acquisizione di nuove competenze interessa tutti; e solo se tale crescita è comune porterà benefici alla popolazione, nativa e non nativa digitale.

Se tra tecnologie digitali e anziani non vi sarà rispetto reciproco, accoglienza dei bisogni e condivisione degli obiettivi, sarà difficile scrivere un lieto fine. Come diceva Umberto Veronesi, “Per curare qualcuno bisogna sapere chi è, che cosa pensa, che progetti ha, per cosa gioisce e per cosa soffre”.


Perché il futuro è One-Health?

La salute degli esseri umani, degli animali e degli ecosistemi è strettamente interconnessa. Nel mondo, su dieci malattie infettive emergenti nelle persone 6 arrivano da animali, sia domestici sia selvatici. Negli ultimi 30 anni oltre 30 nuovi patogeni per l’uomo sono stati identificati, e il 75% ha avuto origine dagli animali.

L’interconnessione tra animali e uomo è sempre più frequente in quanto la popolazione umana cresce e si espande, antropizzando nuove aree, vivendo a contatto sempre più ravvicinato con gli animali. Il cambiamento climatico e il consumo del suolo alimentano la diffusione di malattie zoonotiche e malattie trasmesse da vettori (organismi viventi come zanzare, zecche, pulci). Gli spostamenti e gli scambi globali facilitano la diffusione rapida delle malattie su scala planetaria.

L’OMS spiega che “questa connessione fra persone, animali e ambiente, e propone un approccio integrato per affrontare in modo olistico le minacce per la salute”.

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito da 169 target o traguardi, ad essi associati, da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030 (Fig. 3).

 


Fig. 3. I “17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile” proposti da OMS.

 

Un approccio responsabile per “una sola salute” in tutte le politiche dove la sanità non può più essere l’unico settore trainante e dove la valutazione dei “rischi” diventa la base per le progettualità.

Lo sviluppo di un approccio “One Health” per la governance sottintende la definizione di una rete complessa che lega la salute degli animali domestici, della fauna selvatica e degli ecosistemi alla salute delle nostre comunità. Il nuovo approccio con modelli organizzativi che si basano su un’ottica di multidisciplinarità ed intersettorialità (in ambito aziendale - interaziendale - intersettoriale con forti connessioni con i settori produttivi e della tutela dell’ambiente).

Tutti i soggetti coinvolti devono avere l’obiettivo prioritario di affrontare i rischi potenziali o già esistenti che hanno origine dall’interfaccia tra ambiente-animali-ecosistemi, anche grazie allo sviluppo di strategie di empowerment e capacity building.

In tale ottica “One Health” diventa quindi indispensabile una collaborazione interprofessionale per l’identificazione dei rischi per la salute umana, supportata dalla condivisione di attività ed informazioni tra medici veterinari, medici umani ed esperti ambientali.

Dobbiamo ridisegnare il Sistema Socio Sanitario che deve garantire la massima flessibilità dei servizi in aderenza al reale “bisogno di salute” della persona.

È indispensabile programmare e progettare in termini di rete coordinata e integrata tra le diverse strutture e attività presenti nel Territorio e gli Ospedali, i quali se isolati tra di loro e separati dal territorio che li circonda non possono rappresentare l’unica risposta ai nuovi bisogni imposti dall’evoluzione demografica ed epidemiologica, secondo il principio della “Salute in tutte le Politiche” riconoscendo la salute quale processo complesso e dinamico che implica interdipendenza tra fattori e determinanti personali, socioeconomici e ambientali.

È necessario rispettare il principio basilare della salute pubblica: rispondere con tempestività ai bisogni della popolazione, sia in caso di un’emergenza infettiva, sia per garantire interventi di prevenzione e affrontare le sfide della promozione della salute, della diagnosi precoce e della presa in carico integrata della cronicità.

I programmi coordinati nell’interazione UOMO-ANIMALE-ECOSISTEMI (approccio One health) richiedono l’attuazione di politiche adeguate ed il potenziamento dei Dipartimenti di Prevenzione che svolgono un ruolo essenziale nello sviluppo e nell’attuazione di programmi idonei per la gestione dei rischi per la salute ed il benessere globale.

Alla fine dopo 40 anni stiamo ancora parlando in integrazione Ospedale e Territorio e di potenziamento della prevenzione…ma dove stiamo andando realmente?

Siamo ancora lontani da una programmazione “integrata” nel rapporto bisogno complessivo di salute e offerta dei servizi; vediamo che molte Regioni elaborano ancora il Piano Sanitario, il Piano Sociale, i vari Piani in modo separato! Le Regioni nel predisporre i propri Piani Sanitari Regionali dovrebbero coinvolgere gli Enti Locali ai vari livelli, le organizzazioni sindacali e le altre forme associative, ognuno per le proprie competenze ma con un unico fine: l’integrazione.

Il deficit del sistema Sanitario non aiuta: la riorganizzazione e il potenziamento dei servizi rimangono un processo complesso e troppo frammentato negli argomenti trattati. Il sotto finanziamento strutturale del fondo sanitario nazionale, criteri di ponderazione e di riparto dei finanziamenti pubblici, sistemi tariffari sono temi aperti nel dibattito istituzionale in sede di Conferenza Stato-Regioni.

Il fabbisogno finanziario del SSN e suoi livelli reali di finanziamento determinano le criticità da affrontare. Le maggiori difficoltà sono identificabili in:
- scarsa chiarezza nella definizione e configurazione, nel nuovo contesto connesso all’avvio della “devolution”, del ruolo dei poteri centrali;
- tensioni conseguenti tra Parlamento, Conferenza Stato-Regioni e Conferenza Stato-Città con nodi di attribuzioni e di ruoli non ancora risolti in modo condiviso;
- il perdurare di vecchie e nuove forme di centralismo da parte del Governo e delle Regioni;
- le diversità strutturali e di P.I.L. nelle diverse Regioni del Paese che determinano criticità difformi da governare.

Alla fine siamo in una tempesta perfetta e ci sentiamo tutti comparse del film “don’t look-up”!

In conclusione, è evidente che il contesto italiano è ancora lontano dall’implementazione di politiche “One Health” al di là di alcune considerazioni formali e di contesto di impianto istituzionale.

Lo stesso PNRR, se non viene coerentemente gestito nel rispetto della sua visione originaria, non può da solo risolvere le difficoltà attuali del nostro sistema sanitario. Si tratta di lavorare per l’Integrazione delle competenze istituzionali (Ministeri afferenti) e a cascata di quelle regionali e locali. I limiti di manovrabilità economico finanziaria riducono i margini di operatività per politiche integrate di “salute”.

One Health” è stato posto al centro della visione del PNRR. Coerentemente dovremo tenerne conto della realtà e finalizzare tutte le politiche connesse al tema salute in una ottica di loro “integrazione”. Questo dovrebbe vedere un forte coordinamento istituzionale sia a livello nazionale che regionale, che potrebbe essere possibile solo con una unità di intenti a livello politico. La diaspora politica delle Giunte Regionali e i diversi modelli di SSR non aiutano in questa prospettiva.

Ma è comunque giusto diventare protagonisti e insieme cercare di cambiare!


*Simposio organizzato in collaborazione con l’Associazione “Donne Protagoniste in Sanità” con il Patrocinio di: Regione Lazio, ASL Roma 4, A.O.U. Sant’Andrea - Roma, ASL Viterbo, Fondazione GIMBE, Fondazione “San Camillo-Forlanini”, Sapienza Università di Roma.

Condotto da Nino Cartabellotta, Presidente Fondazione GIMBE. Mini talk con la partecipazione di: Donatella Caserta (Direttore UOC Ginecologia, A.O.U. Sant’Andrea), Anna De Santi (Dipartimento Neuroscienze Sociali, I.S.S.), Cristina Matranga (Direttore Generale ASL Roma 4), Luca Poleggi (Ufficio Stampa ASL VT), Pierluigi Spada (giornalista RAI), Antonella Urso (Direzione Reg. Lazio Salute e Integrazione Sociosanitaria).

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