Prof. Fabio Liguori

Ginecologo, Accademico Lancisiano

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2015-2016

Vol. 60, n° 3, Luglio - Settembre 2016

Settimana per la Cultura

12 aprile 2016

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Dal contrasto tra medici e giuristi (Bologna, sec. xiii) il termine “dottore” indichera’ per antonomasia il medico

F. Liguori

Nell’epopea omerica (VIII-VII sec. a.C.) le malattie sono tutte esterne all’uomo: è Apollo dio della medicina che scaglia dardi e giavellotti a seminare morte tra gli ”empi Achei” (Iliade). Dal che discendeva il concetto di “divinità guaritrice”: se la malattia è data dagli dei, solo questi possono toglierla. Ciò nonostante il medico godeva di gran considerazione perché “è un uomo che vale molte vite” (Odissea).

Lo storico greco Erodoto (484-425 a.C.) narra che nell’antico Egitto la medicina era tanto specializzata “ … sicché è pieno di medici per gli occhi, altri per la testa, altri per i denti, altri per il ventre e altri ancora per le malattie occulte” (Storie II, 84). E l’evoluta chirurgia assiro-babilonese è documentata nella celebre stele del “Codice di Hammurabi” (1750 a.C.), un blocco di diorite nera (famiglia dei graniti) alto 2 m con incise (in scrittura cuneiforme) circa 300 leggi e  alcune sentenze per atti medici: “… se un medico salva l’occhio di un paziente, se questi è un libero pagherà cinque sicli d’oro, se schiavo il padrone pagherà due sicli” (primo “tariffario” professionale); ed applicando la legge del taglione “… se un paziente libero muore per un intervento, al medico siano tagliate le mani; se schiavo, basta rimpiazzarlo con altro schiavo idoneo …” (primo concetto di responsabilità medica).

Anche la civiltà della valle dell’Indo aveva sviluppato una scrittura (sanscrito, circa 1000 a.C.) con cui furono redatti i sacri testi “Veda” (= conoscenza), dai quali i sacerdoti desumevano formule per scacciare dèmoni e rimedi per malanni; mentre il medico “… deve indossare una veste bianca pulita, presentarsi col viso sbarbato e le unghie tagliate, calzare sandali, tenere in mano un bastone o un parasole, rivolgersi a tutti con gentilezza e sguardo benevolo”.

Quando di fronte all’imponenza ed imprevedibilità di fenomeni naturali inspiegati, sgomento ed impotenza cedono alla curiosità di comprenderne le cause, si chiude il ciclo teurgico-magico ed anche nella Medicina irrompe la razionalità. Ippocrate (460-377 a.C.) rimuove empirismo e magie, separa la medicina dalle pastoie della filosofia, pone il medico al capezzale del malato e introduce una terminologia mai usataprima: anamnesi, sintomi, diagnosi, prognosi. Ed in carenza di rimedi efficaci, già l’onestà di formulare una prognosi (favorevole, riservata, sfavorevole) distingueva dal ciarlatano il buon medico, alla cui formazione non doveva mancare un fondamentale bagaglio: la cultura. Distillato di saggezza sono i 406 aforismi ippocratici di  sorprendente modernità, primo fra essi: “la vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione fuggevole, l’esperienza pericolosa, il giudizio difficile”.

Il medico non interroga più sacerdoti ed astri né pronuncia formule magiche: studia il malato con passione ed umiltà, impegno ed onestà, con un contatto basato su attenzione, comunicazione e comprensione.

Assieme al bastone d’Esculapio (il serpente che cambia pelle, simbolo di rinnovamento), il solenne giuramento d’Ippocrate (400 a.C. circa) assurge ad emblema d’una professione che considera malato e vita come valori da preservare secondo scienza e coscienza. E la celebre Scuola Medica Salernitana (830 d.C.) aggiunge, per il neo-medico: “… non esporre cose false, non pretendere mercede dai poveri, indirizzare quanti avesse in cura verso Sacramenti di penitenza, non accordarsi illecitamente con farmacisti”.

Il discusso Medioevo (oggi rivalutato) generauna sintesi delle culture cristiane ed arabe dando vita al pensiero scientifico:.nascono le Università, prima fra tutte in Europa quella di Bologna (1088), presto conosciuta come la Dotta per la brillantezza degli studi giuridici.

Uno dei suoi fondatori, il giurista Irnerio (1050-1125), aveva riscoperto il Codice di Giustiniano, Imperatore romano d’Oriente: una raccolta di leggi (534 d.C.) dell’antico Diritto Romano con cui, attraverso il metodo dialettico-deduttivo, l’Alma Mater Studiorum avvalorava ogni affermazione didattico-giuridica. Il Codice diviene presto fonte primaria del Diritto in tutta Europa. Orgogliosi (e gelosi) della raggiunta celebrità, i Magister bolognesi si fregiano (unici) del titolo di Doctores.

Nel 1219 Papa Onorio III ufficializza i Corsi di Medicina a Bologna. La carenza di validi strumenti tecnico-diagnostici lasciava inspiegate molte malattie; ulteriore ostacolo al progresso medico era rappresentato dal dogmatismo medievale dell’ipse dixit (a quel tempo opporsi a “dogmi” significava sacrilegio, e talvolta il rogo!). In una Università in cui dominavano dialettica e retorica dei giuristi non era quindi accetto l’ingresso di una Medicina che non avesse un “sacro testo scritto” di riferimento. E la medicina clinica, che si stava orientando verso il sano criterio dell’osservazione pratica, viene accusata di “semplicismo” con l’insegnamento che precipita in inutili dispute simili a quelle del diritto!

Al sostegno dialettico urgeva per la Medicina un “depositario di verità assolute e indiscutibili”: e quale autorità superiore ad Ippocrate, quale “maestro” migliore di Galeno da secoli “colosso della medicina”? I suoi dogmi ben potevano conformarsi agli insegnamenti giuridici!

Vero successore d’Ippocrate, Galeno (nato nel 129 d.C. a Pergamo, oggi in Turchia) giunge a Roma nel 162 d.C. acquisendo tal fama di diagnosta da divenire medico di corte dell’imperatore Marco Aurelio. Il merito di Galeno è stato di rendere pratici gli insegnamenti d’Ippocrate  unificando, con l’ausilio di 20 scrivani, tutto lo scibile medico del tempo (qualcosa tra 400 e 600 opere) in un unico corpus (“Ars Medica”) che, tradotto anche in arabo, diviene “testo” universale di medicina, Merito ancora più grande di Galeno sarà l’introduzione del “concetto anatomico“ di malattia (ad alterazioni del fegato, conseguente ascite). Ma la superstizione vietava la dissezione umana, ci si limitava pertanto a vivisezionare animali.

Da questo grosso limite non poteva che scaturire una presunta, ma fallace comparazione con l’anatomia e fisiopatologia umana. Errore paradossale che perpetuerà per secoli l’immobilismo della medicina galenica: tanto che, al riscontro di differenze anatomiche tra quelle descritte da  Galeno e la realtà, si arrivò ad affermare che era la “natura ad essere cambiata” e non Galeno ad essersi sbagliato! O che gli scrivani avevano copiato male “l’inattaccabile dogma” galenico! Bisognerà attendere i sec. XVI e XVII perché, frutto della razionalità sperimentale  di Copernico, Newton e Galileo, anche alla medicina si apra la strada del progresso.

Alfine l’Università di Bologna licenziava i Magister di medicina, detti prima “medici fisici” poi definitivamente Doctores: il significatoche questo termine assunsedi “medico” per antonomasia dipese da una contemporanea particolare istituzione (Bologna, Firenze, sec. XIII):  la Condotta medica (dal condurre un medico, cioè “reclutarlo” al servizio e al soldo del Comune).

Esonerati dal servizio militare e da alcune gabelle, i “Condotti” avevano l’obbligo di curare sine mercede pauperes, feriti e militari; nell’assumere qualcuno in cura dovevano informarsi se fosse già stato visitato da altri e, nei casi gravi, chiamare a consulto altro collega. Il medico “comunale” doveva infine far rispettare regolamenti igienico-sanitari.

Frequenti controversie sorgevano tra Comuni nel contendersi un Condotto per la sua abilità, anche perché dovevano assistere i carcerati ed in alcune città persino torturare imputati! Quanto al comportamento, passione ed umiltà non dovevano essere disgiunte da aspetto salubre e decoro confacente alla dignità di “dottore”: tanto da essere multato se pubblicamente avesse sparlato di altro collega.

La  gloriosa e storica figura del medico Condotto è persistita sino a fine anni ’70. Spesso unico medico in comuni disagiati, depositario della salute dei cittadini, in auto, in bicicletta o a dorso d’asino per quello che poteva contenere la “borsa dei ferri del mestiere” doveva saper fare “di tutto”!

Il lungo credito che la Medicina ha storicamente acquisito è oggi calpestato e svilito da una locuzione strettamente connessa a quanti giorno e notte, feriali e festivi, operano per rimediare ad accidenti e malanni altrui. Il termine in questione, generalizzante e offensivo, è malasanità, e più precisamente: ennesimo episodio di malasanità. ossessivamente riproposto dalla stampa scritta e parlata in un crescendo di incompetenza e scorrettezze,  Domanda: a sottintendere “abituale agire degli operatoti sanitari a danno della salute del cittadino”?Perché, per analogia ed assonanza, il termine in questione ne evoca solo un altro: malavita, vale a dire deliberata attività contro ogni legge e morale volta al male dell’individuo e della società attraverso delitti abominevoli.

Millenni sono trascorsi e, nonostante straordinari progressi, errori medici sono umanamente sempre possibili (carico eccessivo di lavoro, carenza di personale e di dotazioni strumentali, tecnologie obsolete, inadeguata supervisione). Ma l’espressione “ennesimo episodio”sembra evocare che, per operatori sanitari, sbagliare sia la “norma”.

Si tratta invero di notizie d’esclusivo interesse cronachistico che, anziché riguardare reali episodi di errori medici, si tramutano in titoli ad effetto a nove colonne (o di apertura di TG) di facile presa emotiva sull’opinione pubblica: “si può ancora morire per una semplice influenza …, una banale appendicite?”. Nulla di più errato: si nuore per ben meno!

Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di eventi naturali non prevedibili, non diagnosticabili, quindi chiaramente non curabili. Il giornalista che li tratta è un abituale redattore di “cronaca nera” senza una preparazione tecnico-culturale specifica; e il lettore quasi sempre si ferma al titolo, non essendo in grado di compiere una valutazione critica del fatto!

Pazienti, familiari e legali di pochi scrupoli sono così indotti a cercare, a livello conscio o inconscio, moventi o responsabili cui attribuire l’imprevisto, nell’aspettativa di compensi finanziari astronomici che superano le reali esigenze. Si mina così alla base l’insostituibile fattore che da sempre ha permeato il rapporto paziente-medico: la fiducia! E più che nell’interesse della salute del cittadino, l’impatto psicologico  della campagna denigratrice è volto a distrarre l’opinione pubblica da ben più gravi responsabilità dei governanti la sanità pubblica: pronti a “ridurre” letti (non poltrone!) e reparti ospedalieri mentre persistono scandali, truffe e sprechi infiniti (ospedali mai terminati, attrezzature miliardarie mai entrate in funzione!),

La Storia della Medicina ha certamente comportato nei secoli perdite di vite umane prima di giungere agli straordinari livelli attuali (basti solo accennare ai trapianti). Ma è anche storia del coraggio in una diuturna ricerca di quanto e “perché” colpisca l’uomo, storia di una missione finalizzata a dare un volto umano alla sofferenza”.

Quanto alla stampa sembrano calzanti i seguenti ammonimenti (non ippocratici): “il giornalista professionista è un uomo che, cosciente o no, deforma la realtà dei fatti” (F. Mauriac), “vero giornalista è colui che scrive molto bene di quello che non sa” (L. Longanesi); “il giornalista professionista è spesso il solo on grado di distinguere le notizie vere da quelle false, ma pubblica le false” (Mark Twain).

E qui non si tratta di mettere in discussione l’insostituibile ruolo dell’informazione nella moderna civiltà della comunicazione. Ma è noto che “gli aforismi non corrispondono mai a una verità: o sono mezze verità, o … una verità e mezza” (Karl Kraus, 1874-1938).