Anno Accademico 2020-2021

Vol. 65, n° 2, Aprile - Giugno 2021

Simposio: Registrazione di parametri biologici in Medicina Subacquea

23 febbraio 2021

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Un casco subacqueo per la registrazione di segnali biologici (EEG/ECG)

L. Ricciardi

La Fisiologia subacquea ha preso in esame nel tempo un gran numero di variabili connesse all’esposizione dell’uomo all’ambiente acqua: dai problemi più pratici e tecnici – fornitura di aria respirabile, resistenza alla pressione, mute stagne, rapporto profondità/durata dell’immersione eccetera – fino a quelli clinici, strettamente legati alla fisica ambientale, alla cinetica dei gas respiratori, ai possibili danni ai principali organi, in particolare l’encefalo.

A partire dalla seconda metà degli anni ‘70 la Marina Militare ha intrapreso lo studio delle problematiche neuro-cognitive collegate all’immersione subacquea in maniera approfondita. La Sezione di Fisiologia subacquea dell’Ufficio Studi del Raggruppamento Subacquei e Incursori della Marina (COMSUBIN) ha iniziato pertanto a organizzare ricerche volte a definire tali problematiche, prima di tutto in funzione della tipologia dell’immersione; l’immersione con autorespiratore a ossigeno (ARO), tipica dell’Incursore, porta con sé il rischio degli effetti tossici dell’ossigeno iperbarico, quelli dell’ipossia e dell’ipercapnia; l’immersione ad aria, sia con appoggio di superficie (Palombaro), sia libera con autorespiratore ad aria (ARA), annovera, oltre che i problemi precedenti, soprattutto il rischio della malattia da decompressione (MDD) e della narcosi da gas inerte, conseguenti il comportamento dell’azoto.

Molto concisamente, ricordiamo che la tossicità dell’ossigeno iperbarico si manifesta a livello polmonare (effetto Lorrain Smith) e cerebrale (effetto Paul Bert) e può instaurarsi sia respirando ossigeno puro, sia aria compressa o miscele, per vari motivi. Mentre gli effetti polmonari si manifestano con tempi di esposizione più lunghi, l’ossigeno iperbarico è tossico in tempi brevi sul cervello e la variabilità interindividuale della risposta a questo effetto si può giustificare sulla base dell’entità di ritenzione di anidride carbonica (abbastanza frequente negli operatori subacquei e dipendente anche dal carico di lavoro), il cui effetto vasodilatatorio sul circolo cerebrale facilità l’aggressività dell’ossigeno sul tessuto (Fig. 1).



Fig. 1: Curva di tolleranza all’ossigeno iperbarico: proporzionalità inversa fra tempo di esposizione e pressione parziale di ossigeno nel sangue.

 

Il limite fisiologico della respirazione di ossigeno iperbarico si situa a 1,6 bar, rispetto agli 0,21 bar cui siamo abituati nel nostro normale ambiente aereo. Al di sopra di 1,6 bar gli effetti e i sintomi prodromici sono molteplici:
   • pallore
   • sudorazione
   • brachicardia
   • tachicardia
   • sonnolenza
   • depressione
   • euforia
   • visione a tunnel
   • scotomi scintillanti
   • allucinazioni uditive, gustative, olfattive
   • dispnea
   • nausea, vomito
   • vertigini
   • fascicolazioni
   • apprensione

Fra questi, l’euforia può essere letale perché compromette le capacità critica e decisionale in immersione.

Da ultimo può scatenarsi una crisi iperossica, come può avvenire anche durante sedute di ricompressione/decompressione o ossigeno-terapia iperbarica (OTI), con le classiche fasi tonica, clonica e di depressione post-critica.

Fra i sintomi della narcosi da azoto, conseguenti alla respirazione di azoto iperbarico, vi sono alcuni, quali la capacità mentale rallentata e la perdita della memoria a breve termine, in parte simili a quelli dell’iperossia.

Gli studi al riguardo hanno avuto inizio a COMSUBIN verso la fine degli anni ’70, inizio anni ’80. Essi hanno focalizzato l’attenzione sulle possibili anomalie elettroencefalografiche (EEG) conseguenti alla respirazione di ossigeno iperbarico e sulle eventuali modificazioni di potenziali evocati cognitivi, con l’obiettivo di comprendere gli effetti dannosi dell’ossigeno sulla corteccia e la circolazione cerebrale, ai fini di migliorare la sicurezza delle immersioni e di prevenire il più possibile incidenti subacquei.

Come si conviene, lo studio, articolatosi negli anni in due grandi fasi principali, si è fondato su studi di tipo simulativo (a secco in aria ambientale, a secco con immersioni in camera iperbarica a varie quote) e “sul campo”, ovvero in immersione vera e propria. A questo proposito vale la pena ricordare che, negli anni ‘80, è stata eseguita un’immersione a secco in saturazione, nell’impianto di Nave Anteo, a 250 m di profondità, con registrazione dei tracciati EEG e dei potenziali evocati.

Per arrivare a questo stadio si è pensato di costruire un casco subacqueo che potesse sostituire il normale cappuccio di neoprene o l’elmo da palombaro e, contemporaneamente, fosse resistente e sagomato per poter contenere la cuffia di registrazione e il registratore Holter miniaturizzato, strumenti necessari per registrare e memorizzare (e/o trasmettere) il segnale EEG.

Anche per il casco si è passati attraverso lunghe fasi sperimentali, a tutt’oggi non ancora pienamente concluse. Esteticamente l’evoluzione di questo strumento ha mantenuto l’aspetto di elmo romano con cimiero, ora di dimensioni più contenute; i nuovi materiali hanno permesso di rendere il casco più leggero e maneggevole, e le nuove tecnologie Holter e Bluetooth® consentono di produrre ottimi tracciati EEG e, nelle immersioni in camera, di trasmettere i dati in tempo reale a un PC (Fig. 2, 3). Il circuito elettrico permette anche di registrare l’elettrocardiogramma (ECG) e, al bisogno, ha alcuni canali liberi per altre variabili quali lo spirogramma, la saturazione arteriosa dell’ossigeno, la temperatura corporea.

Anche le cuffie di registrazione sono state modificate col tempo, fino a contenere un numero minimo di elettrodi, necessario e sufficiente a ottenere un tracciato di buona qualità e con il minimo di artefatti (Fig. 4).

Fig. 2: Casco per registrazioni EEG/ECG subacquee. In azzurro modello XX secolo; in grigio XXI secolo.

 

Fig. 3: Il casco nella sua ultima versione, scomponibile.

 

Fig. 4: A sinistra una cuffia di vecchia generazione; a destra una di ultima generazione.

 

I dispositivi di tenuta stagna e le valvole di equilibrazione fra pressione interna ed esterna sono coperti da brevetto.

Fig. 5: Il visore, qui senza casco, posizionato davanti agli occhi e sollevabile (v. Fig. 3).

Nell’ultima fase di perfezionamento, al casco è stato aggiunto un piccolo visore a LED, per lo studio dei potenziali evocati visivi (Fig. 5). La sequenza di presentazione delle luci, alcune singole, altre doppie, va memorizzata dall’operatore sottoposto alla prova e riferita, in seguito, allo sperimentatore. Eventuali errori nella memorizzazione delle sequenze possono essere ascritti a una influenza dei gas respiratori – ossigeno o azoto – sui circuiti cerebrali, che vengono contemporaneamente studiati tramite un programma di amplificazione del segnale EEG, che mette in luce i potenziali evocati visivi.

Tutte le registrazioni subacquee possono essere studiate off-line al rientro del soggetto esaminato.

Il casco ha dimostrato un’ottima tenuta a profondità fino a 50 m (6 ATA).

 


BIBLIOGRAFIA

Pastena L, Formaggio E, Storti SF,et al. Tracking EEG changes during the exposure to hyperbaric oxygen. Neurophysiol 2015; 126: 339-47.

Pastena L, Gagliardi R, Faralli F, Mainardi G. EEG patterns associated with nitrogen narcosis (breathing air at 9 ATA).  Aviat Space Environ Med 2005; 76: 1031-6.

Pastena L, Mainardi G, Faralli F, Gagliardi R. Analysis of cerebral bioelectrical activity during the compression phase of a saturation dive. Aviat Space Environ Med 1999; 70(3 Pt 1): 270-6.