Anno Accademico 2019-2020

Vol. 64, n° 2, Aprile - Giugno 2020

ECM: Le infezioni del sito chirurgico

21 gennaio 2020

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Assistenza postoperatoria in Terapia Intensiva Cardiochirurgica

D. Alvisini

Introduzione

Il ruolo dell’Infermiere in Terapia Intensiva e Rianimazione è sempre più specialistico e tecnico, anche se non trascende mai dalla dimensione umana dell’assistenza. Al centro di tutti gli interventi vi è sempre e comunque l’assistito. Il professionista infermiere è l’unico capace di garantire alla persona in situazione di potenziale o reale criticità vitale, un'assistenza completa e globale, anche attraverso l’utilizzo di strumenti e presidi tecnologicamente avanzati e informatizzati.

Che i pazienti più gravi abbiano necessità di una maggiore assistenza e la conseguente scelta di raggrupparli in base all’intensità assistenziale venne avanzata non dai medici, ma dal personale infermieristico (Florence Nightingale, 1860). Nonostante ciò, i primi letti ospedalieri dedicati all’alta intensità vennero attivati solo per la fase post-chirurgica neurologica, all’inizio degli anni ‘20 presso il Johns Hopkins Hospital negli USA.

È nella metà del secolo scorso, in relazione alle problematiche chirurgiche e traumatologiche emerse con gli eventi bellici della seconda Guerra Mondiale, che si sviluppa la Terapia Intensiva come oggi la conosciamo.

Successivamente, negli anni 1947/48, con la diffusione in Europa e negli USA della poliomielite, patologia associata frequentemente a paralisi respiratoria, furono messi a punto i ventilatori meccanici e i pazienti furono accorpati nelle prime Unità di Cura Intensive Respiratorie.

L'evoluzione della Medicina, l’evolversi delle procedure chirurgiche e, più recentemente, la diffusione dei trapianti, hanno dato luogo ad un ruolo sempre più importante alla Terapia Intensiva post chirurgica.

Tale evoluzione ha dato origine a Terapie Intensive connesse a funzioni chirurgiche complesse e a Terapie Intensive di ambito non chirurgico con relative problematiche di insufficienza d’organo (polivalenti). Oltre a quelle post-chirurgiche, esistono Rianimazioni specializzate in settori specifici, come la Neurochirurgica o la Cardiochirurgia.

L'avvento della filosofia infermieristica, che pone l’attenzione alla globalità della persona e non solo alla patologia, ha inevitabilmente portato al superamento delle specializzazioni tipiche del contesto sanitario, per dirottarsi sul metaparadigma infermieristico: uomo, salute, contesto/ambiente, assistenza.

La Terapia Intensiva oggi

Nel contesto attuale con Terapia Intensiva identifichiamo un luogo in cui vengono collocate persone ad elevata criticità vitale, con necessità di cure intensive dovute al particolare stato di salute del paziente; dalla Terapia Intensiva non si verrà dimessi, ma solo trasferiti ad un altro livello di cura.

La peculiarità di questo setting di cura consiste nel supporto intensivo del paziente in toto, che comprende il controllo delle funzioni respiratorie, neurologiche, cardiovascolari, nefrologiche e il controllo dell'omeostasi metabolica e delle infezioni, tutto al fine di raggiungere il ripristino delle funzioni fisiologiche spontanee del paziente.

La definizione di Terapia Intensiva è stata delineata dall'Associazione degli Infermieri dell'Area Critica e dell’Emergenza (Aniarti) come l’insieme delle strutture ad alta intensità assistenziale e l’insieme delle situazioni caratterizzate dalla criticità/instabilità vitale del malato e delle complessità dell’approccio e dell’intervento assistenziale medico/infermieristico (Congresso Nazionale ANIARTI, 2005).

Secondo questa definizione, quindi, i punti nevralgici attorno a cui nasce e si caratterizza una Unità di Terapia Intensiva (ICU) sono sostanzialmente tre:

  1. requisiti strutturali;
  2. criticità delle condizioni fisiche;
  3. alta complessità medico-assistenziale.

La definizione di area critica inevitabilmente necessita di revisionare anche la figura dell’infermiere di Terapia Intensiva, il quale si delinea come un professionista capace di garantire alla persona in situazione di potenziale o reale criticità vitale, un'assistenza completa e globale anche attraverso l’utilizzo di strumenti e presidi di rilevante componente tecnologica ed informatica.

L’Infermiere di Terapia Intensiva, inoltre, si impegna per:

  •   il mantenimento di un elevato livello di competenza;
  •   il contenimento dei fattori di rischio;
  •   la qualità delle prestazioni e dei servizi sanitari erogati.

Non più, quindi, un infermiere specializzato in Rianimazione, Cardiologia, Nefrologia, ecc., formato su modello paramedico, ma un infermiere dotato di competenze che lo rendono in grado di assistere il paziente nelle situazioni critiche di qualunque origine esse siano.

Il contesto lavorativo della Terapia Intensiva implica alti livelli di conoscenza, esperienza e specializzazione. Tra le competenze necessarie, il pensiero critico è determinante in un ambito così complesso, dove non bastano le conoscenze e l'aggiornamento continuo per garantire sicurezza e qualità assistenziale ai malati.

Al modello consolidato della Medicina tradizionale degli ultimi decenni, incentrato sulla malattia e definito “desease centered” (Moja,1998), si contrappone il modello basato sull’assistenza focalizzata sul paziente, definibile come “patient centered care”.

Queste affermazioni presuppongono anche un rinnovamento culturale in senso psico-sociologico, portando a superare l’approccio di una Medicina iperspecialistica con, al contrario, il recupero di un approccio di chi cura e assiste l’uomo come persona (Cosmacini, 1995).

La tipologia di pazienti critici nel contesto attuale richiede un’accresciuta vigilanza e complesse cure erogate attraverso un team di professionisti sempre più qualificati a svolgere questo ruolo essenziale e prezioso; ne consegue che gli infermieri di Terapia Intensiva devono attingere ad un complesso repertorio di conoscenze specifiche tra le quali spiccano le competenze, l’esperienza e la valutazione del cambiamento di salute in atto.

Gli infermieri USA per certificare le loro competenze in Terapia Intensiva hanno aderito al modello Synergi (2003) incentrato sul paziente e sul concetto di base che le caratteristiche dei pazienti e delle loro famiglie guida le competenze degli infermieri che si prendono cura di loro.

Tale modello identifica otto caratteristiche dei pazienti e delle famiglie, che comprendono:

  • la complessità;
  • la vulnerabilità;
  • la prevedibilità;
  • la stabilità;
  • la resilienza;
  • la disponibilità delle risorse la partecipazione alla cura;
  • la partecipazione al processo decisionale.

Da tale modello si evidenzia l’inevitabile accrescimento delle competenze dell’infermiere di Terapia Intensiva, le quali si articolano in 8 componenti: il giudizio clinico e di ragionamento, patrocinio, pratiche di assistenza, collaborazione, pensiero sistemico, la risposta alla diversità, l’indagine e la facilitazione dell’apprendimento.

Tra gli esiti auspicabili di un ricovero in Terapia Intensiva vanno considerati non solo la sopravvivenza rispetto alle condizioni acute, ma anche la qualità della vita successiva secondo un modello biopsicosociale.

Alla “dimensione disease” (la malattia nel senso fisiopatologico) si è affiancata, come per altre discipline cliniche e assistenziali, l’attenzione alla “dimensione illness” (il vissuto di malattia del paziente e le sue relazioni sociali).

Per quanto riguarda la relazione che alimenta i conflitti tra medici e infermieri deve essere chiara la consapevolezza che il medico non è l’unica figura competente per le decisioni di natura etica; il ruolo infermieristico all’interno del team multidisciplinare, infatti, dovrebbe essere rafforzato e valorizzato in quanto tali decisioni possono essere promosse grazie alle peculiarità tipiche delle professioni infermieristiche già enunciate precedentemente.

Tale contesto favorirebbe lo sviluppo, la valorizzazione e l’espressione delle competenze professionali, presupposti per garantire l’erogazione del miglior servizio possibile.

 Ruolo e competenze dell’infermiere di Terapia Intensiva Cardiochirurgica

L'assistenza infermieristica nell'immediato post-operatorio è finalizzata al mantenimento o al raggiungimento della stabilità emodinamica e al recupero dell'anestesia generale. Quando il paziente termina l'intervento chirurgico, l'accoglienza in Terapia Intensiva avviene tramite il lavoro d'equipe del medico di sala, dell'anestesista, dell'infermiere di sala operatoria e degli infermieri di Terapia Intensiva.

Dopo aver accolto il paziente si avvia la VAM collegando, tramite corrugato, il tubo endotracheale al ventilatore, si monitorizza il paziente per il controllo elettrocardiografico attraverso elettrodi collegati ad un trasduttore posto a livello flebostatico che invia segnali elettrici al monitor, si monitorizza la pressione arteriosa attraverso l'arteria radiale e la PVC tramite lume del CVC, si collega il pulsossimetro, si mettono in aspirazione i drenaggi toracici facendo attenzione alla quantità di drenato, si controlla il posizionamento del SNG e si collega alla borsa del drenato.

Nelle due ore successive all'intervento, l'infermiere si preoccupa di accertare con attenzione le condizioni neurologiche, le condizioni cardiache (FC, PA, PVC, toni cardiaci, drenaggio dal tubo toracico e mediastinico, funzionamento e parametri di impostazione del pace-maker etc); le condizioni respiratorie (espansione degli emitoraci, suoni respiratori, parametri di impostazione del respiratore, frequenza respiratoria, pressione ventilatoria, valori dell'emogasanalisi arteriosa, saturazione percutanea in ossigeno, anidride carbonica espirata, drenaggio pleurico etc); le condizioni vascolari periferiche (polsi periferici, colore della cute, del letto unguale e delle mucose, la temperatura cutanea, l'eventuale presenza di edemi e condizioni delle medicazioni e delle vie invasive); la funzionalità renale, il bilancio idroelettrolitico correggendo eventuali squilibri e il dolore (qualità, tipo, sede, durata, condizioni scatenanti, risposta ad analgesici).

Durante questo accertamento, l'infermiere si occupa di svezzare il paziente dalla VAM, tenendo conto dei valori respiratori e metabolici valutati tramite EGA, dei volumi respiratori, della FR, dei parametri vitali quali PA, PVC, FC, ECG e dello stato di coscienza. Cambiando modalità al respiratore automatico, l'infermiere con attenzione, responsabilità e in collaborazione con l'anestesista, decide il momento più opportuno per estubare il paziente. È auspicabile che l'infermiere, quando il paziente riprende coscienza, valuti i parametri relativi al suo stato emotivo e psicologico poiché potrebbe assumere un comportamento di rifiuto o di depressione; la cardiotomia infatti può essere causa di psicosi, i cui segni caratteristici sono le percezioni illusorie transitorie, le allucinazioni visive e uditive, il disorientamento spazio-temporale e le manie paranoidi.

Quali sono le complicanze nell'immediato post-operatorio?

L'infermiere di Terapia Intensiva ha un ruolo molto importante che non si limita al solo svolgimento di interventi meccanici e ripetuti, ma si estende all'accertamento continuo del paziente per rilevare precocemente l'insorgere di eventuali complicanze, riconoscendone precocemente i segni e i sintomi per applicare misure che ne impediscano il progredire.

Un intervento cardiochirurgico comporta sempre il rischio di una diminuzione della gittata cardiaca, che può dipendere da diverse cause, una di queste è alterazione del precarico a causa di ipovolemia, emorragia, tamponamento cardiaco o sovraccarico di liquidi.

Ipovolemia: l'infermiere deve occuparsi di monitorare segni e sintomi di ipovolemia, tra cui frequenza cardiaca aumentata con pressione arteriosa normale o diminuita, tachipnea, diminuzione della pressione venosa centrale, riduzione della diuresi (<25ml/h) per ridotta circolazione a livello renale; ogni ora si calcola il bilancio idrico valutando le entrate e le uscite e tramite emogasanalisi valuta una riduzione dell'ematocrito e dell'emoglobina. L'infermiere pone attenzione alla cute che si può presentare fredda, umida, cianotica perché la riduzione del volume circolante può comportare la diminuzione della perfusione tessutale, cianosi o macchie della mucosa orale, labbra, letto ungueale e lobi auricolari perché sono aree riccamente vascolarizzate, diminuzione della saturazione di ossigeno, agitazione e riduzione dell'attività mentale per ipoperfusione cerebrale. Il trauma chirurgico, l'utilizzo di eparina e la CEC possono causare riduzione piastrinica con conseguenti anomalie della coagulazione e perdita eccessiva di sangue, l'infermiere si può trovare di fronte ad un'emorragia, per questo è fondamentale che monitori i parametri vitali (polso rapido e debole, respirazione rapida e superficiale, ipotensione, cute pallida e fredda, sudorazione abbondante, agitazione e irrequietezza, diuresi <25ml/h, diminuzione dell'ematocrito e dell'emoglobina. È importante valutare la ferita chirurgica per la presenza di eventuale sanguinamento e la quantità di sangue perso dal drenaggio che non dovrebbe superare i 200ml/h nelle prime 4-6 ore successive all'intervento. In caso di emorragia, l'infermiere posiziona il paziente in Trendelemburg, si somministra ossigeno, si infondono liquidi ed eventualmente emoderivati e Protamina.


Il monitoraggio dei parametri vitali da parte dell'infermiere quali ipotensione arteriosa, tachicardia e tachipnea, insieme ad altre valutazioni quali la quantità di urina <25ml/h, la presenza di polso paradosso (riduzione della pressione arteriosa sistolica più di 10mm/hg durante l'inspirazione), la cute pallida e fredda, la diminuzione della saturazione di ossigeno associata a diminuzione dell'ematocrito e dell'emoglobina, sono necessarie per capire se il paziente è a rischio di tamponamento cardiaco.

L'infermiere valuta anche se è presente dolore toracico intenso, una riduzione del volume del drenaggio toracico per ristagno o coagulo a livello del mediastino e se compaiono agitazione e senso di oppressione.

Potrebbe verificarsi anche un sovraccarico di liquidi i cui segni sono un aumento della PVC, della pressione diastolica nell'arteria polmonare e della pressione arteriosa polmonare di incuneamento WEDGE (se è posizionato un catetere SWAN GANZ).

L'Infermiere, auscultando il paziente, valuta la presenza di crepitii e monitorizzando il bilancio idrico valuta un eccesso delle entrate accompagnato ad una riduzione della diuresi; autonomamente può ridurre la velocità di infusione endovenosa di liquidi e su ordine medico somministra i diuretici. La gittata cardiaca può ridursi anche a causa di alterazioni del postcarico (la pressione che il miocardio ventricolare deve vincere per pompare il sangue durante la sistole); l'ipotermia e l'ipertensione sono le cause principali di alterazioni del postcarico.

È competenza dell'infermiere di Terapia Intensiva, fare valutazioni per capire precocemente se il paziente sta avendo complicanze riguardanti l'alterazione delle frequenza cardiaca (aritmie) che sono molto comuni nel postoperatorio di un intervento cardiochirurgico, per questo motivo è fondamentale monitorare il ritmo o la frequenza alterata, l'ipotensione, la presenza di cardiopalmi e alterazioni elettrocardiografiche; devono inoltre essere valutati gli elettroliti sierici che possono causare aritmie (sodio, potassio, etc.). L'infermiere in autonomia può somministrare ossigeno per aumentare il livello di ossigeno circolante e diminuire il carico di lavoro cardiaco; somministrare su prescrizione farmaci antiaritmici; prepararsi e informare il paziente riguardo la possibilità di effettuare il massaggio carotideo o la cardioversione.

Le complicanze a cui è soggetto un paziente cardiochirurgico riguardano anche la contrattilità miocardica, quando il cuore non è in grado di svolgere la sua azione di pompa e le cavità cardiache non si svuotano adeguatamente, si parla di insufficienza cardiaca. L'infermiere si troverà di fronte ad una caduta pressoria media e ad un aumento della pressione d'incuneamento e della pressione polmonare diastolica, riscontrerà tachicardia crescente, cianosi periferica, dispnea, edemi, irrequietezza e agitazione. Potrebbe verificarsi anche un infarto del miocardio, la necrosi cellulare del tessuto miocardico diminuisce la contrattilità e prima che l'area infartuata non diventa edematosa, la parete ventricolare compie dei movimenti paradossi che riducono ulteriormente la gittata cardiaca.

In questo caso l'infermiere valuterà la comparsa di ipotensione, polso debole e tachicardia, la traccia elettrocardiografica poiché il tratto ST e l'onda T saranno alterati e ci sarà presenza di tachicardia e aritmie. Il paziente si sentirà agitato e avrà sudorazione, dolore oppressivo al torace che si irradia in zona sternale, al braccio sinistro, alle scapole, alla mandibola o alla bocca dello stomaco per non meno di 15 minuti.

La presenza del tubo endotracheale aumenta la produzione di muco e il dolore alla ferita può ridurre l'efficacia della respirazione profonda e della tosse efficace, si potrebbe avere una compromissione degli scambi gassosi. Valutare i valori dell'emogasanalisi, il polso tachicardico e irregolare, la riduzione della diuresi (<25ml/h), la cute fredda, pallida o cianotica è fondamentale per capire che si sta parlando di una riduzione dell'ossigeno nel sangue, ipossiemia; in questo caso occorrerà somministrare ossigeno, adeguare il volume dei liquidi (idratare il paziente), incentivare la respirazione profonda e la tosse efficace. Se il paziente è intubato adeguare i parametri della ventilazione e procedere alla broncoaspirazione.

Altre complicanze a livello respiratorio che l'infermiere deve valutare tramite la lettura dei segni e dei sintomi sono:

  • atelectasia polmonare: presenza di tachicardia, tachipnea, cianosi, dolore toracico, febbre, tosse   produttiva → respirazione profonda per aumentare il volume corrente, tosse efficace, ossigenoterapia, esecuzione EGA per valutare scambi gassosi;
  • pneumotorace: presenza di dolore toracico, dispnea, tachicardia, tachipnea → ossigenoterapia, esecuzione EGA per valutare scambi gassosi, analgesici per alleviare il dolore, respirazione profonda con inspirazione prolungata al massimo, informazione al paziente riguardo la possibilità di eseguire un RX torace o il posizionamento di drenaggio toracico;
  • embolia polmonare: presenza di dolore toracico intenso e diminuzione dello stato di coscienza, diminuzione della SpO2, tachicardia, ipotensione, aritmie, febbre, tosse → valutare ECG, diuresi per avere informazioni riguardo il volume circolatorio, ossigenoterapia per aumentare il livello di ossigeno circolante, somministrare su prescrizione la terapia trombolitica(urochinasi) per produrre la lisi degli emboli, migliorare la perfusione polmonare e la terapia anticoagulante per limitare la nuova formulazione di trombi;
  • edema polmonare: tachicardia, diminuzione della Sp02, tachipnea, dispnea, tosse → ossigenoterapia, su prescrizione somministrare diuretici per diminuire il precarico, vasodilatatori per diminuire il postcarico, inotropi per migliorare la contrazione ventricolare.

Una diminuzione della gittata cardiaca, l'emolisi e l'uso eccessivo di vasocostrittori potrebbero causare un'inefficace perfusione renale. È compito dell'infermiere valutare il bilancio idro- elettrolitico, la diuresi (se <25ml/h è indice di diminuita funzionalità renale), la presenza di trachicardia, dispnea, diminuzione della pressione sistolica, edemi periferici, distensione delle vene giugulari. Su prescrizione somministrerà diuretici a effetto rapido e farmaci con effetto inotropo positivo per favorire la funzionalità renale e il ripristino di un'adeguata gittata cardiaca e della perfusione renale.

L'infermiere provvederà a controllare la comparsa di acidosi metabolica/respiratoria o alcalosi metabolica/respiratoria (valutando valori tramite EGA) e anche di trombosi venosa profonda (posizionerà calze elastiche e incoraggerà il paziente ad effettuare esercizi con gli arti inferiori per aumentare il ritorno venose).

L'accertamento infermieristico comprende la valutazione del dolore causato dall'interruzione dei nervi intercostali lungo la linea d'incisione e dell'irritazione della pleura provocata dai drenaggi toracici.

Occorre annotare dettagliatamente la natura, la qualità, la localizzazione, la durata e aiutare a contenere la ferita durante le manovre di respirazione profonda, di espirazione forzata e mentre tossisce. La tensione causata dal dolore può stimolare il sistema nervoso centrale e la liberazione di adrenalina, provocando la costrizione delle arteriole e l'aumento della frequenza cardiaca, responsabili dell'aumento del postcarico e della diminuzione della gittata cardiaca; su prescrizione di somministrano farmaci per alleviare il dolore e si procede alla rivalutazione.

L'uso eccessivo di diuretici, il vomito, la diarrea, un'eccessivo drenaggio gastrico o squilibri metabolici post-chiurgici potrebbero causare squilibri idroelettrolitici (ipo/iperpotassiemia-ipo/ipernatriemia-ipo/iper calciemia etc.).

L'infermiere per rilevare precocemente tale complicanza provvederà a monitorare il bilancio idro- elettrolitico delle entrate e delle uscite, la distensione delle vene del collo e della presenza di un eventuale edema, di eventuali rumori respiratori e la valutazione dei valori degli elettroliti e dell'ematocrito tramite emogasanalisi. Gli interventi saranno diversi in base al tipo di carenza o eccesso dello ione e comprendono la valutazione della traccia elettrocardiografica, della FC, della PA, la comparsa di nausea, crampi muscolari, agitazione, calore etc.

L'infezione è una complicanza insidiosa che deve essere prevenuta e scoperta immediatamente attraverso un attento accertamento infermieristico che prevede il rilevare precocemente segni/sintomi d'infezione → rialzo termico, tachicardia, l'aspetto della ferita che può presentarsi arrossata o gonfia, l'aspetto delle urine, il drenaggio e lesioni cutanee.

L'infermiere per prevenirla attua procedure sterili e/o pulite, si lava le mani e si cambia i guanti in modo attento e secondo procedure, mantenendo tecniche di isolamento se appropriato. È importante considerare la conta dei globuli bianchi e degli indici di flogosi, somministrare su prescrizione terapia antibiotica.

In media il periodo di convalescenza dopo l'intervento dura da 4 a 6 settimane, tempo necessario per il consolidamento della frattura dello sterno, dopo questa fase riabilitazione, i pazienti godono di un importante riduzione della sintomatologia e di un netto miglioramento della capacità d'esercizio e di tolleranza agli sforzi. Possono essere necessari fino a 2-3 mesi dall'intervento per un completo recupero.

Gestione della medicazione e prevenzione delle infezioni del sito chirurgico

Si definisce “ferita chirurgica” una soluzione di continuo della cute/di un tessuto parietale, realizzata a seguito di un’incisione a comparsa programmata, con obiettivi diagnostici o terapeutici, che dovrebbe andare incontro a guarigione in un intervallo di tempo ben definito.

Alcune variabili, dovute a fattori intrinseci ed estrinseci, possono incidere sulla guarigione della ferita rallentandola o ostacolandola; tra questi la presenza di microrganismi ritenuti responsabili delle infezioni del sito chirurgico e che risulta essere tutt’ora una complicanza ad elevata frequenza ed impatto sulla qualità delle prestazioni sanitarie, sulla compliance dei pazienti e sui costi generali delle cure. Le infezioni post operatorie non sono del tutto eliminabili, ma l’adozione di misure preventive e modelli comportamentali mirati, comportano una loro significativa riduzione.

Lo scopo di tale protocollo è quello di standardizzare le procedure di gestione delle ferite chirurgiche, al fine di migliorare la qualità e la sicurezza delle prestazioni sanitarie:

  • assicurando la medicazione appropriata, prevenendo il dolore e le complicanze infettive;
  • identificando correttamente le infezioni del sito chirurgico e applicando, sulla base delle raccomandazioni, le misure di carattere comportamentale e assistenziale, riconosciute avere un ruolo determinante nella prevenzione delle infezioni del sito chirurgico.

La “medicazione” è una tecnica atta a curare e proteggere la ferita dal rischio di infezione e far ottenere un completo ripristino della cute la cui riparazione tissutale avviene in 3 fasi definite: infiammatoria, proliferativa e maturativa. La scelta della tipologia di medicazione, che deve essere anallergica e atraumatica nella periodica sostituzione e/o rimozione della stessa, è legata alle caratteristiche della ferita stessa. Tipologia di medicazione:

  • semplice (per ferita che guarisce per I intenzione)
  • complessa (per ferita che guarisce per II intenzione)
  • avanzata (per ferite che guarisce per III intenzione).

Molti fattori concorrono alla buona riuscita della medicazione, tra questi le azioni comportamentali che rispondono ai criteri di efficacia ed efficienza.

Medicazione semplice

La prima medicazione deve essere effettuata dopo 24-48 ore dall’intervento. Lo scopo della medicazione semplice è di proteggere la ferita con medicazione sterile, assorbire gli eventuali essudati, contribuire a mantenere i margini della ferita asciutti. Non è necessaria la sostituzione giornaliera.

1 Identificare il paziente e informare sulla procedura, valutare la presenza di dolore, far assumere una posizione confortevole, nel rispetto della privacy, che permetta una buona esposizione della sede della ferita.
2 Eseguire il lavaggio sociale/frizione alcolica delle mani; indossare i guanti monouso e altri DPI (secondo necessità).
3 Rimuovere la medicazione (con la mano non dominante trattenere la cute e con l’altra rimuovere il cerotto, se necessario inumidire con soluzione fisiologica sterile).
4 Osservare e valutare la ferita e la cute circostante.
5 Rimuovere e smaltire i guanti.
6 Eseguire lavaggio o frizione antisettica delle mani. Aprire, con tecnica asettica, le confezioni del materiale, da appoggiare nel piano di lavoro, utilizzando la parte interna della confezione come campo sterile. Indossare i guanti sterili per tecnica “touch” o quelli non sterili per tecnica “no touch”.
7 Detergere la ferita con garza sterile imbibita di soluzione fisiologica, iniziando dall’alto verso il basso e verso l’esterno della sutura, con movimento unidirezionale; ripetere la manovra con altra garza sterile per trattare l’altro lato della sutura. Asciugare la ferita con garza asciutta.
8 Eseguire eventuale rimozione dei punti di sutura.
9 Disinfettare la ferita, utilizzando la pinza con garza e antisettico, con movimento unidirezionale, praticando più passaggi (almeno due) e sostituendo la garza ad ogni passaggio, Lasciare asciugare.
10 Applicare la medicazione a piatto, utilizzando cerotti premedicati o garze sterili con cerotto, e posizionare sulla ferita delicatamente facendo aderire bene alla cute.
11 Eliminare il materiale, acuminati e taglienti negli appositi contenitori e ricondizionare l’ambiente.
12 Rimuovere i guanti, eseguire il lavaggio sociale/frizione alcolica delle mani.
13 Istruire il paziente a non rimuovere la medicazione, scoprire o toccare la ferita informare sul riconoscimento precoce di sintomi di complicanze infettive. Registrare l’avvenuta procedura in cartella.

 

Medicazione complessa

La medicazione complessa può essere rinnovata più volte nelle 24 ore in presenza di essudato e/o pus. Scopo della medicazione complessa è di assorbire gli eventuali essudati e contribuire a mantenere i margini della ferita asciutti.

I punti da 1 a 6 sono i medesimi della medicazione semplice.

7 In presenza di materiale corpuscolato, rimuovere le secrezioni dalla cute con garza sterile asciutta, quindi prelevare il campione per esame colturale.
8 Dopo il prelievo, detergere la ferita (come descritto nella medicazione semplice).
9 Disinfettare, praticando più passaggi di disinfezione cambiando la garza ad ogni passaggio.
10 Se presente materiale necrotico e/o fibrinoso procedere alla rimozione dello stesso tramite debridement chirurgico o con ultrasuoni.
11 Rimuovere eventuali punti di sutura per favorire il drenaggio di eventuali raccolte sottocutanee.
12 Ripassare con nuova garza e antisettico (come descritto nella medicazione semplice).
13 Rivalutare la ferita, se si evidenzia la necessità di ulteriori manovre individuare l’ambiente idoneo in cui eseguirle.
14 Applicare la medicazione (pronta sterile o garze sterili).
15 Eliminare il materiale monouso, e procedere come di prassi (vedi per la medicazione semplice).
16 Rimuovere i guanti, eseguire il lavaggio sociale/frizione alcolica delle mani.
17 Istruire il paziente (come descritto nella medicazione semplice); registrare la procedura in cartella.

 

In presenza di drenaggio deve essere eseguita con tecnica e materiale sterile.

  • drenaggio aperto: i punti di fuoriuscita dei drenaggi devono essere medicati con tecniche asettiche, separatamente dalla ferita chirurgica e possibilmente più frequentemente;
  • drenaggio chiuso: il raccoglitore delle secrezioni drenate deve essere sterile, ben chiuso, deve essere tenuto al di sotto del livello della ferita, per prevenire il reflusso lungo i tubi dei fluidi drenati che vengono colonizzati molto velocemente dai microrganismi.

È necessario osservare alcuni accorgimenti:

-   procedere alla pulizia intorno all’inserzione del drenaggio rimuovendo le eventuali incrostazioni ematiche;

-   disinfettare intorno alla sede di drenaggio iniziando dal punto più vicino al drenaggio verso l’esterno con movimento circolare;

-   confezionare con medicazione sterile a “Y” e fissare il drenaggio in modo da evitare il dislocamento con trazioni involontarie del drenaggio, garantire il necessario comfort di movimento e offrire la massima e sicurezza al paziente.

Medicazione avanzata o pressione topica negativa

Il sistema di medicazione a pressione topica negativa è utilizzato per pazienti con ferite caratterizzate da perdita di sostanza; è una metodica di trattamento che agisce sulla lesione attraverso una pressione sub-atmosferica. Le medicazioni si effettuano, di norma, ad intervalli di 72 h. Scopo di tale medicazione è quello di rimuovere eventuali tralci necrotici infetti e l’edema tissutale; migliorare la perfusione ematica; stimolare la neoangiogenesi, il tessuto di granulazione e la contrazione della ferita.

In particolare presso la nostra struttura, nell’immediato post operatorio di cardiochirurgia viene utilizzato il sistema PICO o VAC Prevena. Gli effetti sulla ferita chirurgica sono:

  • creazione di un ambiente umido sigillato. (Morykwas et al., 1997)
  • riduzione dell’edema tissutale. (Kamolz et al., 2004)
  • contrazione dei margini della ferita. (Malmsjö et al., 2009)
  • stimolazione meccanica del letto della ferita. (Saxena et al., 2004)
  • alterazione del flusso sanguigno sui margini della ferita. (Wackenfors et al., 2004)
  • stimolazione della angiogenesi. (Greene et al., 2006)
  • formazione di tessuto di granulazione. (Armstrong and Lavery 2005).

        Sostegno fisico di innesti

Nell’immediato post operatorio viene scelta in tutti quei pazienti nei quali sono riscontrabili diversi fattori di rischio inibenti la corretta cicatrizzazione della ferita:

  • diabete;
  • insufficienza renale cronica;
  • neuropatia diabetica;
  • insufficienza arteriosa/venosa;
  • obesità;
  • eccessiva magrezza.

Per la guarigione di una ferita, il corpo ha bisogno di ossigeno, sostanze nutritive, l’energia e il sistema vascolare pienamente funzionante che porti le risorse necessarie per la ferita e porti via i rifiuti dalla ferita. Ciò significa che qualsiasi condizione medica che devia le risorse da una ferita potrebbe essere considerato una comorbilità o co-fattore che inibisce la guarigione delle ferite. Ci sono centinaia di condizioni mediche specifiche che possono inibire o ritardare la guarigione di una ferita.

Infezioni del sito chirurgico

L’infezione del sito chirurgico è definita dal Sistema NNIS (National Nosocomial Infections Surveillance) del CDC (Center for Desease Control), in accordo con le definizioni abitualmente utilizzate anche in Europa, come qualsiasi stato morboso caratterizzato da segni locali e/o generali di infezione insorto entro 30 giorni o entro un anno se sono state inserite delle protesi. L’infezione si verifica quando, i microrganismi, presenti nell'ambiente, sulla cute degli operatori o del paziente stesso, raggiungono il sito chirurgico per contatto diretto o tramite l'aria. Per identificare precocemente, nel post operatorio, una infezione del sito è necessaria un’attenta valutazione del paziente riguardo: la presenza di dolore, che insorge o aumenta nell’area della ferita, insieme ad altri segni di infiammazione/eritema (arrossamento persistente in associazione a cute più calda e dolente al tatto rispetto a quella circostante); la presenza di pus in una qualsiasi forma, in quanto è sempre indicatore di infezione; qualsiasi essudato dalla ferita dopo 48 ore dall’intervento chirurgico.

Classificazione delle infezioni del sito chirurgico

-   infezione superficiale = infezione del sito chirurgico limitata alla superfice dell’incisione;

-   infezione profonda = infezione del sito chirurgico che interessa i tessuti profondi;

-   infezione organo/spazio = infezione del sito chirurgico che interessa organi e spazi.

Fattori di rischio

La probabilità che i pazienti sottoposti a intervento chirurgico sviluppino infezione post operatoria del sito, varia fortemente in relazione a diversi fattori:

  • durata e classe dell’intervento chirurgico (pulito, pulito-contaminato, contaminato, sporco);
  • codice ASA (rischi legati alla condizione clinica del paziente) > 3;
  • impianto di materiale protesico;
  • durata della degenza pre-post intervento;
  • durata dell’intervento;
  • malattie concomitanti (diabete, malnutrizione, obesità, ecc.).

Prevenzione dell’infezione del sito chirurgico

Obiettivo fondamentale della prevenzione è creare, a protezione del sito chirurgico, delle barriere efficaci per ridurre al minimo queste possibilità di contatto (contaminazione batterica e/o infezione). Occorre sviluppare l’adozione di buone pratiche assistenziali che possono migliorare la qualità dell’assistenza tramite:

  • la formazione continua del personale sanitario e di supporto;
  • l’applicazione delle corrette procedure assistenziali, secondo le evidenze scientifiche;
  • la protezione del sito chirurgico nelle diverse fasi;
  • l’attenta e adeguata igiene della persona, dell’ambiente e dello strumentario.

L’approccio per Blunde consiste nell’adozione di un set di interventi che, se integrati, sono in grado di ridurre, in modo significativo le infezioni del sito chirurgico.

Misure preventive nel post-operatorio

Il maggior numero di infezioni si determinano in fase intra-operatoria, tuttavia la contaminazione della ferita chirurgica può avvenire anche nel postoperatorio probabilmente a causa della mancata adesione all’asespi nelle tecniche di medicazione, per utilizzo di materiale non sterile o esecuzione della medicazione in ambiente non protetto.

ARGOMENTO DESCRIZIONE CATEGORIA
Gestione della medicazione È buona pratica mantenere la medicazione sterile, applicata in sala operatoria, per 24-48 h successive al confezionamento, salvo diverse indicazioni. Anticipare la medicazione solo quando visibilmente sporca o bagnata di sangue, siero o altro materiale.          CDC 1999, IB
Gestione della medicazione Non utilizzare antibiotici topici nelle ferite chirurgiche che stanno rimarginando per prima intenzione. Non utilizzare soluzione antisettiche a base di mercurio per gestire le ferite chirurgiche che si stanno rimarginando per seconda intenzione.          NICE 2008 +1
Gestione della medicazione Mantenere una rigorosa asepsi per il cambio della medicazione. Toccare la ferita aperta o effettuata di recente indossando guanti sterili o adottando una tecnica “no-touch”. Le medicazioni devono essere rimosse se sono bagnate o se il paziente presenta sintomi che suggeriscano la presenza di un’infezione (febbre o dolore insolito localizzato alla ferita). Quando è rimossa la medicazione, la ferita deve essere ispezionata per rilevare eventuali segni di infezione. Qualunque drenaggio di una ferita che si sospetti essere infetta, deve essere sottoposto a coltura microbiologica.

CDC II

      CDC 1999

Informazioni al paziente Informare il paziente che è possibile effettuare una doccia già 48 ore dopo l’intervento chirurgico (vale per le medicazioni che guariscono per prima intenzione); se la medicazione si bagna deve essere sostituita subito dopo la doccia.

NICE 2008, +1

Sorveglianza Un aumento nei tassi di incidenza delle infezioni delle ferite chirurgiche deve essere valutato attentamente e, nel caso si confermi l’esistenza di un’epidemia, è necessario avviare un’indagine epidemiologica.

III

Sorveglianza È importante mantenere il contatto con i pazienti dimessi per determinare l’incidenza di infezioni nei 30 giorni dopo l’intervento.

Non classificato


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https://www.nurse24.it/specializzazioni/area-clinica/l-infermiere-di-terapia-intensiva-e- rianimazione.html

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