Dott. Roberto Santoro

POIT - Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti, U.O.C. Chirurgia Generale e dei Trapianti d'Organo, Az. Osp. San Camillo-Forlanini, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2019-2020

Vol. 64, n° 1, Gennaio - Marzo 2020

Simposio: La malattia metastatica epatica: una malattia chirurgica?

26 novembre 2019

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La chirurgia metastatica epatica. Resezioni “parenchimal sparing”

R. Santoro

Il mio compito è quello di parlare della chirurgia che io chiamerei in italiano “chirurgia conservativa”: in fondo è quello che io ho sempre sentito dire perché nel trattamento delle metastasi epatiche bisogna essere sempre conservativi poiché non si sa mai dove la malattia metastatica epatica può recidivare. Il trend dell’inizio degli anni 2000 era invece quello di fare grandi epatectomie. In chirurgia sono stati fatti dei passi da gigante che hanno permesso di arrivare nelle epatectomie allo 0% di mortalità. Visti questi risultati straordinari, ci si è estesi a fare trattamenti sempre più complicati dal punto di vista tecnico e, anche grazie all'utilizzo di tecniche di ipertrofia del fegato sinistro, ci si è orientati sempre di più a fare epatectomie maggiori con la legatura portale, interventi in più tempi per bonificare tutte le zone del fegato, fondamentalmente con vasectomie maggiori, o addirittura interventi in due tempi nello stesso ricovero. Dopo il 2010 è cominciato forse un “ritorno al futuro”, cioè come si pensava all'inizio le varie epatectomie minori sono state definite “parenchimal sparing”, quindi non solo epatectomie maggiori per bonificare tantissime lesioni, nello specifico parliamo di lesioni multiple e bilaterali, perché altrimenti si sarebbe trattato di epatectomie minori.

È importante sottolineare questo concetto. Tutto questo è stato possibile negli ultimi vent'anni, ovvero fare epatectomie sempre più estese in condizioni oncologiche sempre più complicate; abbiamo sentito lo stesso argomento già per il retto, ma comunque nella malattia metastatica epatica c'è stato uno stravolgimento di quella che era la prognosi iniziale. I malati sono tantissimi, perché sappiamo che il tumore del colon retto è il più frequente in Italia insieme alle neoplasie della mammella e del polmone e che la metà di questi malati affronterà un percorso di metastasi varie. Quindi se sono 50.000 i tumori del colon retto, ogni anno ci sono 25.000 nuovi pazienti con metastasi epatiche, molti sono non resecabili, ma di questi grazie alla chemioterapia una parte può tornare a chirurgia e una parte rimane stabile.

Nel corso del tempo il panorama è completamente cambiato, se prima la sopravvivenza mediana senza trattamento era meno di un anno, oggi con la chemioterapia si può arrivare ad una sopravvivenza mediana di due anni, ma con la chirurgia e la chemioterapia si può arrivare al 40% di pazienti vivi. Parliamo ovviamente di quei pazienti che possono essere sottoposti insieme a chemioterapia e a chirurgia, ma senza chirurgia c'è una quota di pazienti che arriva comunque anche a cinque anni di sopravvivenza. La chemioterapia nel corso degli anni si è avvalsa dell’uso di nuovi trattamenti, soprattutto nel periodo più recente, permettendo di raggiungere una sopravvivenza a cinque anni straordinaria rispetto a soli 15 anni prima, quando era inferiore al 20%. Molti pazienti oggi utilizzano oltre a farmaci chemioterapici importanti anche i farmaci biologici; questi ultimi hanno cambiato radicalmente la storia della malattia migliorando la sopravvivenza media, a seconda del tipo di protocollo impiegato e a seconda della possibile personalizzazione dell’impiego dei farmaci biologici in base alla risposta determinata dal profilo molecolare individuale. La stadiazione TNM oggi non è più sufficiente a determinare il profilo di risposta del paziente oncologico. Oggi oncologia e chirurgia insieme possono permettere il 37% di sopravvivenza a cinque anni in malati inizialmente dati come non trattabili.

Il concetto del “parenchimal sparing” in una recente review è determinato proprio dal fatto che bisogna cercare di risparmiare, perché sono pazienti che non solo possono recidivare nel fegato, ma alcuni vengono operati non solo una prima volta, ma anche una seconda, una terza volta o anche più volte. Ovviamente si parla di epatectomia maggiore, che da una parte toglie il rischio di una recidiva nel parenchima sano rimosso, ma da una parte taglia i ponti per un eventuale intervento sul fegato residuo qualora la metastasi ovviamente recidivasse. Quindi è molto difficile nei pazienti che hanno lesioni piccole decidere di fare epatectomie grandi, indipendentemente dal rischio di insufficienza epatica. La conclusione di questa metanalisi è quindi un ritorno all'indietro, se volete, non vale più il concetto “grande dato, grande chirurgo, grande chirurgia epatica”, ma vale il concetto di cercare di fare una chirurgia del tutto conservativa, che è più difficile di una epatectomia maggiore. Questa chirurgia conservativa riduce il rischio di complicanze gravi postoperatorie, come l’insufficienza epatica in particolare, poiché residua una maggiore porzione di parenchima funzionante e quindi rimane una migliore possibilità di intervenire successivamente in caso di recidiva.

Quindi come si deve ragionare: è un problema tecnico. Il chirurgo epatico in base alla sede delle lesioni può snocciolare o togliere gli spicchi come se fosse un grappolo d'uva al fegato metastatico, mantenendo integre tutte le strutture anatomiche, quindi può manipolare e resecare tutti i singoli segmenti, lasciando la quota di parenchima sufficiente per la sopravvivenza. Bisogna in questa metodica mantenere sempre integri i peduncoli vascolari glissoniani afferenti al fegato, quindi la vena porta, l'arteria, i peduncoli biliari, perché ciascun grappolo ha la sua triade in entrata e in uscita. L'anatomia delle vene sovraepatiche è diversa da quella dei peduncoli glissoniani, ma il chirurgo epatico le vede con gli occhi in trasparenza e quindi ragiona sempre in modo da fare delle resezioni che possano conservare l'afflusso e il deflusso del sangue dal fegato nelle tre vene, sapendo che esistono anche delle interconnessioni che in genere va a cercare grazie all'aiuto del radiologo. Ci sono lesioni che sono piccole, ma che sono proprio sfortunate per come sono localizzate. Quindi la chirurgia “sparing” non è solo per le lesioni multiple e bilaterali che si possono facilmente escindere, ma anche per le lesioni piccole poste in modo tecnicamente difficile. Quindi anche una chirurgia minore si può definire non solo “parenchimal sparing”, ma proprio una resezione minore per una lesione singola non giustifica una grande resezione epatica a meno che non sia proprio molto mal posizionata.

 Allora per chi è questo concetto di “parenchima sparing”? Ci sono pazienti difficilmente resecabili, nei quali le lesioni sono vicino ai vasi, che sono multiple bilateralmente, che sono grosse che non si sa bene se operarli a destra o a sinistra, ma bisogna soprattutto rimuovere tutte le lesioni presenti, perché la chirurgia debulking nella chirurgia epatica non è stata ancora validata, chi l’ha proposta è dovuto tornare indietro e al massimo è stato proposto il trapianto, proprio perché il debulking, ovvero eliminare una quota di lesioni, non serve a molto, bisogna toglierle tutte. Allora quando bisogna pensare alla "parenchimal sparing": sempre in effetti, deve essere il primo pensiero. Mentre forse anni fa pensavamo di fare vasectomia maggiori, nella chirurgia delle metastasi, che siano multiple bilaterali o che siano singole, lontano dai peduncoli anche se profonde bisogna sempre pensare di fare una "parenchimal sparing".

Quindi bisogna sempre tentare una chirurgia conservativa, sempre prima di dover fare una chirurgia radicale.

In conclusione, è la chirurgia del malato con la malattia metastatica epatica, che non è un malato chirurgico ma è prima di tutto un malato medico di competenza multidisciplinare: l'oncologo medico ha bisogno del chirurgo epatico, il chirurgo ha bisogno dell'oncologo medico, ma tutti e due hanno bisogno di altri specialisti importantissimi come ovviamente il radiologo che deve seguire il paziente in tutto il suo percorso per aiutare a stabilire che tipo di chirurgia è idonea per quel paziente. È indispensabile l'anatomopatologo dedicato; devono essere tutti specialisti dedicati alle metastasi e anche l'anestesista deve essere avvezzo alla chirurgia epatica. Tutto questo renderà possibile migliorare ulteriormente i risultati.


Trascrizione dall'audio.