Prof. Luigi Valenzano

Già Primario Dermatologo Istituto Dermatologico San Gallicano, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 4, Ottobre - Dicembre 2019

Conferenza: Italia, culla della Dermatologia e Venereologia

18 giugno 2019

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Italia, culla della Dermatologia e Venereologia

L. Valenzano

Sono appena rientrato dal 24th World Congress of Dermatology, che si è brillantemente svolto dal 10 al 15 Giugno a Milano nell’avveniristica sede del MICo, sotto l'egida dell'International League of Dermatological Societies, contraddistinto dal programmatico slogan «A new ERA for Global Dermatology», e di cui intendo riferire alcuni dati inerenti al contributo italiano alla Storia della Dermatologia e Venereologia.

Questo storico evento, sempre conteso da molte metropoli, è stato realizzato per la prima volta a Parigi nel lontano 1889 e da allora viene ripetuto in diverse sedi del mondo ogni quattro anni. L’ambito incontro mancava dal nostro Paese da circa mezzo secolo: il primo infatti è stato ospitato a Roma nel 1911 e il secondo a Venezia-Padova nel 1972. Quello attuale è stato realizzato per la grande volontà e l’impegno del Prof. Giovanni Pellacani (Direttore della Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Modena), della Prof. Ketty Peris (Direttrice della Clinica Dermatologica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma), di molti loro valenti Collaboratori e di tanti altri protagonisti che hanno strenuamente operato nei diversi e complessi settori. L’assegnazione di questo importante evento proprio ad una città italiana è però merito indiscusso del compianto Prof. Sergio Chimenti (Direttore della Clinica Dermatologica dell’Università di Tor Vergata di Roma), purtroppo prematuramente scomparso e alla cui memoria perciò è stato giustamente dedicato.

Nel corso del Congresso per la prima volta sono state realizzate specifiche Sessioni esclusivamente dedicate alla Storia della Dermatologia e Venereologia (quattro realizzate da autori italiani e una da stranieri) ed un grande poster illustrativo sul contributo italiano alla storia della nostra Specialità dalla preistoria sino ai nostri giorni. Un bel traguardo se si considera che in Italia i Gruppi di Studio per la storia della Dermatologia e Venereologia sono stati istituiti solo negli ultimi quattro anni in ambito SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse) e ADOI (Associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani).

Nel complesso questo straordinario evento ha registrato un grande successo universalmente riconosciuto: oltre 15.000 partecipanti da tutto il mondo, 600 speaker internazionali, 45 temi principali, 79 simposi, 20 corsi, 44 workshop, 8 dibattiti e molto altro. Un indubbio merito e grande vanto per la città ed il Paese, che hanno potuto ancora una volta mostrare al mondo le loro migliori capacità tecnico-organizzative, scientifiche e culturali.

Ebbene, proprio durante la preparazione e realizzazione delle succitate Sessioni storiche, ho potuto constatare con piacere e stupore che l'Italia, non solo ha contribuito alla storia della nostra disciplina, ma addirittura ne è stata la culla…

In sostanza ho voluto quindi ripercorrere la lunga e complessa storia della Dermatologia e Venereologia nel nostro Paese. Lunga, perché si può presumere che sia nata nella “notte dei tempi”; complessa, perché certamente ha avuto percorsi e protagonisti sempre molto incerti e variegati, come cercherò di dimostrare in questo contesto; ho prediletto la storia perché, come dice Claude Quétel: «ciò che rivela con più efficacia una società è la storia delle sue malattie…» ed ancor più per scongiurare la sentenza di Louis Sepulveda: «un popolo senza memoria è un popolo senza futuro»;e infine proprio quella italiana,perché il suo contributo è per lo più sottovalutato e misconosciuto, sia nei pochi testi disponibili sull’argomento, sia nella cultura che nella percezione della stragrande maggioranza dei Medici.

Attualmente, l’origine della Dermatologia e Venereologia viene collocata da quasi tutti gli storici intorno alla metà dell’Ottocento e considerata un merito quasi esclusivo dei più importanti maestri dell’epoca: J. Louis Alibert (1766-1837) a Parigi, Robert Willan (1751-1818) a Londra, Ferdinand Hebra (1816-1880) e Moritz Kaposi (1837-1902) a Vienna, figure emblematiche che certamente restano gli artefici del cosiddetto “secolo d’oro della Dermatologia e Venereologia”. Senza però considerare molti eventi e personaggi del passato italico che pure hanno in diversa misura contribuito alla creazione e all’evoluzione della nostra Specialità. In effetti è particolarmente significativa la constatazione che, nell’Introduzione al fondamentale testo storico-scientifico Historical atlas of dermatology and dermatologist (Crissey JT, Parish LC, Holubar K, The Parthenon Publishing Group, New York, 2002), riguardo all’esordio della Protodermatologia, viene genericamente affermato che: «dall’Egitto dei Faraoni fino al Rinascimento, la letteratura, sia popolare che medica, è costellata da isolate descrizioni dei disturbi della pelle, dei capelli e delle unghie».  Ed ancor più incisivamente viene affermato dalla SIDeMaST nel Sommario storico della Dermatologia italiana: «è stupefacente rilevare come nel contesto di molteplici ed encomiabili iniziative editoriali dirette a riscoprire ed approfondire le origini della nostra disciplina, la dermatologia italiana occupi un posto di secondo piano, se non addirittura marginale».

Al contrario, in base a più approfondite ricerche, si può ritenere che la nascita della Dermatovenereologia sia molto più remota e il contributo ad essa del nostro Paese tutt’altro che trascurabile.

Certamente quando un primo uomo ha visto un altro uomo, ha visto in primis la sua pelle e le sue caratteristiche, valutandone il sembiante nel suo complesso ed esprimendo quindi un giudizio dermatologico. Probabilmente è nato proprio allora il primo abbozzo di quel lungo e complesso rapporto interumano che sarà poi per sempre alla base della nostra disciplina (“prima la forma, poi la funzione”), e che evolverà tra molteplici incertezze e vicissitudini nel corso di tutte le fasi storiche successive (preistoria, storia antica, medievale, moderna e contemporanea).

Volendo qui ripercorrere, seppur a grandi linee, questa nebulosa storia nazionale nel corso dei secoli, dobbiamo partire dalla constatazione che è proprio italiana la più antica testimonianza dermatologica giunta dalla Preistoria. Si tratta di Oetzi, la famosa Mummia del Similaun (VII-VI millennio a.C.), che il 19 Settembre del 1991 le nevi perenni delle Alpi Venoste ci hanno restituito miracolosamente conservata, e che oggi si può osservare nel Museo archeologico di Bolzano. In vari distretti della cute di questo importante reperto sono infatti visibili 61 artefatti, possibili esiti di diverse pratiche effettuate sulla pelle, molto verosimilmente tatuaggi o scarificazioni, a scopo decorativo, terapeutico, apotropaico, tribale o religioso. In ogni caso il reperto si può considerare una chiara rappresentazione del ruolo della pelle nei rapporti interumani fin dai tempi più remoti, fenomeno assai complesso ancora oggi oggetto di ricerche.

Nello stesso periodo, nel territorio che sarà poi chiamato Italia, vivevano molte primitive popolazioni autoctone (Messapi, Siculi, Enotri, Etruschi, Latini, Equi, Umbri…) delle quali restano diverse e significative testimonianze quali grotte, nuraghi, dolmen, altari, pitture rupestri, amuleti, strumenti e la preziosa Venere di Savignano dell’Età del Ferro (XII sec. a.C.).

È nozione comune che la Medicina è nata in Oriente, come ampiamente dimostrato da molti importanti reperti e testi (Ayurveda, Pen Ts’ao, Tao, Bibbia…). Fra questi, un’antica tavoletta sumerica del 2200 a.C., che riporta quindici prescrizioni mediche, costituendo “il più antico ricettario giunto sino a noi”; il Codice mesopotamico di Hammurabi del 1772 a.C., che indica cure per uomini e animali; ed ancor meglio i Papiri egizi di Smith e di Ebers (1600-1550 a.C.), che riportano molte nozioni e fantasiose pratiche mediche, anche cutanee e cosmetiche. Nella Bibbia, testo fondamentale dell’antica civiltà ebraica (1500-63 a.C.), la malattia ricorre molte volte, sostanzialmente considerata conseguenza della collera divina e perciò impurità (zara’at) piuttosto che patologia. Nel Levitico si contempla una connessione fra sacralità e malattia, in cui Dio rappresenta la sanità, la malattia una punizione e il medico un sacerdote che ordina l’allontanamento dei malati e la purificazione per tutti. In questo contesto, il termine λέπρα (squama) indica una punitiva e oscura alterazione cutanea che sarà per molti secoli confusa con le più diverse patologie (lebbra, elefantiasi, peste, tubercolosi, sifilide, scabbia, psoriasi etc.), provocando sempre dubbi, errori e incertezze.

Al tempo degli Etruschi (X-I sec. a.C.), cultori di una medicina magica, ma anche molto attenti a sorgenti, acquedotti, cloache e terme, erano in voga aruspici, ritualità e particolari pratiche estetiche di cui ancora ci restano sorprendenti reperti, specie strumentari, unguentari e balsamari.

Ma è soprattutto nell’antica e assai evoluta civiltà greca (776 a.C.-323 a.C.), “la grande Ellade”, a ragione considerata culla delle culture successive e nella quale la ricerca della verità significa adesione alla divinità, che si può assistere ad una vera e propria magnificazione della Medicina. A tal punto che Igea, figlia di Asclepio Dio della Medicina e sorella di Panacea Dea della guarigione, viene indicata e considerata Dea della salute e della pulizia, e in qualche modo “legislatrice delle prescrizioni igienico-sanitarie” e perciò anche Dea della prevenzione. E, nella vita quotidiana, la conservazione della salute e la cura del corpo sono considerati valori fondamentali.

Nell’Ellenismo la diffusione della cultura greca si integra con quelle dei popoli conquistati: elementi egizi, mesopotamici, iraniani, indiani importati anche attraverso la politica espansiva di Alessandro Magno (356-323 a.C.).

Massimo rappresentante di questa cultura, particolarmente interessata alla bellezza e al benessere e quindi al sapere medico, è certamente il sommo Ippocrate di Coo (460-377 a.C.), considerato padre della Medicina proprio perché “traghettatore dalla divinazione all’esperimento” e quindi fondatore di quella “Medicina ieratica o sacerdotale”, il cui influsso durerà per molti secoli. La teoria ippocratica dei quattro umori è alla base anche della personalità: sanguigna, biliare, flemmatica, malinconica o atrobiliare. A questo grande clinico si deve anche la descrizione di molte dermopatie quali erisipela, prurito vulvare, ulcere cutanee, tumori cutanei etc., considerate espressioni di inesplorabili patologie interne. Questa dirompente figura, con le sue geniali intuizioni, separa la clinica dalle credenze empiriche e religiose e pone il medico al servizio dell’uomo, come significativamente espresso dal Giuramento di Ippocrate, segnando in tal modo un netto distacco dalle culture precedenti.

Da allora infatti ha condizionato tutte le civiltà successive, soprattutto la nostra che appunto ha trovato la sua identificazione nel ricco patrimonio scientifico-artistico della Magna Graecia. Infatti, come ci ricorda Polibio (206-124 a. C) nel suo Storie, riguardo al continuum Grecia-Magna Graecia: «ciò che chiamano Italia era Magna Graecia» («Itala nam tellus Greacia major erat»).

Gli esponenti e le opere di questa nuova realtà, che si estende su quattro regioni (Sicilia, Lucania, Apulia e Campania) sono molteplici e brillanti. Un luminoso esempio è rappresentato dalle Scuole Mediche Ioniche (Crotone, Agrigento etc.) che postulano una medicina razionale ed in particolare quella di Crotone (VI-V sec. a.C.) con Califonte, Demodece ed altri, può essere considerata la prima esperienza di insegnamento della Medicina nel mondo. L’abilità dei suoi medici è confermata anche dalle parole di Erodoto (440-429 a.C.) nel suo Le storie: «i medici di Crotone sono i primi al mondo». La Scuola Medica di Agrigento interpreta la Medicina come una serie di regole di vita, indipendenti dalle tradizioni empirico-religiose. Sempre a Crotone nel 530 a.C. Pitagora (570-495 a.C.) apre la sua Scuola, definita «la migliore del mondo greco», nella quale elabora la concezione naturalistica dell’universo per cui «l’uomo è un’entità fra gli animali e Dio», e «la nascita è un’aggregazione di particelle mentre la morte è il loro dissolvimento»; addirittura per primo ipotizza l’eliocentrismo, che sarà poi confermato molti secoli dopo da Galileo. Tra le figure più emblematiche di queste Scuole spiccano Alcmeone di Crotone (V-IV sec. a.C.), che nel suo trattato Natura descrive diverse malattie cutanee in rapporto alla rottura dell'equilibrio fra quattro umori (sangue, flegma, bile gialla e bile nera); Filistione di Locri (IV sec. a.C.), che parla di respirazione attraverso i pori cutanei; Empedocle di Agrigento (492-432 a.C.), luce dell’omonima scuola, che individua quattro elementi costitutivi del corpo (acqua, aria, terra e fuoco) e che, riprendendo il concetto di Filistione, definisce la cute “succedanea dei polmoni”, ovvero che attraverso i pori cutanei possa avvenire uno scambio di particelle minutissime fra esterno e interno dell’organismo; Asclepiade di Prusa (129-40 a.C.), autore di una concezione atomistica in cui l’universo è costituito da particelle elementari invisibili (atomi) in continuo movimento e che mette in rapporto le lesioni cutanee con tre stadi (strictus, laxus e mixtus) e che raccomanda alimenti specifici, applicazioni e massaggi con sostanze dilatanti e calde; Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.), che nel De rustica parla di malattie cutanee da punture di insetti nelle zone paludose, intuendo forse la possibile penetrazione nella pelle di agenti esterni nocivi; un singolare personaggio, Areteo di Cappadocia (81-138 d.C.), descrive talune dermatosi squamose (dermatite seborroica, psoriasi etc.) e le ricollega a complesse alterazioni metaboliche, per le quali conia per primo il termine «diabete» e forse già intuisce il rapporto tra psoriasi e sindrome metabolica, ancora oggi oggetto di ricerche e discussioni.

L’ampio e prezioso sapere della Magna Grecia costituisce la base su cui la successiva civiltà romana sviluppa la sua medicina: quella privata, familiare rappresentata dal pater familias e quella pubblica, statale dei grandi personaggi storici. Fra questi, spicca certamente Giulio Cesare (100-44 a.C.) che, intuendo il valore e l'importanza dei medici di cultura e formazione greca, nel 46 a.C. concede loro l’ambita cittadinanza romana. Costruisce inoltre i Valetudinaria, ospedali per i militari reduci dalle campagne di guerra e istituisce la figura del Vulnerarius, operatore preposto specificatamente alla cura delle ferite, e quindi della pelle dei soldati, per questo forse antesignano della figura del Dermatologo.

Il sommo Augusto (63 a.C.-14 d.C.), primo Imperatore, “Pontifex maximus, Pater patriae e Praefectus morbus”, nella sua convinzione che «salus populi, suprema lex», intuisce l'importanza di regolarizzare l’esercizio della pratica medica con l’istituzione di vere e proprie Scuole Mediche. E, nella sua veste di guida politica e morale, regolamenta la prostituzione: trasferisce i lupanari (lupa=prostituta) «extra moenia» (al di fuori della città), consentendone l’apertura solo nelle ore notturne, e stabilisce che le meretrici debbono cambiare il loro nome per un doveroso rispetto all’istituzione familiare.

In quest’epoca si realizza l’importante fenomeno dell’Enciclopedismo, ovvero l’avvicinamento della civiltà ellenica a quella romana, di cui sono fulgidi esempi il De rerum natura di Lucrezio Caro (94-50 a.C.) e il De Architectura di Vitruvio Pollione (80-15 a.C.). Altre grandi figure politiche contribuiscono alla diffusione della cultura medica: Adriano fra il 117 e il 125 erige uno specifico edificio (Atheneum) per le Scuole Mediche, Alessandro Severo fra il 222 e il 235 istituisce la Cathedra teorica e pratica di insegnamento della medicina, e infine Vespasiano fra il 69 e il 79 fa costruire i suoi ben noti vespasiani per la raccolta pubblica delle urine. In questo periodo spiccano quindi importanti figure mediche: Aulo Cornelio Celso (14 a.C.-27 d.C.), la cui ampia opera medica si basa su «osservazione, esperienza e ragionamento», che realizza il De re medica, il primo trattato sistematico sulla medicina, nei cui capitoli V e VI tratta molte malattie cutanee fra cui le famose Area Celsi ed Ofiasi. È proprio lui che per primo definisce la flogosi «rubor, tumor, color et dolor», a cui poi si aggiungerà la «functio lesa» di Galeno, appellato “colosso della medicina”. Seguono Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), morto nella devastante eruzione di Pompei, definito “enciclopedista della natura”, che nella Storia naturale descrive molti fenomeni naturali e le relative implicazioni mediche ed illustra tutte le acque minerali allora note, creando il culto della balneoterapia e del termalismo, per cui è considerato un vero e proprio precursore delle scienze biologiche; Plutarco (46-125 d.C.), che nel suo Vite parallele descrive la rosacea del dittatore Lucio Silla; Claudio Galeno (131-201 d.C.), autore di 400 libri, che parla diffusamente di dermopatie, anche veneree fra cui gonorrea, ulcere genitali e tumefazioni ghiandolari e che per primo codifica quei farmaci topici che da lui prendono il nome di «galenici», ancora oggi impiegati. La sua figura è così complessa e dirompente da dividere la medicina romana in tre fasi: pregalenica (arrivo a Roma di Asclepiade nel 91 a.C.), galenica (Galeno arriva nel 162 a.C.) e post galenica. E, a proposito di farmaci, Dioscoride Pedanio (40-90 d.C.), medico militare di Nerone e capo dei Valetudinaria, scrive Materia Medica in cinque volumi, considerata la “bibbia dei farmacologi” fino alle soglie del Settecento; Scribonio Largo (I sec. d.C.) che nel famoso compendio De Medicamentorum Compositiones compone molte ricette e approfondisce varie metodiche di allestimento, fra cui la preparazione dell’olio di ricino e l’estrazione dell’oppio dal papavero.

Ma oltre ai grandi personaggi dedicati espressamente alla Medicina e alla cura del corpo, si debbono ricordare anche molti non medici: filosofi, letterati e artisti che con le loro opere e intuizioni hanno contribuito in vario modo allo sviluppo della nostra disciplina. In primis Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), definisce la cute come «specchio dell’anima» e, con la famosa frase «nihil sine cute, intus et in cute, intus ut in cute», anticipa di venti secoli l’Io-pelle del filosofo francese Didier Anzieu; Publio Ovidio Nasone (43 a.C.-17 d.C.), nell’Ars amatoria analizza diversi aspetti del rapporto sentimentale, ma anche sessuale, della coppia; nel Medicamina faciei tratta invece le pratiche cosmetologiche per l’estetica del volto; e nel suo vero capolavoro Metamorfosi espone un’ampia visione dei rapporti interumani. Anche Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.), Gaio Valerio Catullo (84-54 a.C.), Sesto Aurelio Properzio (47-15 a.C.) e Decimo Giunio Giovenale (50-127 d.C.) nelle loro opere fanno spesso riferimento alle problematiche cutanee, ma è soprattutto Marco Valerio Marziale (38-104 d.C.) che, con il suo spirito brillante e mordace, ci lascia un epigramma rivolto con molta probabilità alle patologie da HPV e alla loro peculiare infettività.

Un altro fenomeno di grande rilievo è quello del termalismo, praticato allo scopo di ripristinare efficienza e salute eliminando attraverso la pelle i nefasti umori delle malattie. Sono molte le terme urbane, ed ancor più quelle extra urbane, di cui ci restano imponenti architetture. Con il passare del tempo la frequentazione delle terme diviene, oltre che un fenomeno di igiene, cura del corpo ed estetica, sempre più un’occasione personale, sociale, commerciale, ma anche di trasgressioni e decadenza dei costumi: «Balnea, Vinum, Venus corrumpunt corpora nostra!». Tutto questo, ed ancor più l’avvento dei barbari e la diffusione del Cattolicesimo, portano alla definitiva caduta dell’Impero romano nel 476 d.C.

Il successivo Medioevo è un’epoca di ombre, in effetti sono ancora diffuse pratiche magiche, sacerdotali ed empiriche, ma anche di luci come il fenomeno del Monachesimo. La sua missione consiste fondamentalmente nella conservazione della fede, nell’accoglienza e assistenza di pellegrini e infermi e nella preziosa raccolta e trasmissione di passate culture. Tra il IV e VIII sec. molti monasteri e diverse abbazie ospitano monaci amanuensi per copiare le opere antiche e così trasmettere essenziali conoscenze mediche precedenti. In effetti il «monachus amanuensis» rappresenta un precursore fondamentale dell’invenzione stampa (1448). La medicina monastica in una visione cristiana di carità e solidarietà, viene gestita da «monachi infirmarii», ma anche da studiosi, curatori e addetti agli orti botanici, che in qualche modo annunciano l’arrivo della celebre Scuola Medica Salernitana e delle Università. Un esempio particolarmente significativo è la famosa Abbazia di Montecassino fondata nel 529 da San Benedetto da Norcia, che perciò giustamente è considerato “padre del Monachesimo” e dal 1964 anche “patrono d’Europa”.

A questo punto non bisogna certo sottovalutare il grande apporto culturale e artistico offerto dalla medicina araba e da molti suoi magnifici esponenti (Averroè e ancor più Avicenna, autore del Canon Medicinae, “summa della cultura araba”…) soprattutto nel corso degli otto secoli della loro permanenza sul suolo europeo (Spagna) e in particolare su quello siciliano (Mazara del Vallo, Noto etc.). In questo periodo uno dei cambiamenti più rivoluzionari riguarda la visione del corpo: dapprima nel Basso Medioevo (476-1000) si diffondono svalutazione e rifiuto del corpo con una conseguente ridotta attenzione alle problematiche cutanee; poi nell’Alto Medioevo (1000-1492) subentra una progressiva rivalutazione del corpo e quindi una rinascita anche dell’interesse dermatologico. Artefice, fra molti, di questa inversione di rotta è l’Imperatore Federico II di Svevia (1194-1250), «stupor mundi» che, oltre a fondare nel 1224 l’Università di Napoli, distingue e disciplina le tante pratiche empiriche e professionali, separando in primis la figura del medico da quella dello speziale. Ma ancor più epocale è il passaggio e la diversificazione della figura del filosofo-medico da quella del barbiere-chirurgo, fautore ed esecutore della terapia topica, compiendo così un ulteriore passo verso la costituzione del soggetto dermatologico.

La conoscenza e convivenza fra i popoli permette alla cultura araba (alchimia, astrologia, filosofia e medicina) di fondersi con quelle preesistenti (ebraica, greca e latina), influenzando fortemente la nascita della gloriosa Scuola Medica Salernitana. Questa prima Università di Medicina dell’Occidente, sostenuta da Federico II e sintetizzata nel Regimen Sanitatis Salerni, ha come protagonista Trotula De Ruggiero (XI sec. a.C.), “sapiens matrona e mulier sapientissima”. Questa lungimirante e poliedrica donna-medico si è particolarmente interessata alla cura della donna e del bambino, ma anche alla cosmesi nel suo De ornatu mulierum e alle malattie venere nel De passionibus mulierum. La sua attività, le brillanti intuizioni e realizzazioni, sempre condivise con colleghe e allieve, le famose Mulieres salernitanae, può perciò essere considerata un primo esempio di quella “medicina di genere”, che ancora oggi è argomento di stringente attualità ed accesi dibattiti. Costantino l’Africano (1020-1087), “luce della Scuola Salernitana”, nel suo Expellit natura in corporis exteriora,intuisce che la natura in molti casi tende a portare in superficie gli umori corrotti, perciò interpreta le dermatosi come una loro conseguenza e, come tali, possibili espressioni di malattie internistiche. Un altro importante medico di questa Scuola, Petrocello (XI sec.) nella sua Pratica Petrocelli Salernitani parla di terapia idropinica e dei suoi grandi vantaggi dermatologici.

La segregazione dei lebbrosi in ospizi isolati e vigilati, con la riduzione dei pazienti, si convertono in lazzaretti e poi in veri e propri ospedali (Padova, Roma, Napoli, Palermo etc.).

Nel XII-XIII secolo sorgono le prime Scuole di Medicina, capostipite quella di Bologna, “Alma Mater studiorum”, archetipo e stimolo per l’istituzione di tante altre Università del nostro Paese (Napoli, Padova, Pavia…), ove si istituiscono i «medici vulnerum et plagarum» dedicati alla cura di ferite e dermopatia. Figura emblematica ne è Mondino de’ Liuzzi, “principe dell’anatomia”, che nel 1316 redige il primo libro di anatomia umana. Michele Scoto (XII sec.), medico personale di Federico II, consiglia di «lavare bene se stessi e la donna prima e subito dopo il coito» per evitare temuti contagi sessuali. Ed ancor più approfonditamente Pietro da Eboli (XII sec.), con il suo monumentale De Balneis Puteolanis, lascia una pietra miliare nella storia del termalismo.

Un altro insigne esponente dell’epoca è Giovanni Michele Savonarola (1385-1468), che scrive il De balneis et thermis naturalibus omnibus italiae, per la sua vastità e completezza considerato “il più importante trattato medievale di idrologia”.

Notevole è l’apporto della coltivazione delle piante medicamentose nei cosiddetti Orti dei Semplici presso monasteri e abbazie, fra cui il più noto è quello della Scuola Medica Salernitana (XIII-XIV sec.) voluto da Matteo Silvatico che, nel suo importante Opus Pandectarum Medicinae (1526), ci ha trasmesso molte conoscenze sulle virtù medicamentose delle piante.

Nel Rinascimento o Umanesimo (XVI-XVII sec.) periodo storico innovativo e rivoluzionario, in cui vengono riammesse le libertà di indagine e di critica, la malattia non è più considerata come castigo divino ma come vera e propria patologia. Mentre nel Medioevo il rapporto medico-paziente è rivolto al principio della trascendenza (tutto ciò che va oltre la natura e l’uomo è rivolto al Creatore), nel Rinascimento prevale l’immanenza (tutto va verso l’uomo e la natura) e quindi “la scienza sostituisce la fede”. Recuperando quindi i valori del mondo classico, l’uomo viene posto a misura di ogni cosa. Michelangelo, Raffaello, Leonardo, Machiavelli e molti altri sublimano l’uomo e ne fanno un archetipo come mai avvenuto prima, attirando geni dai più diversi Paesi.

L'evento più importante di quest’epoca, ovvero la scoperta del “nuovo mondo”, coincide con quella del “nuovo morbo”, ossia la sifilide, giunta a Napoli con le truppe di Carlo VIII Re di Francia (1470-1498) e perciò chiamato “mal franzese” e poi “mal napolitano” da tutti gli altri. Da subito un autentico flagello e poi uno spinoso ed irrisolto problema per quasi cinque secoli. Il termine sifilide è merito del nostro grande Girolamo Fracastoro (1476-1553), che lo presenta nel noto poemetto Siphilis sive morbus gallicus, e che addirittura nel De contagione et contagiosis morbis afferma l'esistenza di seminaria morbi distinti in crassiora e subtiliora, ossia di piccoli organismi invisibili causa di malattie contagiose e trasmissibili da un individuo ad un altro. Con queste intuizioni e scoperte contribuisce in maniera determinante alla nascita della venereologia e della batteriologia, e quindi definito “primo venereologo e padre della batteriologia”. Anche se, a onor del vero, un primo accenno ad un “mal gallico” detto “napolitano” era già stato fatto nel 1497 dal meno noto Leoniceno Nicolò (1428-1524). Per la cura del nuovo morbo si invoca la vecchia Theriaca, preparato farmaceutico dalle supposte virtù miracolose e dalle effettive proprietà allucinogene da Mitridate in poi. Un altro classico rimedio è il famoso Legno Santo o Legno delle Antille o Guaiacum officinalis, nell’osservanza del principio ippocratico «similia similibus curantur», ossia la supposizione dell’efficacia terapeutica di una sostanza in quanto proveniente dal medesimo luogo di origine della malattia. Entusiasta sostenitore di questo alquanto discutibile rimedio è il grande Benvenuto Cellini (1500-1571), che per altro stranamente assicura di averne tratto molto beneficio. Tommaso Campailla (1668-1740) si interessa al nuovo toccasana, il mercurio, per la cui applicazione propone, oltre all’unguento mercuriale, le fumigazioni di cinabro nelle famose «Botti di Modica» (Sicilia). Rimedi non solo poco efficaci, ma addirittura dannosi, tanto da giustificare il monito: «una notte con Venere, una vita con Mercurio».

Sempre riguardo al nuovo morbo ancora oscuro, un autorevole medico Andrea Cesalpino (1509-1603) descrive minutamente le ulcere genitali e le altre molteplici manifestazioni cutanee.

La poliedrica figura di Girolamo Cardano (1501-1576) cerca persino di interpretare i caratteri umani attraverso la forma e la disposizione delle pieghe e delle rughe della fronte (la cosiddetta «metoposcopia»), ponendo così le basi della futura fisiognomica. E nello specifico tenta di rapportare il significato dei nevi alla sede di insorgenza  e alle costellazioni celesti.

Nei secoli XV-XVII si sviluppano alcune importanti conoscenze di base della Dermatologia, passando dal concetto di pelle come involucro a quello di pelle come organo. I principali artefici di questo cambiamento di prospettiva sono Giovanni Manardi, allievo di Nicolò Leoniceno, Arcangelo Piccolomini, Santorio Santorio, Giulio Casserio, Marcello Malpighi.

Giovanni Manardi (1462-1536) illustra il secolare problema della lebbra e abbozza una classifica delle malattie cutanee, suddividendole in: «a sede precisa», «a sede imprecisa», «soluzioni di continuità» e «ulcere».

A proposito della sistematica, in questo periodo compaiono molti importanti personaggi che distinguono specifici distretti, sistemi cutanei e singole patologie, partecipando in tal modo a quel processo di classificazione che si compirà compiutamente solo nei secoli successivi. Fra questi, Ulisse Aldrovandi (1522-1605) rivolge la sua attenzione alle genodermatosi, di cui studia la genesi e produce dettagliate descrizioni di molte malattie ereditarie, quali m. di Recklinghausen, feto arlecchino, ittiosi etc. nel suo Monstrorum Historia, per cui può essere considerato “il primo teratologo e fondatore della storia naturale” moderna.

Camillo Baldi (1547-1634) dedica la sua opera allo studio delle unghie e delle loro affezioni, specie in rapporto alle alterazioni cliniche generali.

Il veneziano Giovanni Marinelli (XVI sec.) è autore del primo libro di estetica e cosmetologia, dando così onore e dignità alle tante pratiche isolate e “stregonesche” fino ad allora esercitate anche da ciarlatani e furfanti.

Anche Gabriele Falloppio (1523-1562) nel suo Libelli duo, alter de ulceribus, alter de tumoribus praeter naturam, offre geniali ed acute osservazioni riguardo alla cura e cicatrizzazione delle ferite.

Un grande studioso tipico esponente della cultura rinascimentale, Girolamo Mercuriale (1530-1606), “gigante della Dermatologia”, scrive “il primo trattato di dermatologia del mondo”, De morbis cutanei et omnibus corporis humani excretionibus e, per tale apporto, viene definito «summus et eruditissimus» da un altro non meno illuminato personaggio, il grande scienziato Giovanni Battista Morgagni (1682-1771), che a sua volta per primo descrive i melanomi con l’appellativo di «tumori neri» e nel suo De sedibus distingue la patologia d’organo dalla patologia locale sempre nell’ambito della tradizionale concezione umorale.

Ludovico Settala (1552-1633), il cui nome è legato alla manzoniana peste di Milano, scrive il De naevis liber (1626), “primo trattato della storia dedicato specificatamente ai nevi”.

E arriviamo a Leonardo Da Vinci (1452-1519), “l’investigatore universale”, che, nella sua continua ricerca nei diversi ambiti della scienza, sperimenta specifici metodi e strumenti per indagare la natura.

Circa un secolo dopo il sommo Galileo Galilei (1564-1642), “padre della moderna scienza”, nel 1614 inventa l'occhialino, ovvero il primo microscopio rudimentale, che poi Severino Marco Aurelio (1580-1656) utilizza per studiare l'anatomia umana («resolutio in invisibilia»),compiendo così un primo passo verso quella che sarà l’istologia.

Tuttavia a Marcello Malpighi (1628-1694) spetta il grande onore di aver creato e approfondito l'istopatologia. Infatti il suo nome è per i dermatologi indissolubilmente legato a tante preziose scoperte e nozioni ed in particolare alla stratificazione cutanea, i cui primi due strati basale e spinoso, vengono ancora oggi nel mondo chiamati «strato malpighiano» .

Bartolomeo Buonaccorsi (1618-1656) nel De externis malis opuscolum, in quarantasei capitoli classifica le dermatosi e descrive le dermatiti vescico-bollose (varicella, impetigine etc.) con parole colorite ed efficaci: «scloppae, vulgo schioppole, sunt vesiculae quae per totum corpus spargi solent, rubicundae, humore turgentes».

Santorio Santorio da Capodistria (1561-1636) passa dalla primitiva metodica del termotatto al “primo termometro clinico” e realizza vari altri strumenti diagnostici, e perciò può essere considerato “un antesignano della dermatologia sperimentale”.

Bartolomeo Bonaccorsi con il suo De morbis externis opusculus (1656) indaga denominazioni, definizioni, cause, prognosi e cure delle malattie cutanee realizzando “un primo tentativo sistematico di diagnosi differenziale in dermatologia”.

Un rivoluzionario contributo alla storia della Dermatovenereologia ci viene dai cosiddetti “Castore e Polluce della dermatologia”. Giovanni Cosimo Bonomo (1666-1696) e Diacinto Cestoni (1637-1718) che, dopo molti secoli di incertezze e confusioni con altre diverse malattie (lebbra, psoriasi etc.), scoprono nel 1687 l’acaro responsabile della scabbia. Prontamente ne informano il loro maestro Francesco Redi (1626-1698) con una descrizione talmente approfondita ed accurata, da poter essere considerata “la prima vera comunicazione scientifica dermatologica”. A sua volta Redi è riconosciuto “padre della parassitologia sperimentale” per la sua straordinaria scoperta di «animali viventi che si trovano negli animali viventi».

Nel XVIII sec. le cere dermatologiche o «Moulages» si diffondono come indispensabili sussidi didattici perché riproducono forma, colore e spessore delle lezioni cutanee. Ercole Lelli (1702-1766 “per primo applica la ceroplastica alla medicina” che sarà ulteriormente sviluppata da Carlo Mondini, Clemente Susini e Giovan Battista Monfredini. Fra tutti questi autori, Gaetano Giulio Zumbo (1656-1701) può essere considerato “il vero maestro della ceroplastica italiana”, per il suo altissimo contributo iconografico e didattico.

È proprio di questo periodo il De morbis artificum diatriba, “il primo trattato al mondo sulla profilassi e terapia delle malattie professionali”, assai spesso proprio cutanee. Il suo autore, Bernardino Ramazzini (1633-1714), per questa innovativa opera, è considerato “il fondatore della moderna Medicina del Lavoro”.

Il famoso archiatra pontificio Giovanni Maria Lancisi (1654-1720) intuisce il coinvolgimento cardiovascolare nella sifilide e descrive «l’aneurisma gallicum», tipico delle fasi più avanzate della malattia. Questo insigne personaggio, particolarmente sensibile ai problemi sanitari della sua città, lascia una cospicua donazione per l’edificazione di un nuovo grande ospedale, l’“ospedalone” nella periferia romana «trans Tiberim»,per risolvere le incombenti necessità socio-sanitarie del popolo. Si giunge così all’evento storico-politico e socio-culturale forse più importante di tutti i precedenti, ovvero alla creazione del “primo ospedale dermatologico del mondo”, l’Ospedale di Santa Maria e San Gallicano di Roma, voluto e inaugurato dal Pontefice Benedetto XIII nel 1725. Come si evince dalla sua Bolla di fondazione, è dedicato a fini assistenziali e caritativi: «Neglectis rejectisque ab omnibus»,e particolarmente ai malati cutanei «prurigine lepra et scabiae in capite laborantibus curandis mortisque immaturae faucibus eripiendis…».

Nel primo periodo la gestione è religiosa con il primo Priore il Cardinal Corradini che ha lasciato un’importante raccolta di Regole formali, ma anche di supporti terapeutici e trattamenti cutanei molti utili e nel 1854 viene istituita la prima Cattedra di Dermopatia, finanziata dal Primario Chirurgo Nicola Corsi. Nel 1861, con la nascita dello Stato italiano, la gestione diventa laica e viene nominato un Direttore Medico. Il primo è Casimiro Manassei (1824-1893), che nel 1860 ricopre la Cattedra di Dermopatia presso il San Gallicano, poi nel 1866 si trasferisce all’Università La Sapienza di Roma e nel 1885 diventa primo Presidente della SIDES (Società Italiana di Dermatologia e Sifilografia). Del suo valente operato clinico e didattico, fa testimonianza l’importante testo Atlante di casi clinici delle malattie della pelle e sifilitiche.

Presso il San Gallicano inizia la sua carriera anche Domenico Majocchi (1849-1929), poi in Cattedra a Parma e Bologna. Successivi direttori di San Gallicano sono Gaetano Ciarrocchi (1893-1925) e Piero Angelo Meineri, particolarmente dedicati alle patologie infettive (scabbia, micosi, piodermiti etc.), specie venereologiche (Sale Celtiche), e all’allestimento di molte innovative preparazioni galeniche.

Francesco Frapolli “per primo individua la pellagra” denominandola «male della rosa» o «pellarella», da lui osservata presso l’Ospedale Maggiore di Milano, e la descrive nel suo saggio Animadversionem in morbo vulgo pellagram del 1771.

Un illuminato scienziato, Vincenzo Chiarugi, nel suo saggio Sulle malattie cutanee sordide interpreta il grande disagio dei pazienti e le difficoltà terapeutiche, tali da determinare nel 1802 l'istituzione a Firenze della “prima Cattedra di Dermatologia” («Malattie cutanee e perturbazioni intellettuali»), particolarmente dedicata a quelle affezioni cutanee e neuropsichiche che sono alla base dell’odierna psicosomatica.

Luca Stulli (1772-1928) “per primo descrive la cheratosi palmo-plantare di meleda”, una genodermatosi tipica di un’isola dell’Adriatico che allora apparteneva alla Serenissima ed in cui era nato.

A Filippo Pacini (1812-1883), Angelo Ruffini (1864-1929), Bartolomeo Golgi (1843-1926 e Nobel nel 1906) si deve “la straordinaria scoperta dei corpuscoli sensoriali” o recettori per caldo, freddo, tatto, pressione, dolore etc., confermando che la cute è organo di senso oltre che di confine.

Siamo in pieno Ottocento, “secolo d’oro della dermatologia” e delle grandi Scuole europee, già menzionate all’inizio e alle quali la nostra plurisecolare cultura dermatologica passa il testimone. Da questo momento il sapere dermatologico, sorto ed evoluto nel nostro Paese, viene ereditato, amplificato e codificato dagli scienziati del vecchio e del nuovo mondo. La dermatologia in Europa diventa disciplina autonoma, ed anche in Italia, con l’avvento dell’Unità, vengono istituite Cattedre di insegnamento della Dermatologia, assegnate ad illustri Clinici dell’epoca, quali Manassei a Roma, Gamberini a Bologna, Scarenzio a Padova, Tanturri e De Amicis a Napoli.

Nel 1866 nasce il Giornale italiano delle malattie veneree e della pelle, fondato da Gian Battista Soresina, Ispettore Sanitario e Medico Capo del Sifilocomio e del Dispensario Celtico di Milano. Questa storica rivista è da tutti riconosciuta come “il più antico periodico dermatologico del mondo”.

In questo clima di grande fervore, e in occasione dell’XI Congresso dell’Associazione Medica Italiana, nel 1885 viene fondata a Perugia la SIDES, diretta da Casimiro Manassei Presidente, Angelo Scarenzio Vicepresidente, Domenico Barduzzi e Gaetano Ciarrocchi Segretari. La stessa diventerà poi SIDEV (Società Italiana di Dermatologia e Venereologia) e infine l’attuale SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse).

Nel 1889 a Parigi, come già detto, si svolge il primo Congresso Mondiale che vede la partecipazione di alcuni eminenti dermatologi italiani fra cui Pellizzari e Ciarrocchi.

In quegli stessi anni un ricercatore molisano, Vincenzo Tiberio (1869-1915), Capitano medico della Regia Marina, pubblica Sugli estratti di alcune muffe, purtroppo solo negli Annali d'igiene sperimentale, in cui comunica la sua grande scoperta del potere battericida di alcune muffe. Si deve perciò considerare “il primo scopritore della penicillina”, paternità scientifica che, solo dopo circa mezzo secolo, sarà invece attribuita al batteriologo britannico Sir. Alexander Fleming (1881-1955), Nobel per la Medicina nel 1945.

In questi anni dilaga il “pericolo venereo”, un vero e proprio allarme per i Colleghi che si trovano a dover fronteggiare l’incremento di sifilide, blenorragia ed etc., ed opportunamente fondano i primi giornali scientifici, alcuni dei quali ancora oggi presenti. Meritano di essere ricordati: Archivio Italiano Dermatologico; Sifilografia e Venereologia; Il Dermosifilografo; Annali italiani di Dermatologia e Sifilografia; Rassegna di Dematologia; Bollettino dell’Istituto San Gallicano, oggi Esperienze Dermatologiche, organo ufficiale dell’ADOI (Associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani); Dermatologia; Cronache dell’IDI; Italian General Review of Dermatology; Dermatologia Clinica.                                                                               

Un assai significativo indice della misura del contributo italiano alla storia della Dermatovenereologia,è l’elevato numero di dermatologi italiani che danno il loro nome alle più diverse dermopatie: Majocchi, Granuloma tricofitico (1833); Pellizzari, Anetodermia maculosa (1884); Mibelli, Angiocheratoma (1889); Buzzi, Anetodermia di Schweninger-Buzzi (1889); Ducray, Ulcera molle (1890); Respighi, Porocheratosi superficiale disseminata (1893); Mibelli Porocheratosi (1893); Breda, Leishmaniosi muco-cutanea o sudamericana (1895); Majocchi, Porpora anulare teleangectasica (1898); Baccaredda, Sindrome di Baccaredda-Sezary (1937); Gianotti, Istiocitosi cefalica benigna (1971); Gianotti-Crosti, Acrodermatite papulosa infantile (1979); Crosti, Reticolo-istiocitoma del dorso dell’adulto.

Dopo secoli di empirismo, come rimedio per la sifilide, entra in commercio il «Salvarsan» (detto anche «606»). E a proposito della sperimentazione di questo innovativo medicamento carico di speranze, Domenico Barduzzi, Presidente della SIDES, nel 1910 afferma: «sembrerebbe opportuno che fin d’ora venissero fissati esattamente i criteri negli esperimenti che dovranno essere fatti, onde potersene formare un giudizio obiettivo senza prevenzione e senza esagerazioni lungi da qualsiasi preconcetto». Per tale comportamento può quindi essere considerato “un vero e proprio precursore delle moderne sperimentazioni pluricentriche”.

All’inizio del XX secolo Aldo Castellani (1874-1971) scopre il Trypanosoma gambiense nel 1902, il Trichophyton rubrum nel 1910 e la Dermatosi papulosa nigra nel 1925.

Ed altrettanto numerosi sono i dermatologi italiani che contribuiscono alla creazione di Società scientifiche internazionali: Aldo Castellani fonda nel 1959 la ISD (International Society of Dermatology) e ne è Presidente fino al 1964; Ferdinando Serri fonda la ESDR (European Society for Dermatological Research) nel 1970; Lucio Andreassi e B. R. Balda promuovono il Symposium Augustanum nel 1985 e fondano la Società Italo-Tedesca di Dermatologia; Emiliano Panconesi è co-fondatore dell’EADV (European Academy of Dermatology and Venereology) e primo presidente dal 1987 al 1989; Giorgio Landi è co-fondatore dell’EADV; Alberto Giannetti è Presidente EADV dal 2006 al 2008; Torello Lotti è Presidente della ISD dal 2009 al 2011; Torello Lotti e Derek Freedman fondano il Journal of the European Academy of Dermatology and Venereology nel 1992, Organo ufficiale dell’EADV.

Infine una così lunga e variegata storia, quale è quella della Dermatologia e Venereologia, non poteva non suscitare un forte interesse di studio e ricerca anche da parte di alcuni autori italiani. Fra questi: Thiene D., Sulla storia dei mali venerei, 1823; Breda, Storia della Dermatologia in Italia, 1878; Corradi A., Storia delle malattie veneree dal ‘400 all’800 in Italia, 1884; Bellini, Storia della Dermatologia e Venereo-sifilologia in Italia, 1934; Pistacchio, Breve storia della Dermatologia, 1997; Sidemast AA.VV., 125 anni di Dermatologia in Italia, 2011.

E fra questi, il più attuale e completo contribuito spetta certamente al Prof. Carlo Gelmetti, Direttore della Clinica Dermatologica di Milano, autore di un erudito ed esaustivo testo, Storia della Dermatologia e della Venereologia in Italia (Springer-Verlag Italia S.r.l., Milano, 2015), da cui ho potuto trarre numerosi spunti e dati e che quindi convintamente raccomando a tutti coloro che sono interessati ad approfondire la storia della nostra disciplina. E, in occasione del Congresso Mondiale di quest’anno, lo stesso autore ha pubblicato un nuovo testo in lingua inglese Dermatology and Venereology in Italy, the first XXV centuries, che certamente avrà una grande fortuna e soprattutto potrà anche essere letto in tutto il mondo.

In conclusione, questo modesto contributo è stato suggerito dall’illustre monito di Cicerone «Historia: vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis», ma anche dall’autorevole parere del filosofo positivista Auguste Compte: «Non si può conoscere a fondo una scienza, se non si conosce a fondo il suo passato».

Ed infine per ottemperare al triplice principio evangelico «Via, Veritas, Vita»: ripercorrere il cammino storico per trovare la verità, quindi rivendicare il nostro ruolo, e in tal modo indicare una lunga e prospera vita per la nostra amata Specialità.