Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 4, Ottobre - Dicembre 2019

Simposio: Infezioni ospedaliere: un problema emergente

14 maggio 2019

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Gestione infermieristica degli accessi vascolari in terapia intensiva: possiamo fare di più per la prevenzione delle infezioni?

D. Alvisini

Introduzione

Le infezioni ospedaliere sono un fattore preponderante e riguardano la quotidianità degli operatori sanitari. Sono per definizione un importante problema di sanità pubblica, non solo per le ripercussioni sul paziente, che vede impiegare risorse aggiuntive per la salvaguardia, cura e ripristino dello stato di salute, ma anche e soprattutto per quanto attiene il controllo di qualità delle prestazioni erogate dai professionisti sanitari.

I dati dell'OMS affermano che circa il 9% dei pazienti ospedalizzati in tutto il mondo presenta una infezione nosocomiale. Attraverso studi e ricerche, si è sperimentato come in particolare le Terapie Intensive siano i reparti più a rischio di contrarre tali infezioni, a causa della situazione precaria dei pazienti ricoverati nei suddetti reparti.

La prevenzione delle infezioni nosocomiali si traduce quindi nella prima battaglia da vincere, e l'infermiere gioca un ruolo fondamentale.

In questo breve intervento tratteremo i principali accessi vascolari in Terapia Intensiva, la loro gestione infermieristica, dando risalto alla "buona pratica" infermieristica nella prevenzione delle infezioni ad essi correlate.

 

Principali accessi vascolari utilizzati in Terapia Intensiva.

1. Catetere venoso centrale (CVC)

Un CVC, detto anche dispositivo per l'acceso venoso centrale, è un device medico che permette di accedere ai vasi sanguigni venosi di calibro maggiore. A seconda del tempo di permanenza in sede del catetere si distinguono CVC a breve, medio e lungo termine: un CVC a breve termine dura circa 3 settimane, uno a medio termine circa 3 mesi e uno a lungo termine rimane in sede più di 3 mesi. Il CVC, la cui punta raggiunge il terzo inferiore della vena cava superiore in prossimità della giunzione cavo-atriale, serve a somministrare in modo continuo farmaci, emoderivati, liquidi o nutrizione e di solito viene utilizzato in ambiente ospedaliero. Alcuni CVC possono essere utilizzati anche per la terapia dialitica o emodiafiltrazione veno-venosa (es. CVC di Tesio). Un'altra funzione è quella del monitoraggio emodinamico del paziente attraverso la misurazione della pressione venosa centrale, oppure attraverso gli indici derivati dall'utilizzo del sistema PICCO (Puls Contour Continuos Cariac Output). In caso di emergenza i CVC si possono utilizzare anche per prelevare campioni ematici.

Rispetto al catetere venoso periferico il CVC garantisce un accesso stabile e sicuro, attraverso cui è possibile somministrare ampi volumi di soluzioni o farmaci che richiedono un elevato flusso o soluzioni con osmolarità troppo elevata per la somministrazione periferica. La composizione del CVC è spesso di poliuretano (ma anche in silicone), biologicamente compatibile e si possono trovare con diversi lumi indipendenti (da uno fino addirittura a cinque lumi). Il calibro si misura in French (diametro esterno) o Gauge (diametro interno) e la lunghezza in centimetri. In base alle dimensioni del paziente e al tipo di vaso che viene scelto per l'inserzione la lunghezza varia (di norma 16 o 20 cm per la vena giugulare interna o la vena succlavia). Il calibro varia da 6 a 9 French nell’adulto fino a 2,7 – 5,5 French nel bambino.

2. Catetere di Swan-Ganz

Il catetere flottante polmonare, o catetere di Swan-Ganz è uno degli strumenti per il monitoraggio emodinamico invasivo più utilizzato ed accurato. Lo studio dell’emodinamica intracardiaca tramite catetere di Swan-Ganz permette il rilevamento di una serie di valori emodinamici che messi in relazione con i dati antropometrici (BSA) consentono un’analisi della funzione cardiocircolatoria finalizzata ad un prospetto diagnostico e terapeutico preciso. Il catetere di Swan-Ganz è un catetere a più lumi, molto simile al classico catetere venoso centrale (CVC), che viene inserito in vena succlavia o giugulare interna per arrivare, attraverso la vena cava superiore e le sezioni destre del cuore (atrio e ventricolo), in arteria polmonare. Uno dei lumi, il distale, viene collegato, prima dell’inserimento del catetere ad un trasduttore e al monitor oscilloscopio che permette di osservare le variazioni d’onda durante tutto il percorso che esegue il palloncino presente sulla punta del catetere sfruttando “l’effetto vela”. Una volta giunto a destinazione il palloncino viene sgonfiato e rigonfiato solo per eseguire il cosiddetto incuneamento, cioè la rilevazione della pressione di incuneamento capillare polmonare (PCWP o Wedge).

Lo studio dell’emodinamica intracardiaca include quindi il rilevamento di:

-     pressioni intracardiache;

-     volumi delle cavità cardiache;

-     resistenze intra ed extracardiache;

-     gittata.

Lo standard di catetere in uso oggi consta di 4/5 lumi:

-  Il lume prossimale di colore blu, sbocca a livello dell’atrio destro, permettendo il monitoraggio della pressione atriale destra (PVC) e la determinazione della portata cardiaca (CO) attraverso la termodiluizione

-  Il lume distale di colore giallo, viene connesso ad un trasduttore di pressione che permette il monitoraggio in arteria polmonare (PAP), la rilevazione della pressione capillare (WP wedge pressure) e il prelievo di sangue venoso misto per determinare la sua saturazione (SvO2)

-  La valvola di uscita del palloncino, di colore rosso, è dotata di una siringa per gonfiare il palloncino stesso permettendo l’occlusione di un ramo dell’arteria polmonare e determinare così la pressione di incuneamento capillare polmonare (PCWP)

-  Lume per la connessione al termistore di colore bianco o rosso, che rileva la temperatura a circa 4 cm dalla punta del catetere e concorre alla determinazione della portata cardiaca (termodiluizione secondo il metodo di Fick)

-  Lume aggiuntivo attraverso il quale è possibile infondere farmaci.

3. Monitoraggio invasivo della pressione arteriosa.

Il monitoraggio della pressione arteriosa cruenta è un sistema invasivo per tracciare e misurare in maniera diretta la pressione arteriosa. Il gold standard è rappresentato dalla cateterizzazione intra-arteriosa, che permette - attraverso il collegamento di una cannula arteriosa con un set a circuito chiuso e un sistema di trasduzione connesso a sua volta con un monitor - di visualizzare l'onda pressoria e il suo valore numerico. La cateterizzazione intra-arteriosa rappresenta il gold standard per la misurazione diretta della pressione arteriosa. La registrazione diretta della pressione cruenta è raccomandata a tutti i pazienti di Terapia Intensiva per i quali sia necessario un attento monitoraggio della PA.

Il monitoraggio invasivo della PA trova indicazione quando:

-  il paziente presenta un’emodinamica instabile, stati ipotensivi severi o potenziale instabilità improvvisa (ad esempio negli stati di shock o nei traumi maggiori)

-  bisogna valutare l’effetto di un farmaco (esempio un antipertensivo o un vasoattivo) al fine di indirizzare diagnosi e/o scelte terapeutiche

-  si riscontra necessità di valutare i valori emogasanalitici di frequente, come ad esempio nei pazienti con insufficienza respiratoria supportati da ventilazione meccanica

-  non è possibile utilizzare la metodica non invasiva per lesioni diffuse di carattere cutaneo o articolare.

Nei pazienti ricoverati in un reparto di Terapia Intensiva viene di norma utilizzato un accesso arterioso con un sistema a risparmio di sangue. Tale metodica permette di:

-       ottenere il monitoraggio della pressione arteriosa;

-       ridurre il numero delle punture di arteria per l’emogasanalisi;

-       ridurre il numero delle punture venose per esami di laboratorio.

E, di conseguenza:

-     ridurre il consumo di sangue utilizzato per il prelievo;

-     ridurre il disagio del paziente;

-     ridurre il rischio di lesioni arteriose indotte.

Le arterie più comunemente utilizzate per il monitoraggio della pressione cruenta sono l’arteria radiale come prima scelta, ma anche l’arteria femorale nei pazienti che necessitano di un monitoraggio emodinamico completo di tipo invasivo (mediante il sistema PICCO o EV1000, ad esempio) e la pedidia, utilizzata soprattutto in area pediatrica. Utilizzate meno di frequente la omerale o la ascellare.

Le metodiche per l’incannulamento arterioso sono due:

-     il metodo percutaneo (metodo di Seldinger), che prevede l’uso di una guida – Seldinger, appunto - sulla quale viene fatto scivolare il catetere stesso per poi fissarlo con punti di sutura o, meglio ancora, con sistemi di fissaggio suturless alla cute

-    il metodo chirurgico, invece, è usato molto raramente e solo nei casi in cui non sia possibile l’accesso percutaneo.

Dopo la cateterizzazione e la connessione al circuito con trasduttore, sul monitor verrà rilevata l’onda di polso che sta ad indicare l’incannulamento arterioso.

4. Cannule per emofiltrazione/ultrafiltrazione

Circa un terzo dei pazienti critici in contesti di Terapia Intensiva sviluppa insufficienza renale acuta (IRA) e il 5% richiede una terapia renale sostitutiva (RRT). L'IRA, però, non è l'unica indicazione all'utilizzo della RRT; vi sono anche, ad esempio, intossicazione/sovradosaggio di droghe o tossine dializzabili e sepsi severa. La RRT maggiormente utilizzata in terapia intensiva per i pazienti critici è costituita da tecniche continue (Continuous renal replacement therapies – CRRT).  L‘IRA è un brusco calo della funzione renale (entro le 48 ore) che si manifesta con aumento assoluto della creatinina sierica (> 0,3 mg/dL), aumento percentuale della creatinina sierica (> del 50%) e con una riduzione dell’output urinario (< 0,5 ml/Kg ogni ora per almeno 6 ore consecutive). Durante la sorveglianza e monitoraggio del paziente critico, infatti, è imperativo il controllo della quantità di urina che non dovrebbe scendere sotto 0,5 ml per ogni Kg di peso ogni ora (quindi circa 40 ml ogni ora in un adulto). La letteratura stima che circa un terzo dei pazienti critici in contesti di terapia intensiva sviluppa una IRA e che il 5% richieda una RRT. Questo significa che circa 1 paziente su 20 in Rianimazione è sottoposto a RRT. Purtroppo la mortalità per questo tipo di pazienti critici con IRA che vengono sottoposti a RRT è del 60%. Naturalmente prima di arrivare alla RRT è necessario correggere le cause quali farmaci nefrotossici, volemia e adeguata pressione arteriosa. È comune infatti che pazienti di solito ipertesi abbiano bisogno di una pressione maggiore per garantire un adeguato output urinario e che costoro, in contesti di criticità, con ipotensione riducano la funzionalità renale.

Il trattamento CRRT viene effettuato previo incannulamento della vena giugulare interna,succlavia o femorale tramite una cannula bilume veno-venosa, con lunghezza variabile in base al sito scelto per la cannulazione.

 

Gestione infermierista degli accessi vascolari: le principali attenzioni.

Lavaggio delle mani

L’igiene delle mani è una procedura sanitaria indispensabile per limitare la diffusione dei microrganismi e ridurre quindi l’incidenza delle infezioni correlate alle pratiche assistenziali; è da considerare fra le principali procedure per la prevenzione delle infezioni, e deve essere operata per evitare la trasmissione dei microrganismi nei confronti delle persone assistite, dell’ambiente che circonda le persone, degli operatori. È per questo motivo che ho deciso di trattare questo argomento come primo nella gestione infermieristica.

È finalizzata alla rimozione dello sporco e della flora microbica transitoria, che è caratterizzata da microrganismi che si raccolgono con le mani a seguito del contatto con oggetti e superfici, o durante il contatto con le persone assistite. I germi transitori e occasionali non si moltiplicano, non sopravvivono a lungo e sono facilmente eliminabili con il lavaggio, e sono i microrganismi che più frequentemente trasmettono le infezioni. La flora batterica residente invece è composta da germi normalmente presenti sulla pelle di tutte le persone, poco aggressivi e normalmente non provocano infezioni. La finalità del lavaggio delle mani è quindi quella di eliminare la flora microbica transitoria e ridurre ad un livello di accettabilità quella residente.

Le diverse metodologie per il lavaggio delle mani, sono riferite a situazioni operative differenti:

-     Lavaggio sociale:

  1. aprire il rubinetto con le mani, il gomito o il piede;
  2. bagnare uniformemente con acqua tiepida le mani e i polsi;
  3. applicare una dose di sapone sul palmo della mano e insaponare uniformemente mani e polsi con sapone liquido detergente nel dispenser apposito;
  4. dopo aver insaponato le mani per almeno 15 secondi sciacquare abbondantemente;
  5. asciugare tamponando con asciugamani monouso in tela o carta assorbente fino a eliminare l’umidità residua;
  6. chiudere il rubinetto dell’acqua con il gomito,il piede, oppure se è manuale con un lembo dell’asciugamano.

Il lavaggio sociale deve avere una durata compresa tra i 20 ed i 60 secondi.

-    Lavaggio antisettico; per eseguire correttamente il lavaggio antisettico occorre procedere come per il lavaggio sociale per le prime 2 fasi. Dopo aver bagnato uniformemente le mani e i polsi occorre:

  1. frizionare vigorosamente per 15-30 secondi i polsi, gli spazi interdigitali e i palmi di entrambe le mani con sapone antisettico;
  2. sciacquare accuratamente con acqua corrente;
  3. asciugare prima le dita e poi i polsi con salviette monouso in tela o carta assorbente;
  4. chiudere il rubinetto dell’acqua con il gomito, oppure se è manuale con un lembo dell’asciugamano utilizzato.

Il lavaggio antisettico delle mani deve avere una durata tra i 40 ed i 60 secondi.

-    Lavaggio chirurgico; il lavaggio chirurgico va eseguito con un sapone antisettico o tramite frizione con prodotti a base alcolica usando preferibilmente prodotti con attività prolungata, prima di indossare guanti sterili. Quando si esegue il lavaggio chirurgico delle mani con un sapone antisettico, strofinare mani e avambracci per la durata di tempo raccomandata dal produttore, solitamente 2-5 minuti. Non sono necessari periodi di tempo più lunghi. I ricercatori hanno trovato che l’uso di soluzioni alcoliche è efficace nel migliorare l’aderenza al protocollo e nel ridurre il rischio di infezioni nosocomiali. Tuttavia l’uso di soluzioni alcoliche non è raccomandato se le mani sono particolarmente sporche e in particolare dopo contatto con materiale organico (sangue o altri fluidi corporei). Sono invece pratiche e utili prima e dopo il contatto con il paziente.

-     Frizione alcolica; per eseguire correttamente la frizione alcolica delle mani occorre:

  1. versare 3 ml di soluzione idroalcolica nel palmo della mano scegliendo se possibile la formulazione in gel;
  2. sfregare il palmo destro sul dorso della mano sinistra con le dita intrecciate e viceversa;
  3. sfregarle palmo a palmo con le dita intrecciate;
  4. frizionare il dorso delle dita con il palmo della mano con le dita interbloccate;
  5. strofinare la punta delle dita di ogni mano contro il palmo della mano opposta;
  6. sfregare fino a completa asciugatura.

La frizione con soluzione alcolica deve avere un durata complessiva di 30-40 secondi.

 

Scelta della posizione ideale della sede dell'accesso vascolare

Nel posizionamento di un accesso vascolare, prima ancora nelle norme di gestione quotidiana, gioca un ruolo di primaria importanza la scelta della sede migliore dove posizionare quest'ultimo (ad eccezione del catetere di swan-ganz)

Quando appare indicata la posa di un accesso vascolare, appare estremamente importante considerare quelle che sono le controindicazioni alla scelta della sede della posadel CVC: sebbene la vena giugulare interna sia più facile da posizionare, il tasso di infezione appare decisamente elevato (dopo la sede femorale) e non è scevra da rischi, soprattutto pneumotorace oppure una riduzione del deflusso venoso giugulare (particolarmente importante in pazienti con trauma cranico o ipertensione endocranica). La vena succlavia appare tecnicamente più complessa ed è gravata dal rischio di sviluppare uno pneumotorace (rischio ridotto nel caso che il paziente abbia già un drenaggio pleurico in sede) e soprattutto trombosi ed occlusione venosa (rischio che appare decisamente elevato in alcuni studi). La vena femorale infine è associata ad un alto rischio di infezione e non permette al paziente di sedersi per il rischio di compressione del catetere stesso; inoltre non permette una misurazione accurata della PVC né della saturazione venosa centrale. Pertanto, una volta indicata la posa di un CVC bisogna scegliere la via migliore per la tipologia di paziente.

 

Igiene, medicazioni e fissaggio di un accesso vascolare

Igiene della cute. La contaminazione dei cateteri vascolari può derivare dai batteri residenti sulla cute del paziente che penetrano nel torrente ematico al momento dell’inserzione del catetere e/o durante la permanenza del catetere. Tale contaminazione può essere ridotta attraverso un’adeguata antisepsi della cute del paziente prima dell’inserzione del catetere e mantenendo bassa la carica microbica cutanea durante tutta la permanenza del catetere vascolare.

L’antisettico maggiormente utilizzato e raccomandato per l’antisepsi della cute è la clorexidina gluconato, che agisce denaturando la membrana dei microrganismi ed è attiva contro i germi Gram-positivi, Gram-negativi e i miceti. La clorexidina gluconato presenta un’elevata affinità per le proteine dell’epidermide, per cui è facilmente assorbita a livello dello strato corneo cutaneo, rimanendo attiva anche per molte ore dopo l’applicazione. La clorexidina gluconato è disponibile in soluzione alcolica o acquosa. La soluzione alcolica, a diverse concentrazioni, è impiegata per l’antisepsi della cute integra e delle mani degli operatori sanitari. La soluzione acquosa, unita a una soluzione detergente, è utilizzata per l’antisepsi della cute integra prima di procedure invasive. Recentemente, l’uso della clorexidina gluconato è stato esteso all’igiene quotidiana dei pazienti ricoverati nelle unità di Terapia Intensiva. Infatti, alcuni studi hanno mostrato che la decontaminazione routinaria della cute dei pazienti con salviette detergenti imbevute di clorexidina gluconato al 2% potrebbe impedire l’ingresso nel circolo ematico dei microrganismi presenti sulla cute dei pazienti attraverso i cateteri vascolari o altre soluzioni di continuo della cute.

 

Come medicare un accesso vascolare:

-     Utilizzo di guanti sterili durante la medicazione.

-    Usare una medicazione sterile, trasparente, semipermeabile in poliuretano per coprire il sito di emergenza dei cateteri intravascolari.

-    Usare una medicazione in garza sterile in pazienti con profusa sudorazione o quando il sito d’impianto è sanguinante o sede di perdite.

-    Prendere in considerazione l’uso dei feltrini a rilascio di clorexidina come strategia per ridurre le infezioni ematiche catetere-correlate.

-     Sostituire la medicazione ogni qualvolta sia sporca o bagnata o stacccata

-     Sostituire ogni 7 giorni le medicazioni trasparenti (NO valido per i pediatrici)

-     Sostituire ogni 2 giorni le medicazioni con garza sterile.

-    Ispezionare il sito di inserzione del catetere visivamente quando si sostituisce la medicazione o mediante palpazione attraverso la medicazione integra. Se il sito presenta alterazioni in associazione a febbre e altri segni clinici di infezione considerare infezione locale o sistemica correlata al catetere.

-     Non applicare pomate antimicrobiche sul sito d’impianto del catetere come misura routinaria per la gestione del catetere

 

Fissaggio di un accesso vascolare: una raccomandazione, ove possibile, è di di utilizzare sistemi di fissaggio sutureless, evitando microtraumi della cute e di conseguenza zone a rischio infettivo.

Sostituzione dei set di infusione e lavaggio dei lumi degli accessi vascolari

Tutti gli accessi vascolari devono essere irrigati con soluzione fisiologica 0,9% sterile con la tecnica flushing dopo ogni utilizzo e, in caso di inutilizzo, ogni 7 giorni. Il lavaggio ha la finalità di ridurre le occlusioni e contribuisce alla diminuzione del rischio infettivo.

Inoltre, sempre con lo scopo di ridurre il rischio infettivo, notevole importanza nella gestione degli accessi vascolari va data alla sostituzione dei det e delle linee infusionali utilizzate.

-    Infusioni continue: ogni 96 ore per il set primario, 24 ore per le vie secondarie utilizzate per infusioni intermittenti

-     Infusione di emoderivati: ogni 4 ore o comunque dopo ogni unità di sangue. Non ogni 24 ore come da vecchie linee guida

-     Infusione di nutrizione parenterale: ogni 24 ore per le all in one, ogni 12 ore per le soluzioni lipidiche

-     Infusioni di propofol: ogni 6-12 ore o ogni volta che si sostituisce la siringa

-     Monitoraggio emodinamico: ogni 96 ore

Disinfezione dei raccordi/rubinetti

La disinfezione si attua attraverso lo strofinamento (scrubbing) con disinfettante per un tempo che può variare da 5 fino a 60 secondi a seconda del prodotto utilizzato.

I disinfettanti utilizzabili per tale scopo possono essere l'alcol isopropilico 70%, gli iodofori e la clorexidina al 2% in soluzione alcolica.

 

Conclusioni

Nella gestione dei pazienti critici ricoverati presso UO intensive, e più in generale in tutte le UO, il disporre di un accesso vascolare facilita il processo assistenziale e curativo.

Questo processo pone ogni giorno all'Infermiere l'obbligo della conoscenza e della gestione di tutti gli accessi vascolari, indipendentemente dalla UO di appartenenza.

La Professione Infermieristica, in continua evoluzione, sia in termini di competenza che in termini di responsabilità, svolge un ruolo fondamentale sia nella gestione sia nell'informazione sia nell'educazione al paziente. È necessario quindi che gli infermieri siano consapevoli dell'importante ruolo ricoperto e che siano quindi preparati ad agire con appropriatezza e competenza e che, quando la conoscenza e l'aggiornamento sono insufficienti, siano pronti ad iniziare un nuovo percorso di formazione e aggiornamento. È infatti solo con l'aggiornamento continuo ed una formazione adeguata che l'Infermiere può assolvere complessivamente gli obiettivi insiti nel proprio ruolo e garantire la sicurezza del paziente.

Possiamo quindi fare di più per la prevenzione delle infezioni correlate agli accessi vascolari? La risposta è senza dubbio sì, seguendo e aggiornando i protocolli e le procedure aziendali, seguendo un aggiornamento continuo della professione, monitorando attentamente le dinamiche di reparto modificando eventuali comportamenti errati.

Fare meglio è sempre possibile, e deve essere un obbiettivo primario per tutte le figure sanitarie, dal personale medico ed infermieristico nell'esecuzione delle singole procedure, ai coordinatori responsabili indiretti del personale, delle procedure, dei protocolli e della loro esecuzione.


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