Dott.ssa Silvia Cardella

POIT-Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti, U.O.C. Chirurgia Generale e Trapianti d'Organo, Az. Osp. San Camillo-Forlanini, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 2, Aprile - Giugno 2019

ECM: Il mondo sorretto da Atlante. L’importanza delle discipline non chirurgiche nel trapianto di fegato

22 gennaio 2019

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Il paziente sottoposto a trapianto di fegato può andare incontro a chirurgia in una fase precoce e/o tardiva. Nel primo caso si annoverano gli interventi dovuti ad emorragie, complicanze vascolari e delle vie biliari. Per quanto riguarda gli interventi chirurgici in fase tardiva le cause più frequenti sono i laparoceli su sito chirurgico, patologie extraepatiche e recidive intraepatiche di HCC.

Nelle emorragie post-operatorie tre sono i parametri che devono essere maggiormente considerati: lo shock emorragico, l’alterazione dei parametri emodinamici e la presenza di materiale ematico nei drenaggi; se si presentano queste tre caratteristiche il paziente deve essere riportato in sala operatoria con urgenza per verificare la causa del sanguinamento.

La manifestazione più frequente di emorragia post-operatoria precoce è la presenza di un ematoma retroepatico o periepatico, che non in tutti i casi richiede l’intervento chirurgico urgente, eccetto ogni qual volta sia presente una trombosi arteriosa, un aumento della citolisi da compressione o una presa di contrasto dell’ematoma durante la fase arteriosa della TC con MdC, in cui l’indicazione chirurgica può essere posta anche in assenza di shock ipovolemico.

Le complicanze arteriose possono presentarsi come trombosi precoce dell’arteria (possibile indicazione a retrapianto), trombosi arteriosa tardiva e stenosi dell’arteria epatica. In questi tre casi la manifestazione clinica e la sintomatologia possono essere molto varie, passando dall’insufficienza epatica acuta alla totale assenza di sintomatologia. Pertanto è necessaria una stretta collaborazione con il radiologo, che ha il compito di diagnosticare precocemente l’eventuale presenza di complicanze arteriose.

Le complicanze biliari possono manifestarsi come stenosi a livello anastomotico o non anastomotico (colangiti ischemiche o recidive di malattia). Il trattamento, anche in questo caso, può essere di tipo conservativo (con dilatazioni o posizionamento di stent avvalendosi dell’ausilio della radiologia interventistica) o chirurgico (con riconfezionamento dell’anastomosi fino al retrapianto).

Infine, una delle complicanze precoci che può presentarsi al termine del trapianto è la large-for-size, ovvero quando il graft risulta di dimensioni troppo grandi per il ricevente. In questi casi, al termine del trapianto si ricorrerà alle tecniche dell’open abdomen, per evitare un aumento della pressione intra-addominale che può influire sulla stabilità emodinamica del paziente.

Passando alle complicanze tardive, una delle più frequenti è il laparocele post-trapianto, con un’incidenza del 20-30%. I fattori di rischio più importanti sono: la recidiva di cirrosi epatica, la presenza di ascite, l’immunosoppressione, la terapia steroidea, il sesso maschile, anamnesi positiva per diabete mellito, BMI elevato, il tipo di incisione e la tecnica di chiusura della parete addominale. Le tecniche di riparazione possono avvalersi di approccio open o laparoscopico, con l’utilizzo o meno di protesi. È stato inoltre dimostrato, che non vi è associazione tra la terapia immunosoppressiva e le infezioni e/o problemi di ferita.

Altro fondamentale problema nei pazienti trapiantati è la chirurgia tardiva extra-epatica. È stato osservato che circa il 24% dei pazienti va a chirurgia nei due anni successivi al trapianto. Nel 2015 P. Burra  evidenziava come nei 10 anni post-OLT, il 30% della mortalità è dato da patologie neoplastiche, e dopo il primo anno la patologia neoplastica costituisce la prima causa di morte nei pazienti trapiantati di fegato. È stato inoltre dimostrato come l’immunosoppressione abbia un ruolo fondamentale nello sviluppo delle neoplasie de novo post-OLT.

Infine, per quanto riguarda la chirurgia tardiva intraepatica, è stato osservato che nel 6-18% dei pazienti sottoposti a trapianto si verifica una recidiva di epatocarcinoma. In questi casi, se la malattia si ripresenta solo a livello epatico, ci si può avvalere della resezione chirurgica, dell’ablazione, della radio-embolizzazione e delle terapie loco-regionali; nel caso in cui la recidiva sia disseminata il trattamento di scelta è il Sorafenib.

In conclusione, quindi, la chirurgia precoce serve a gestire le complicanze maggiori post-OLT. La chirurgia tardiva, è possibile nei pazienti trapiantati presentando gli stessi rischi della popolazione generale. I pazienti che presentano recidive di HCC intra- o extra-epatiche sono suscettibili di resezione chirurgica.


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