Prof. Mario Antonini

POIT - Polo Ospedaliero Interaziendale Trapianti, Direttore U.O.C. Rianimazione, terapia intensiva e sub-intensiva, INMI "Lazzaro Spallanzani" IRCCS, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2018-2019

Vol. 63, n° 2, Aprile - Giugno 2019

ECM: Il mondo sorretto da Atlante. L’importanza delle discipline non chirurgiche nel trapianto di fegato

22 gennaio 2019

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Anestesia nel trapianto epatico: il problema del ritorno venoso

M. Antonini

Uno dei maggiori problemi del trapianto epatico è la corretta gestione del ritorno venoso durante le fasi cruciali dell’intervento stesso. La tecnica originale di trapianto ortotopico di fegato prevedeva la completa interruzione del flusso cavale per il posizionamento del graft con completa interruzione del ritorno venoso della vena cava inferiore. Quindi, all’inizio della trapiantologia epatica, la ricostruzione cavale prevedeva la totale interruzione della vena cava inferiore, con la sua resezione seguita dall’interposizione della vena cava inferiore del donatore: questo era il comune approccio chirurgico del passato. La tecnica comportava dei cambiamenti, soprattutto a livello dell’emodinamica renale durante la fase anepatica, dato che nelle vene renali diminuiva la pressione di perfusione renale. Per ovviare a questi problemi, oltre alla capacità dell’équipe anestesiologica, erano stati messi a punto dei sistemi di infusione rapida che servivano per contrastare la temporanea riduzione di ritorno venoso al cuore destro. Altre tecniche chirurgiche preservano il flusso della vena cava inferiore.

Con la tecnica del piggy-back e quella della anastomosi latero-laterale, i vantaggi includono il mantenimento parziale del flusso cavale durante l’epatectomia e la minor richiesta di fluidi per contrastare la riduzione del ritorno al cuore destro con miglior mantenimento della temperatura corporea e della stabilità emodinamica cardiaca. La disponibilità di differenti tecniche di ricostruzione cavale permette una varietà di opzioni, soprattutto nei casi più difficili, e la tecnica del piggy-back fu usata per primo da Calne e Williams nel 1968 per essere modificata successivamente da altri Autori. Un’altra soluzione ai problemi dovuti al cross-clamping della cava inferiore è stata la introduzione dello shunt temporaneo porto-cavale: in alcuni pazienti, infatti, uno shunt temporaneo porto-cavale può essere confezionato prima dell’epatectomia per diminuire le perdite ematiche e la congestione intestinale. Sempre Roy Calne, nel 1979, introdusse il bypass parziale cardiopolmonare per diminuire l’instabilità emodinamica durante la fase anepatica. Venne utilizzato un bypass veno-arterioso femoro-femorale con ossigenatore e una pompa peristaltica che prendeva il sangue della vena cava inferiore riportandolo nell’arteria femorale: questo otteneva la voluta stabilità cardiovascolare a costo, tuttavia, dell’eparinizzazione sistemica che causava problemi emorragici insormontabili. Successive modificazioni per evitare l’uso della eparina, rimuovendo l’ossigenatore dal circuito, portavano invece a una marcata desaturazione del flusso arterioso renale e la tecnica fu abbandonata.

Nel 1983 un cardiochirurgo di Pittsburgh, Bartley Griffith insieme a Thomas Starzl e uno dei suoi allievi Byers Shaw, introdusse un sistema di bypass veno-venoso che utilizzava una pompa centrifuga ed un circuito eparinizzato senza necessità quindi di eparinizzazione sistemica (Biopump© system). Naturalmente l’invenzione della pompa centrifuga che non aveva bisogno dell’eparinizzazione sistemica portò alla diffusione della tecnica di trapianto ortotopico di fegato in tutto il mondo, permettendo anche a chirurghi ancora non esperti di affrontare le fasi critiche dell’intervento in relativa stabilità emodinamica. Rispetto alla sua utilità, il bypass veno-venoso è associato ad alcune complicanze tromboemboliche, ad emboli gassosi ed infezioni e sieromi delle incisioni chirurgiche supplementari, mentre va considerato il costo aggiuntivo della macchina e del personale specializzato. Attualmente vi è una situazione per cui molti centri continuano ad usarlo di routine mentre altri non lo usano affatto: generalmente quando vi è una tale diversità di opinioni occorrono studi controllati per dimostrarne la validità. Di fatto tali studi non sono stati effettuati in maniera adeguata e manca quindi l’evidenza del beneficio del bypass sulle semplici tecniche occlusive.

Per la gestione corretta del ritorno venoso durante le fasi di occlusione totale o parziale della vena cava inferiore è necessario ricorrere a un monitoraggio emodinamico avanzato. Noi, nel nostro gruppo del POIT, utilizziamo la monitorizzazione con catetere polmonare di Swan-Ganz. Nonostante alcune critiche di fondo, riteniamo che questo sistema dia la maggior garanzia di completezza d’informazione durante il trapianto ortotopico di fegato. Ricordiamo che solo con catetere di Swan-Ganz si può misurare direttamente la pressione media polmonare all’induzione dell’anestesia, per evitare di trapiantare pazienti con grave ipertensione polmonare non evidenziata prima del trapianto e che si può manifestare durante il periodo di attesa in lista. Poi abbiamo una doppia misura di preload con la pressione venosa centrale e la pressione polmonare “wedge”. Con gli altri parametri di pressione media arteriosa e di gittata cardiaca si possono poi ottenere dei valori derivati, quali le resistenze periferiche ed il lavoro cardiaco. Inoltre, è importantissimo il fatto che col catetere polmonare si ottiene un’accurata misurazione continua della temperatura centrale. Da sottolineare come la pressione venosa centrale non sia una variabile indipendente rispetto alla gittata cardiaca, come erroneamente sostengono alcuni detrattori di questo monitoraggio.

Per curiosità, infine, dobbiamo ricordare il primo trapianto ortotopico di fegato in Europa che è stato effettuato in Francia: nel 1964 il chirurgo Jean Demirleau ha riportato nella “Acadèmie de Chirurgie” che il 5 febbraio 1964 è stato tentato un primo trapianto di fegato all’Hopital St. Antoine di Parigi. Il ricevente era un uomo di 75 anni con metastasi epatiche da cancro del colon e il graft era stato prelevato da un donatore di 71 anni in morte cardiaca. L’addome venne riempito di ghiaccio ed il fegato perfuso sulla “back table”. L’operazione durò in tutto 4 ore ma il paziente morì tre ore dopo, in seguito ad emorragia incontrollata da fibrinolisi.