Prof. Bruno Domenichelli

Accademico dell’Accademia Lancisiana. Specialista in Cardiologia. Già Docente alle Scuole di Specializzazione in Cardiologia delle Università di Catania, di Chieti e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Già Direttore della rivista Cardiology Science

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2017-2018

Vol. 62, n° 4, Ottobre - Dicembre 2018

Conferenza: L’arteriosclerosi nell’immaginario collettivo

15 maggio 2018

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L’arteriosclerosi nell’immaginario collettivo

B. Domenichelli

Quello dell’arteriosclerosi è un immaginario ineluttabile di corruzione del corpo e di disfacimento di quella scintilla di divina umanità che, finché le arterie cerebrali ne sono immuni, illumina il cervello e fa zampillare idee fosforescenti come fuochi d’artificio. È l’immaginario collettivo di un biblico castigo che a poco a poco spegne nella mente la musica del pensiero, avviandola fatalmente al silenzio.

Nell’immaginario della gente, l’arteriosclerosi esordisce spesso con l’incertezza di una fugace amnesia. I luoghi ben noti dell’infanzia si allontanano sempre più, così come si spegne il ricordo del nostro aspetto giovanile. I volti di esperienze che si credevano indimenticabili perdono insensibilmente i loro contorni. Disperatamente allunghi allora la mano e la ritrai vuota di ricordi. È un immaginario che si sostanzia di stranezze comportamentali, di riduzione dell’attenzione, dei mutamenti imprevedibili del carattere e di un generico ripiegamento in se stessi.

Le risonanze affettive dell’animo si spengono poco a poco, fatalmente avviate verso la china di una “sclerosi” sempre più impietosa della capacità di provare sentimenti e verso l’indifferenza emotiva. O, viceversa, è la facilità immotivata al pianto a tradire uno scarso controllo corticale o forse solo un’inconscia commiserazione di se stessi.

Arteriosclerosi è nell’immaginario popolare l’andatura che si fa di giorno in giorno più incerta; o aggirarsi smarriti nel parcheggio, alla ricerca della propria macchina.

Arteriosclerosi cerebrale: un immaginario che la gente confonde talora con quello della depressione senile o con quello più tragico dell’Alzheimer, che evoca i fantasmi del naufragio totale dell’essere. Immagini di popolazioni di neuroni cerebrali inariditi, nel deserto di un cervello senza più scintille di pensiero, con i dendriti alzati al cielo, in una resa senza condizioni, nella foresta pietrificata del nulla, che hanno peraltro il loro preciso riferimento istopatologico nel progressivo ridursi dei neuroni e dei loro dendriti.

Un immaginario che tenta di creare orgogliose barricate per non arrendersi, dedicandosi ad esempio, per rinforzare la memoria, alle parole crociate o ai lavori a maglia.

Un erotismo spento e  talvolta paradossale fa parte dell’immaginario popolare del vecchio affetto da arteriosclerosi cerebrale, assumendo talora venature di amaro umorismo, come questo paludato accademico dallo sguardo allucinato che non trova di meglio che usare come leggio le disponibili sinuosità glutee dell’avvenente fanciulla.

Ha un suo specifico immaginario anche la placca, come protervo conglomerato denso e informe di cellule degenerate e di poltiglia giallastra di colesterolo "cattivo", che apre nel roseo endotelio ferite come melagrane mature. I medici le chiamano "cellule schiumose", e l’immaginazione della gente le raffigura mentalmente come cellule che, gonfie di grassi, soccombono alla loro ingordigia di colesterolo. Un immaginario che, quando riferito alle coronarie, si confonde con quello della morte improvvisa, in agguato dietro ad ogni emozione di alcova o discussione col capoufficio.

L’immaginario dell’arteriosclerosi è soggettivo e composito. Sarà compito del medico individuarne caso per caso le specifiche componenti, come l’immaginario del colesterolo, del fumo, dell’ipertensione e dell’obesità.

 

L’immaginario del colesterolo

Colesterolo: idea platonica carica di inquietudine, che in pochi anni ha conquistato una sua solida posizione nell’immaginario popolare, idea che ognuno costruisce interiormente secondo esperienze ed elaborazioni del tutto personali, capace di innescare nella mente miscele esplosive di significati psicosomatici allarmanti.

Colesterolo: totem e tabu. Totem da esorcizzare con pallide diete vissute come purificazioni rituali. Tabu, immagini ambivalenti, piaceri proibiti della mensa e insieme evocazione interiore del senso di colpa.  Poi hanno trovato che anche il colesterolo ha una sua morale e può essere anche “buono”. Un appiglio al quale l’immaginario popolare si aggrappa alla ricerca di improbabili rassicurazioni.

Conversazioni pseudoerudite su farmaci e alimentazione si intrecciano fra i banchi del supermercato e la poltrona del barbiere.  E la pseudoscienza dei rotocalchi consuma orge sponsorizzate, oscillanti fra grassi animali e vegetali.

Colesterolo-killer. L’immagine la suggeriscono gli epidemiologi che mettono statisticamente a confronto il popolo finlandese, che occupa le lunghe notti nordiche a spalmare etti di burro sul pane e per i quali l’infarto è malattia nazionale, con i pacifici pastori e marinai dell’isola di Creta, dove le condizioni di vita sembrano garantire duratura giovinezza alle arterie.

Un immaginario che si concede però qualche vena di speranza, nella consapevolezza che una quotidiana corsa sui prati o un bicchiere di buon vino rosso possano sconfiggere il colesterolo “cattivo” e favorire quello “buono”, combattendo una nefasta pigrizia.

 

L’immaginario dell’obesità

Quello dell’obesità è un immaginario polivalente e contraddittorio, le cui radici affondano nella preistoria, nella lipidica ridondanza delle veneri steatopigie. Amuleti di fecondità, o modelli di bellezza nell’immaginario erotico dell’uomo preistorico?   Nell’attuale cultura occidentale l’immaginario collettivo dell’obesità, si carica in genere di significati negativi, anche perché ormai riconosciuta per le sue associazioni con l’arteriosclerosi. Diverso era l’immaginario dell’antica Roma, in cui, come nel Satyricon, l’esaltazione di trimalcioniane libagioni celebrava il trionfo di una crapula raffinata, elevata a sistema esistenziale da un’intera classe dirigente.

La golosità dell’obeso mostra il suo volto di allegria e socievolezza, spesso però vissuta con sentimenti di colpa e generata da compensazione ansiosa di carenze affettive o insoddisfazioni esistenziali.

"Grassezza è bellezza"  è un detto ricorrente in molte regioni italiane. Nel corso della storia, autorità e prestigio hanno spesso trovato la loro emblematica espressione in immagini di pletorica floridezza. Nel gergo della mafia il "pezzo grosso" è definito anche "omo de panza".

Un problema a parte è ancora costituito dal bambino obeso, oggetto di riti di iperalimentazione forzata da parte di genitrici nevrotiche. Le sue gote paffute sono mostrate con orgoglio dalle nonne a parenti ed amici, insieme ai rotolini di precoce adipe dei rosei sederini. Va diffondendosi comunque anche a livello popolare la consapevolezza che l’arteriosclerosi è anche problema pediatrico, dipendente da abitudini alimentari errate acquisite fin dalla prima infanzia.

Ora l’obesità, volontariamente ricercata e ostentata, è fuori moda e persiste tutt’al più in ristretti ambiti sottoculturali, anche se gli epidemiologi ci ammoniscono che il problema obesità, legato ad errate abitudini alimentari è tutt’altro che risolto.

 

L’immaginario dell’ipertensione

Quello dell’ipertensione è un immaginario relativamente più giovane ed è certamente più ansiogeno; la "nevrosi dell’iperteso" induce a snervanti misurazioni pluriquotidiane, fino a veri e propri stati di dipendenza psicologica dalla conoscenza dei propri valori pressori.

Un pericoloso circolo vizioso. È un immaginario che si esprime nelle domande che gli ipertesi fanno al loro medico, nelle fobie relative alla continua variabilità della pressione e nel timore per gli ipotetici effetti collaterali dei farmaci. L’ansia correlata all’immaginario dell’ipertensione è uno dei fattori di instabilità del regime pressorio. Tipo di personalità, stress, fattori psicologici ed ambientali di inibizione, costituiscono altrettanti fattori aggravanti del decorso dell’ipertensione e devono essere ben conosciuti da parte di un medico capace di indagarne il negativo impatto psicosomatico sull’eziopatogenesi, sulla compliance e sulla prevenzione.

 

L’immaginario del fumo

L’immaginario del fumo acquista particolare importanza anche clinica per i noti rapporti patogenetici con l’arteriosclerosi, anche se la consapevolezza da parte della gente non è ancora sufficiente per liberarsi dal fumo. Per impostare efficaci strategie di disassuefazione dal fumo, anche il medico dovrà quindi conoscere bene le psicodinamiche che sottendono all’acquisizione e al mantenimento dell’abitudine.

-        Fumo: piacere proibito maturato sui banchi del liceo, emblema di una raggiunta maturità adolescenziale, supporto rassicurante di gestualità nei primi incontri sentimentali.

-        Fumo: piacere solitario. Soffice amaca di nuvole cinerine sospesa fra cielo e terra sugli alberi della fantasia.

-        Fumo-creazione artistica: stimolante fonte di associazioni mentali, per tanti artisti, insuperato catalizzatore del pensiero.

-        Sigaretta post-prandiale fumata in poltrona: stato di grazia, momento privilegiato per ampliare i nostri spazi interiori avvelenati dall’ansia, silenziosa compagna per solitudini disperate, fittizio seno materno nei momenti difficili della vita. Ma anche spesso senso di colpa maturato nella subliminale consapevolezza di un’inconscia autodistruzione.

-        Fumo-astinenza: nervosismo, insonnia, aumento del peso corporeo.  

 

L’immaginario dell’arteriosclerosi nei medici e nei ricercatori 

Nella mente dei medici, l’immaginario dell’arteriosclerosi è meno generico e intriso di luoghi comuni rispetto a quello dei profani. Un immaginario costruito sulle basi più realistiche dei preparati istologici, del moderno imaging strumentale e del metabolismo lipidico.

 

L’immaginario dell’arteriosclerosi si apre alla speranza

Un immaginario apparentemente disperato, quello dell’arteriosclerosi, che però mostra recentemente qualche spiraglio di speranza, a voler dar credito alle ipotesi che anche l’aterosclerosi è un processo che, sotto l’urto del progresso farmacologico, non solo può essere arrestato, ma può anche regredire. Un immaginario che comincia a mostrare qualche crepa, ad esempio sull’onda delle speranze apportate dalle statine che, nell’immaginario popolare stanno assumendo a poco a poco le sembianze di Superman miniaturizzati vaganti nel circolo per fare piazza pulita delle minacciose placche o di un benefico Mastro Lindo capace di sgorgare coronarie prossime all’occlusione.

Altre crepe si aprono nel monolitico immaginario dell’arteriosclerosi sulla spinta dei recenti studi sull’importanza del metabolismo ossidativo nella fisiopatologia dell’aterosclerosi e sulle possibilità terapeutiche delle terapie antiossidanti, anche se più che un auspicabile aumento del consumo di arance e di limoni, abbiamo visto lievitare un’illusoria autoprescrizione di pillole di vitamine C ed E.

Un immaginario apparentemente ineluttabile, in quanto incardinato nella stoffa genetica stessa dell’uomo. Ma anche in questo caso, a dar retta alle più recenti ricerche della genetica, l’immaginario dell’arteriosclerosi mostra altre ottimistiche crepe, aperte dalle nuove prospettive delle terapie geniche e da avveniristici "vaccini contro l’infarto". C’è comunque chi si culla nella speranza di avere azzeccato per sorte benigna un paio di genitori geneticamente impeccabili, e di poter dire quindi che: "tanto l’arteriosclerosi è una malattia che viene agli altri, perché mia madre è morta centenaria e mio padre, a novant’anni andava ancora vittoriosamente a donne".

Fantasie di mitiche immortalità o di elisir di lunga giovinezza che l’uomo ha perseguito  finora invano nel corso di tutta la sua storia.

 

Esorcismi millenari

L’eroe mesopotamico Gilgamesc (2500 a. C.) è il primo nella storia a ricercare l’elisir di eterna giovinezza.

Un tipo particolare di "immortalità" la coltiva Ulisse, che vive perennemente alla ricerca del "nuovo" nella vita, nella tensione esistenziale di "seguir virtude e conoscenza".  Ulisse non era forse lontano dalla strada giusta. Oggi sappiamo infatti che coltivare molteplici interessi può avere benefici effetti nel conservare l’elasticità della mente anche nelle età più avanzate.

Nel Rinascimento fiorisce l’idea delle fontane della giovinezza, purtroppo mai trovate, anche se più volte fedelmente raffigurate nei quadri dell’epoca. Vi si immergevano donne vecchie e grinzose e ne uscivano lascive giovinette.

 

Un immaginario che cambia

L’immaginario popolare si è sbizzarrito alla ricerca di fantasie esorcizzanti contro l’invecchiamento, immaginario che ha molte componenti comuni a quelle dell’arteriosclerosi. Ma, anche se i tentativi sono finora falliti, perché togliere all’uomo il piacere di ascoltare il canto delle sirene dell’illusione di un prolungata giovinezza? Perché rinunciare alle esorcistiche prospettive offerte dagli elisir di lunga vita, specialmente se queste assumono ora più plausibili forme di terapie farmacologiche e soprattutto di regole di vita capaci talora di far regredire le placche?

Oltretutto, alla luce delle più recenti acquisizioni della psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI), vivere nella speranza e affrontare la vita con ottimismo e buon umore fa bene alla salute e può contribuire ad allungare la vita. E migliora comunque la qualità del vivere.

 

Il medico "cura" l’immaginario

Il medico disponibile all’ascolto e al dialogo e capace di penetrare nel vissuto di malattia, coglie spesso nel più generico immaginario collettivo dell’arteriosclerosi, aspetti specifici ed individuali, in cui si mescolano insieme, in un personalissimo collage, luoghi comuni, esperienze personali, leggende metropolitane e concrete realtà cliniche ed epidemiologiche, allo scopo di far chiarezza nelle credenze spesso ossessive del paziente e impostare così una realistica opera di prevenzione e di tranquillizzazione.

Penetrare in questo immaginario e ridimensionarne la virulenza psicosomatica è per il medico obbligo deontologico al pari della somministrazione di un antibiotico nella polmonite. Se non potrà "allungare" la vita del suo paziente, potrà così almeno renderla psicologicamente accettabile, pur nella sua ineludibile realtà.