Prof. Luigi Valenzano

Già Primario Dermatologo Istituto Dermatologico San Gallicano, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2017-2018

Vol. 62, n° 2, Aprile - Giugno 2018

Conferenza: Detergenza e Termalismo nella storia della Dermatovenereologia

06 febbraio 2018

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Detergenza e Termalismo nella storia della Dermatovenereologia

L. Valenzano

Fin dalle sue origini, l’essere umano si è sempre molto interessato ai fenomeni e agli elementi naturali come sole, acqua, clima e successivamente al modo con cui poterne fare uso, scoprendo così i benefici di bagni, grotte termali, fanghi, fumarole, solfatare etc.

Le tracce più antiche di questo rapporto fra uomo e natura erano già presenti nelle antiche civiltà assiro-babilonesi, ebraiche, indiane e cinesi etc. Per Egiziani, Greci, Fenici e molti altri sorgenti, fiumi e laghi erano considerati luoghi di culto ed in particolare le acque ritenute sacre in quanto utili, indispensabili e dotate di proprietà terapeutiche. Anche alcuni grandi fiumi quali Nilo, Giordano e Gange erano ritenuti sacri perché capaci di sanare molte malattie e gravi disagi spirituali, credenza ancora oggi diffusa fra alcuni popoli.

Presso gli Egizi l’acqua era stata identificata con la figura del Dio Sobek ed il sole con quella del Dio Ra. Le donne egiziane erano solite porre una grande attenzione alla detergenza e ai bagni ed in particolare la loro toeletta era finalizzata, non solo alla cura e igiene del corpo, alla salute e alla bellezza estetica, ma anche a scopi religiosi e funerari. La stessa regina Cleopatra sembra che ricorresse frequentemente a bagni di vapore e ai fanghi del Mar Morto.

Nell’antica Grecia il sommo Talete considerava l’acqua come archè (generatore del cosmo) e Igea, figlia di Aslepio (Dio della medicina) e sorella di Panacea (Dea della guarigione) era venerata come Dea della salute e della pulizia. La detergenza, i bagni, l’igiene e la cura del corpo erano finalizzati alla purificazione, alla fortificazione e al piacere. Tali intenti erano stati già suffragati dalle intuizioni di importanti personaggi del V sec a.C.: Alcmeone di Crotone che nel suo trattato Natura sottolineava l’utilità dell’acqua e della detersione per la conservazione della salute; Empedocle di Agrigento che aveva elaborato la teoria della «respirazione cutanea», considerando la cute «succedanea dei polmoni» e postulando quindi uno scambio di particelle minutissime (molecole gassose) fra l’esterno e l’interno dell’organismo attraverso i pori della pelle. Questo fondamentale concetto veniva poi ripreso ed ampliato da Filistione di Locri, pitagorico, discepolo di Empedocle e amico di Platone, a lungo attivo presso la corte di Dionisio II di Siracusa. Questo grande esponente della medicina magno-greca confermava che la respirazione avvenisse attraverso i pori cutanei e per questo consigliava di detergere spesso e a fondo la pelle. Certamente la più autorevole esperienza ci viene da Ippocrate, “padre della medicina”, nato e vissuto nell’Isola di Coo, nei pressi di una famosa sorgente naturale. Nel suo trattato Sulle arie, sulle acque e sui luoghi, parla chiaramente di una “materia peccans” che deve fuoriuscire dal corpo e che è bene non contrastare, bensì eliminare con ripetuti bagni e abluzioni. Galeno di Pergamo (I sec. d.C.) in alcuni dei suoi 400 libri, descriveva molte malattie cutanee. Fra queste la gonorrea o blenorragia, da lui definita «fuoriuscita di liquido seminale corrotto» e che quindi poteva giovarsi di lavaggi e frequenti irrigazioni locali. Areteo di Cappadocia (I sec. d.C.), che per primo aveva dato il nome al diabete, nel corso di questa patologia rilevava la più frequente insorgenza di molte malattie cutanee squamose e l’efficacia di accurati bagni ripetuti e prolungati.

Gli antichi Romani ben presto avevano compreso l’essenziale ruolo dell'elemento acqua nella conservazione di un’ottimale salute. Ne resta indicativo il loro più antico acquedotto, quello dell’Aqua Apia del 312 a.C., voluto dal censore Gaio Plauzio Venoce e completato da Appio Claudio Cieco, che appunto a tale opera monumentale ha dato il suo nome. Molte altre acque furono in seguito convogliate negli acquedotti romani ricorrendo a sorgenti limitrofe o anche lontane. Di questo patrimonio idrico, oltre all’indispensabile impiego domestico, era  possibile usufruire anche in luoghi dedicati come le terme. In queste strutture ci si poteva lavare, cospargere di essenze ed oli, alternare bagni bollenti a quelli gelati, effettuare saune, massaggi, esercizi fisici ed anche conversare, discutere di politiche e trattare affari, in un'atmosfera certamente rilassante e benefica. Per queste opportunità le terme erano sempre molto frequentate e particolarmente considerate sorgenti di benessere e rimedio per i più diversi mali. Nel periodo di massimo splendore, Agrippa aveva censito addirittura centosettanta terme, di cui dodici pubbliche e le altre private. Con la realizzazione di queste grandiose opere, i romani concettualmente erano riusciti a combinare il ginnasio greco con il bagno a vapore egizio e arabo, e questo modello lo avevano poi esportato in tutte le regioni dell’Impero. Un aspetto originale e importante è certamente l’apertura delle terme nel 31 a.C. anche alle donne, seppur in giorni prefissati e in locali separati da quelli degli uomini; come pure le tariffe molto basse che ne facilitavano la fruizione da parte di tutti i ceti sociali. I vantaggi del bagno ossia calore, pressione idrostatica, galleggiamento, erano ricercati per stimolare il metabolismo, l’apparato cardiovascolare, la respirazione e la sudorazione, con finalità terapeutiche, preventive e riabilitative. Plinio, Galeno e Celso per primi avevano indagato il rapporto fra le caratteristiche chimico-fisiche dell'acqua e le loro azioni terapeutiche. Emblematica la scoperta delle acque albule di Tivoli, predilette e molto frequentate anche da illustri personaggi. Virgilio ne aveva parlato nell'Eneide, Adriano e Nerone ne erano abituali frequentatori e il divo Augusto era solito recarvisi per alleviare i dolori reumatici. Livia, Ottavia e Giulia “le donne di Augusto”, curavano la loro salute e bellezza presso le terme di Agrippa in Campo Marzio. Plinio riferiva che i legionari, al ritorno dalle Campagne di Guerra, venivano obbligatoriamente inviati alle Terme sulfuree per un periodo non inferiore ai quindici giorni.

I benefici di queste terme hanno resistito nel tempo tanto che ancora oggi sono molto frequentate per la cura di neuroartropatie e numerose dermopatie quali dermatite seborroica, psoriasi ed eczemi. Fra le terme urbane, quelle di Traiano, Caracalla e Diocleziano, erano le più importanti e richieste. I romani prediligevano molto anche quelle del Golfo di Napoli, Pompei, Pozzuoli, Baia e Ischia. Nei Campi Flegrei della Campania venivano sfruttati i vapori bollenti delle sorgenti, utili per la sudorazione e la relativa eliminazione dei “cattivi umori” attraverso i pori della pelle. Plinio il Vecchio (23-79) nella suo opera Naturalis Historia, parla di «fontium plurimorum natura mira est fervore, idque etiam in iugis Alpium»,riferendosi particolarmente alle acque termali di Bormio.

 

Con il declino dell'impero romano e le vicissitudini politiche e belliche ed ancor più con la comparsa della religione cristiana e il suo rigore moralistico, le terme, ormai considerate luoghi di perdizione e lussuria, divennero un simbolo pagano da rinnegare ed ostacolare. Furono perciò abbandonate, trascurate e indifese dalle invasioni barbariche. In pratica per tutto il medioevo prevalse un vero e proprio “rifiuto del corpo” e delle sue attenzioni, poi riprese dal grande Federico II, lo “stupor mundi”. Infatti solo nei primi anni dell'alto medioevo ci fu un rinnovato interesse per le terme, che vennero perciò rivalutate e restaurate con la riscoperta di nuove sorgenti quali Montecatini, Salsomaggiore ed Abano, peraltro già conosciute nelle epoche precedenti. Anche importanti esponenti della medicina araba si sono occupati di detergenza e termalismo. Avicenna (980 – 1037), Averroè (1126 – 1198) e molti altri sono stati promotori del “bagno turco” o “hammam”, espressione della sintesi fra terme romane e tradizione ottomana. I bagnanti, seduti su marmo o pietra, avvolti da una calda nebbia, inalavano vapori decongestionanti le vie respiratorie, mentre l’aumentata sudorazione favoriva l’espulsione delle tossine. Il bagno, con le sue proprietà tonificanti e rilassanti, rendeva la pelle più morbida e liscia, leniva tensioni e dolori, migliorando così l’aspetto e l’efficienza fisica. La summa della cultura e sensibilità greca, latina, araba ed ebraica trovava la sua significativa rappresentazione nell’XI sec. in Trotula de Ruggero “sapiens matrona et mulier sapientissima”, brillante esponente della Scuola Medica Salernitana. Questa famosa donna-medico era fautrice di cure, lavande e bagni termali specie nelle donne gravide e nei bambini. Nel suo trattato De ornatu mulierum parla ampiamente di cosmesi e nel suo De passionibus mulierum addirittura di malattie veneree. Con questo poliedrico personaggio e le altre “mulieres salernitanae” si affermava il concetto che la salute delle donne fosse affidata esclusivamente a mani femminili propense alle cure estetiche e termali. Ciò forse rappresenta l’inizio di quella “medicina di genere”, oggi sempre più di stringente attualità. Un altro grande esponente della Scuola Medica salernitana è Petrocello (1035 –1050), che nella sua “Pratica petrocelli Salernitani” sosteneva i vantaggi della terapia idropinica: «Spongias in acqua frigida expressa in gutture appone…ad faciem lentiginosa, in corio capitis». Sempre nello stesso periodo, Costantino l’africano (1020 - 1087), esponente della sintesi delle culture greca, bizantina e araba, con il suo «expellit natura in corporis exteriora» intuiva che la natura in molti casi tendeva a portare in superficie gli umori corrotti. Questo antesignano della dermatologia considerava le dermopatie come manifestazioni esterne causate da umori cattivi e indicava per la loro cura lavaggi e cure topiche per purificare il corpo. E Ruggero Frugardo (seconda metà XII secolo – 1195), valente medico della Scuola di Parma, nella sua Rogerina descriveva imprecisati «umori reumatici dell’asta», nonché accennava a lupus, verruche, morfea, tigne e altre dermopatie che potevano giovarsi delle acque solforate.

Lo studio delle acque e dei galenici, in sintonia con il processo di mitizzazione della figura di Federico II di Svevia, era intento di molti saggi e naturalisti.

Fra questi spicca Pietro da Eboli (1150 – 1220), che ampiamente illustrava il Balneum Sudatorium (Agnano), il Balneum Sulphatarae e il Balneum Tripergulae e le loro relative specificità. Michele Scoto (1175 – 1232), medico di Federico II, per evitare contagi venerei, raccomandava di «lavare bene se stessi e la donna prima del coito e subito dopo». Michele Savonarola (1385 – 1468), nonno del più famoso Girolamo e molto  studioso delle Terme di Abano, scriveva De Balneis Thermis naturalibus, nel quale analizzava le caratteristiche delle acque sulfuree con tracce di calce e allume, e le loro peculiari proprietà. Pietro Curialti (XIV sec.), medico dei Visconti e docente a Padova e Bologna nel suo Liber de Balneis Burmi, descriveva le virtù terapeutiche delle acque di Bormio. Bartolomeo Montagnana (1380 – 1460), pioniere della crenoterapia, elaborò nel 1497 un significativo testo De Balneis, vera pietra miliare nel cammino del termalismo.

 

Nel Rinascimento veniva universalmente acclarato il fondamentale “concetto umorale”, secondo cui l'acqua, specie se ingerita, era in grado di contrastare ed eliminare gli umori nefasti nei più diversi distretti corporei. Questa depurazione dell'organismo serviva a migliorare i sintomi e a guarire le malattie. Forse nasceva così l’importante concetto di “medicalizzazione delle acque”, principio ancora oggi da molti discusso e non da tutti accettato.

In questi anni si scopriva il Nuovo Mondo e compariva sulla scena il “mal napolitano”, la temibile sifilide, che rapidamente si espandeva e terrorizzava tutti, suggerendo le più fantasiose terapie. Oltre a bagni e applicazioni del Legno Santo o di Guaiaco, ritenuto efficace perché proveniente dalle Antille, luogo di origine della malattia, furono introdotte le fumigazioni di Cinabro, le relative Botti di Modica e le immersioni nelle più diverse sostanze. Di fronte a questo inspiegabile ed inarrestabile morbo, Gaspar Torella (1450 – 1512) nel suo Tractatus cum consultis Pudendagram, seu morbum gallicum del 1497, si limitava a consigliare: «se il pene risulta ulcerato dopo un rapporto con una donna infetta è necessario lavarlo bene con sapone delicato». Girolamo Fracastoro (1476 – 1553), “gigante della venereologia”,celeberrimo autore del Syphilis sive morbus gallicus, nel suo De contagionibus - contagiosis morbis, eorum curatione, ne trattava approfonditamente descrivendola nei dettagli. Parlava anche di psora (scabbia, lebbra, psoriasi) e di molte altre dermopatie, soffermandosi sulle relative pratiche idropiniche, purificatrici e depurative. Un altro “gigante della dermatologia”, Girolamo Mercuriale (1530 – 1606), nel suo De arte gymnastica del 1569, illustrava i rapporti fra attività fisica e stato di salute ed ancor più nel De morbis cutaneis  del 1572, primo trattato di dermatologia nel mondo, presentava una trattazione sistematica delle malattie cutanee osservandole anche dal punto di vista estetico, cosmetico e igienico e, ancor più, nel De decoratione del 1585 forniva anche chiare note di balneoterapia e cosmetologia.

Purtroppo però si diffondevano anche pareri opposti e immotivati timori dilaganti nei confronti dell’uso delle acque stesse. Papa Gregorio VI criticava persino i bagni igienici definiti come «voluttuosi». Taluni sostenevano che l’acqua potesse infiltrarsi nella pelle e causare la debolezza dei rivestimenti corporei, che il bagno debilitasse forze e virtù del corpo e persino che le acque e le stufe diffondessero la sifilide.

Nonostante questi errori interpretativi, pregiudizi e assurdità, il cammino del termalismo procedeva spedito.

Il grande Gabriele Falloppio (1523 – 1562), oltre ad essersi occupato di anatomia, ci lasciava un importante trattato sui bagni e sulle acque termali (Montecatini). Il filosofo e scrittore francese Michel Eyquem de Montaigne (1533 – 1592), accanito viaggiatore alla ricerca di “un’acqua miracolosa” per risolvere i suoi mali, approdava più volte in Toscana ed in particolare alle Terme di Lucca, di cui era un convinto sostenitore. Un esimio medico calabrese, Giulio Iasolino (1538 – 1622), redigeva il primo trattato di idrologia medica De’ rimedi naturali che sono nell’Isola di Ischia, edito a Napoli nel 1588, in cui descriveva bagni, sudatori, arene calde e altre diverse modalità di cura con le acque. In particolare catalogava le acque termali ischitane di cui si mostrava profondo conoscitore. Santorio Santorio (1561 – 1636), riprendendo le idee di Empedocle, Filistione e Ippocrate, per cui il corpo «inspira ed espira», sosteneva la «perspiratio sensibilis et insensibilis» e quindi l’importanza di bagni caldi, sudorazione e diaforetici.

Guido Cesare Baricelli (1574 – 1638), nella sua opera in 4 volumi De hydronosa natura sive de sudore umani corporis, approfondiva la natura e la terapia della sudorazione umana.

 

Il Settecento, “secolo dei lumi”, parlava di un “principio vivificatore”, specifico per le diverse fonti termali e soprattutto non imitabile o sostituibile da preparati di altra natura. Nell’Illuminismo quindi si raccomandava un’accurata pulizia per liberare la pelle dallo sporco che poteva bloccare le funzioni superficiali, la liberazione dei pori per dinamizzare il corpo, la ripetuta  detergenza per favorire l’espulsione degli umori ed una grande attenzione ai flussi sanguigni e alla salubrità dell’aria. Da ciò derivava la ripresa dei bagni privati e termali soprattutto nelle classi più agiate. La nobiltà riscopriva così il termalismo che diveniva sempre più praticato assumendo i caratteri di un fenomeno sociale tra cura del corpo e abitudine di vita. Nascevano in quel tempo gli stabilimenti termali di San Pellegrino, Recoaro, Monte Catini e Salsomaggiore, ambiti luoghi di cura, riposo e ricreazione.

Una vera e propria “sublimazione della detergenza e del termalismo” è rappresentata dall’ambizioso progetto voluto da Benedetto XIII nel 1725 e dedicato a «neglectis rejectisque ab omnibus prvrigine lepra et scabie in capite laborantibus…». Si trattava dell’Ospedale dermosifilopatico di Santa Maria e San Gallicano, “l’ospedalone”, che fu il primo e unico nosocomio al mondo esclusivamente dedicato alle malattie della pelle ed ancora oggi molto attivo. Prima di procedere alla sua realizzazione fu scelto un idoneo terreno in Trastevere ai piedi del Gianicolo, sulla cui sommità si trovava un’importante fontana, punto di arrivo di un grande acquedotto che convogliava le salubri acque sorgive dall’agro braccianense e da altre zone limitrofe. Nel favoloso progetto, realizzato da Raguzzini, era stato previsto un abbondante flusso corrente di acqua per tutte le necessità dell’ospedale ed in particolare, attraverso una specifica canalizzazione, la distribuzione dell’acqua ad ogni singolo letto di degenza. In tal modo il paziente poteva autonomamente, oltre a fruire delle proprietà dell’acqua bevendola e lavandosi, anche liberarsi dei suoi rifiuti direttamente scaricati nelle fogne dell’adiacente Tevere. Il rigoroso regolamento dell’ospedale prevedeva, per la cura dei malati, preventivi lavaggi e prolungati bagni in idonee vasche marmoree, specifici impacchi, l’assunzione delle acque con tempi e modalità precise, nonché il loro impiego per la realizzazione di originali galenici, rimasti veri e propri monumenti terapeutici nella storia della dermatovenereologia.

Molti dei Direttori che si sono succeduti alla guida del nosocomio (Casimiro Manassei, Domenico Maiocchi, Gaetano Ciarrocchi etc.) sono stati convinti cultori e propugnatori delle terapie termali. Vincenzo Chiarugi (1759 – 1820) primo Cattedratico di Dermatologia in Italia, nel suo Saggio sulle malattie cutanee sordide (1799), affermava che le malattie croniche eruttive (tumori, ulcere, squame, croste ed altre) «deturpando la superficie del corpo, lo rendono orrifico ed abominevole» e che quindi per la loro cura potevano essere utili  detersioni, impacchi, lavaggi, abluzioni etc. Come pure dava «estrema importanza alla pulizia e alla cura dei malati cutanei…i quali dovevano usufruire di bagni caldi, freddi, medicati e di vapore». Un originale e poliedrico personaggio, Francesco Nicola Maria Andria (1747 –1814), scriveva nel 1775 il suo stimato e più volte riedito Trattato delle acque minerali, delle quali analizzava a fondo composizione e proprietà. Si tratta di un’importante opera di crenologia che costituisce un vero progresso sulla conoscenza delle proprietà e dell’uso terapeutico, diversificati per ogni singola malattia. Giuseppe Pasta (1742 – 1823), esperto di idrologia, nel suo importante lavoro Delle acque minerali del Bergamasco (1788) raccomandava l’impiego di dette acque anche per la cura delle malattie della pelle e di quelle veneree.

 

Da qui alle nuove visioni dell'Ottocento il passo risulta breve.

In questo periodo comparivano importanti pubblicazioni e trattati di igiene.

Si affermava il ruolo funzionale della detergenza e del termalismo  al fine di  assicurare o migliorare il funzionamento della pelle e dell’organismo. Ciò anche in base al diffuso “allarme microbico” secondo il quale la pelle conteneva germi nascosti e la loro trasmissione poteva avvenire per contatti diretti, soprattutto manuali. Era nozione comune infatti che il bagno riducesse il numero dei germi sulla pelle e che la detergenza annullasse l’infezione e rafforzasse gli organi, secondo la “teoria dell’ossigenazione della pelle”.

Il seppur ancor non ben definito concetto di una generica azione chimico-farmacologica delle acque, promuoveva l'idrologia a vera e propria disciplina scientifica, realizzando le indicazioni di Morgagni, Redi, Spallanzani, Galvani e di molti altri scienziati. Fra questi anche autorevoli dermovenereologi hanno contribuito efficacemente all’affermazione del Termalismo. Domenico Barduzzi (1847 - 1929), primo docente di Dermosifilopatia nel 1883 a Pisa, era un convinto assertore della necessità di una stretta vigilanza chimica e batteriologica delle acque. Cultore dell’idrologia e dell’idroterapia, divenne nel 1885 Direttore delle terme di San Giuliano. E il suo successore, Celso Pellizzari (1851 - 1925 ), anch’esso studioso di acque e radiazioni solari, fondò nel 1905 l’Istituto Fototerapico di Firenze.

Nell’Ottocento, “secolo d’oro della Dermatologia”, si affermavano in Europa i più grandi esponenti della nostra disciplina: Robert Willan (Inghilterra 1751 – 1812) che classificava le malattie cutanee, Ferdinand Von Hebra (Vienna 1816 - 1880) primo cattedratico di dermatologia nel 1848, Louis Alibert (Parigi 1768 - 1837) definito “padre della dermatologia francese…ed europea”, tutti convinti sostenitori delle pratiche della detergenza e del termalismo.

I loro allievi successori raccoglievano la preziosa eredità e proseguivano l’opera intrapresa.

 

Nel Novecento ricerche, studi e pubblicazioni nelle varie nazioni europee contribuivano ad approfondire le proprietà e i vantaggi del termalismo.

Ne è testimonianza anche l’imponente trattato La pratique dermatologique: traité de dermatologie appliquée (1900-1904) di Ernest Besnier, Louis-Anne-Jean Brocq e L. Jacquet, ancora oggi considerato “la Bibbia della dermatologia”. Sul piano pratico Broq nel suo Précis de pratique en dermatologie (1921), prescriveva ai suoi pazienti dell’Hospital Saint Louis di Parigi il lavaggio delle zone glabre con sapone e acqua piovana o bollita,1/2 bagni tiepidi per settimana, il lavaggio dei capelli ogni 2/3 settimane e la regolare frequentazione delle terme.

In Italia Maiocchi proclamava «la fine dell’illuminata empiria dei vecchi cultori delle cure idrologiche» e sosteneva ricerche sperimentali farmacologiche per definire organi bersaglio e meccanismo d’azione di tutte le acque termali.

La scoperta del fenomeno della dissociazione ionica e la comprovata presenza in talune acque di gas rari, di sostanze chimiche o di radioattività, permetteva di definire l'acqua termale un «complesso organismo vivente seppur in un equilibrio instabile».

Ormai le terme venivano concettualmente considerate presidi medici e le loro acque rimedi farmaceutici efficaci.

Marcello Comel (1902-1995), cultore e originale fautore dell’idrologia medica, parlava di terapia idrologica oligometallica ed elaborava un Saggio di Idrologia Funzionale. E su questa stessa scia poi procedevano illustri dermatologi quali Mian, Agostini, Cervadoro, Cristofolini e molti altri, ancora oggi attivi ed operanti.

Analogamente la luce solare, da sempre amata e ricercata, assumeva un ruolo strategico nella pratica talassoterapica per la cura di molte malattie cutanee e generali, rachitismo, malattie tubercolari etc., ma soprattutto per la cura della pelle.

L'immersione dell'intero corpo o delle singole zone malate (balneo-terapia) risultava indicata in molte malattie cutanee come psoriasi, eczemi ,dermatiti seborroiche e atopiche, acne rosacea, lichen planus, sindromi pruriginose, foruncolosi, micosi, orticarie, intertrigini e molte altre. 

L'acqua termale associata a radiazioni ultraviolette (balneo- foto-terapia) esercitava proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e antipruriginose, particolarmente utili nelle dermatiti in genere e negli esiti di ustioni.

I fanghi a base di argilla, raccolta nei crateri naturali o maturate in apposite vasche, per il suo calore e i meccanismi di scambio diversi a seconda delle sue componenti, si dimostravano anch’essi utili in ambito dermatologico.

 

Negli ultimi tempi, nel più ampio orizzonte di Dermatologia cosmetologica,  l'azione detergente, levigante e decongestionante di talune acque e comunque del termalismo in genere, appare sempre più indicata anche per le pelli sane al fine di un loro buon mantenimento o miglioramento. Da ciò deriva il crescente ricorso al loro uso topico sotto le più svariate forme di bagni, immersioni, idromassaggi, docce filiformi, nebulizzazioni etc.

Anche molto richiesti i fanghi termali e le maschere di argilla che applicate sulla cute si essiccano e, con la loro azione assorbente e relativa perdita di acqua, svolgono un effetto peeling meccanico e quindi un’esfoliazione dello strato corneo superficiale, utile per ottenere una nuova superficie più levigata e luminosa.

I bagni sulfurei salsobromoiodici, in grado di stimolare il microcircolo e l'attivazione della termoregolazione, favoriscono la lipolisi e quindi vengono consigliati anche per i temuti e frequenti processi lipodistrofici e cellulitici.

Il termalismo oggi, in ambito dermocosmetologico, non è più impiegato solo per la cura delle dermopatie, ma anche per il trattamento degli inestetismi e sempre più per il buon mantenimento della salute della pelle e la prevenzione del suo invecchiamento (antiaging).

 

In conclusione, dopo una lunga e gloriosa storia e le molteplici vicissitudini della detergenza e del termalismo, dobbiamo constatare che oggi al classico termalismo terapeutico, “sociale” e perciò “assistito” dallo Stato, si affianca sempre di più un “termalismo cosmetologico” o del benessere. Ciò alla ricerca di una migliorata estetica e di un globale equilibrio psicofisico, come anche recentemente è stato affermato da Gervadoro G., Strani G. e Cervadoro E. nel loro lavoro Dermatologia e termalismo, pubblicato su Il Dermatologo nel Marzo 2017.