Prof. Luigi Valenzano

Già Primario Dermatologo Istituto Dermatologico San Gallicano, Roma

Articolo pubblicato in:

Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 4, Ottobre - Dicembre 2017

Conferenza: Il melanoma nella storia e nell'arte

20 giugno 2017

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Il melanoma nella storia e nell'arte

L. Valenzano

Il melanoma cutaneo, come tutti sappiamo, è una neoplasia che affligge l'umanità fin dai tempi più antichi e che quindi costituisce ancora oggi una delle più rilevanti problematiche dermatologiche.

In effetti interessa molto i medici di qualsiasi specialità perché «il melanoma scrive il suo messaggio sulla pelle con il suo inchiostro ed è lì alla vista di tutti, ma sfortunatamente solo alcuni lo vedono e spesso non lo comprendono».

Si tratta di un tumore maligno della cute e delle mucose che origina dai melanociti presenti nello strato più profondo dell'epidermide e delle mucose e che è così denominato perché produce la melanina, il pigmento che determina il colorito della nostra pelle. I melanociti sono presenti in vari distretti del corpo e sulla pelle,  ove possono essere disposti a nido formando così agglomerati detti nevi o nei.
È noto che ogni individuo presenta in media venticinque nevi di diversa forma, colore e topografia.

Strettamente connesso al problema del melanoma è quindi la presenza e l’evoluzione dei nevi, che possono essere congeniti cioè visibili fin dalla nascita oppure apparire nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza.

Il melanoma è causato dalla trasformazione maligna dei melanociti e può comparire su un neo preesistente o più spesso su una cute apparentemente sana. Quindi in qualunque punto della pelle e delle mucose ed in entrambi i sessi: particolarmente sul tronco negli uomini e sugli arti inferiori nelle donne.

Il melanoma tende a crescere e ad espandersi, dapprima in senso orizzontale poi in quello verticale con variabile invasività e possibilità di metastasi. La sua espansione può avvenire per continuità, contiguità, via ematica, via linfatica e via nervosa.

Il melanoma, come tutti i fenomeni oncologici, è talmente legato all'ineluttabilità della biologia umana da poter presumere che fosse già presente nei tempi più antichi o addirittura sorto sin dalla comparsa dei primi uomini.

Il fenomeno oncologico, secondo gli studi e le ricerche più recenti della paleoncologia, è probabilmente presente in numerosi reperti archeologici.
Ne troviamo conferma ad esempio nella straordinaria mummia restituitaci dalle nevi perenni, il celeberrimo Oetzi o Uomo di Similaun risalente a 7000 anni orsono: sulla sua superficie cutanea sono infatti osservabili alterazioni patologiche riconducibili ad un danno neoplastico.

Altri reperti ci vengono dagli antichi Egizi tramite i papiri di Kahun del 1850 a.C. e quelli di Ebers del 1550 a.C.

Ma la testimonianza più importante ce la fornisce Ippocrate di Kos (460-377 a.C.), il padre della medicina, quando solennemente affermava che «quello che i farmaci non possono curare lo cura il bisturi; quello che il bisturi non può curare, lo cura il cauterio; quello che non può curare il cauterio è da considerarsi incurabile». Chiara allusione al fenomeno neoplastico e alle sue fatali conseguenze.

Tale concetto è poi ripreso da Rufo di Efeso (I – II sec. d.C.) e ancor più da Cornelio Celso (14 a.C. – 37 d.C.) con la sua spaventosa affermazione che «alcuni medici ricorrono a sostanze corrosive, altri bruciano e altri ancora impugnano il bisturi. Tuttavia le sostanze corrosive non hanno mai dato alcun risultato positivo, mentre le bruciature servono solo ad attivare il tumore e a farlo crescere più rapidamente…infine anche tagliandolo, esso ricompare una volta formatasi la cicatrice…».

Per primo Galeno di Pergamo (129-199 d.C.) parla di carcinoma definendolo «malattia che si caratterizza con ingrossamento, una protuberanza il cui nome deriva dalla somiglianza che le vene gonfiate dal tumore hanno con le zampe del granchio».

Ce ne parlano anche gli antichi medici arabi, in primis Avicenna (980 – 1037 d.C.) e poi in pieno medioevo Trotula De Ruggiero (XI sec. d.C.), la donna medico della Scuola Medica Salernitana che tanto si è occupata della pelle dei bambini e delle donne.

La prova scientifica più importante però è certamente la scoperta di nove mummie Incas precolombiane (7 a Chancay e 2 a Chongos), avvenuta in Perù nel 1940: tali reperti presentano lisi ossea, pigmentazioni melaniche e metastasi diffuse.

Successivamente Giovan Battista Morgagni (1682-1771) per primo ha parlato di tumori neri, e John Hunter (1728-1793) di metastasi. Il tumore da lui asportato ed opportunamente conservato nel Museo Hunter-R. College of Surgeons of England a Londra, ha permesso un suo riesame nel 1968 con la conferma istopatologica di metastasi melanocitarie.

Nel 1806 il grande dermatologo francese René Laennec (1771-1826) presenta alla Facoltà di Medicina di Parigi la cosiddetta melanosi (dal greco melas, cioè  nero), descrivendone le relative metastasi mediastiniche.

Nel 1834 il famoso Guillaume Dupuytren (1777-1835) descrive un suo cancro nero, quasi in opposizione con quanto aveva detto il rivale Laennec.

Spetta poi al grande dermatologo francese Jean-Louis Alibert (1768-1837) il merito di aver descritto i due aspetti di cancro antracite e di cancro melanico in quella sua fondamentale opera «Nosologie naturelle ou les maladies du corps humain distribuees par familles». Il brillante clinico precisa che «il cancro antracite si manifesta con una chiazza molto nera…molto intensa al centro, meno sui bordi…rilevata sulla pelle e granuleggiante…recidiva dopo l’asportazione anche radicale e in breve porta alla morte».

Descrive il cancro melanico in un’inferma di quarantacinque anni con metastasi partite da un piccolo tumore nero piriforme del suo piede, concludendo che si tratta di «una delle più spaventose degenerazioni che si possa osservare negli ospedali».

Indubitabilmente il merito del termine melanoma tocca invece all’inglese Robert Carswell (1793-1857), che ne parla nella sua enciclopedica opera «Pathological Anatomy: Illustrations of the elementary forms of disease» del 1838.

Sir James Paget (1814-1899) nell’Ospedale St. Bartholomew’s di Londra studia nel 1853 le modalità di crescita del tumore in venticinque pazienti e brillantemente ne descrive il passaggio dalla fase orizzontale a quella verticale.

Sarà poi il celebre Jonathan Hutchinson (1828-1913) nel 1857 a riconoscere il melanoma in un patereccio dell’alluce, definendolo «patereccio melanotico subungueale» ed il relativo ben noto segno di Hutchinson, ancor oggi ritenuti validi indici semeiologici.

Alla fine del XIX secolo arriva anche la soluzione chirurgica proposta da Herbert Snow (1847-1930). Questo esperto chirurgo raccomanda nel 1899 l'asportazione completa del tumore e la ganglionectomia preventiva.  Lapidaria la sua frase «It is essential to remove, whenever possible, those lymph glands which first receive the infective protoplasm».

William Sampson Handley (1872-1962) accerta la disseminazione linfatica centrifuga del melanoma. A lui spetta anche il merito di aver elaborato dettagliate regole chirurgiche che hanno stabilito un modulo comportamentale valido per i successivi cinquant’anni ed oltre. In particolare ha illustrato la possibilità di regressione spontanea del melanoma ed ha posto l’accento sull’indispensabilità di un’asportazione più ampia e radicale possibile e di un’accurata linfoadenectomia.

E arriviamo così al ventesimo secolo, con la pubblicazione della «La Pratique Dermatologique», monumentale opera in quattro volumi a cui hanno contribuito numerosi personaggi, entrati così di diritto nella storia della Dermatovenereologia. In questo testo si afferma la possibile concomitanza casuale del tumore con traumi di varia natura, il suo tipico progressivo aumento di crescita e consistenza, la frequente possibilità di recidive e diffusione anche dopo un intervento chirurgico, e purtroppo un esito assai spesso fatale.

Nel 1912 William Dubreuilh (1857-1935) descrive trentacinque casi da lui raccolti e studiati, di quella che definisce melanosi circoscritta preblastomatosa e che è passata alla storia come la melanosi di Dubreuilh.

Da quel momento in poi si scatena in tutto il mondo scientifico la ricerca delle cause e concause sui più diversi fronti.

Nello specifico Jean Darier (1859-1938) studia il rapporto tra la malattia melanocitaria equina e il melanoma maligno mesenchimatosomelanosarcoma.

Siamo quindi giunti ai nostri giorni. Nel 1956 un brillante dermatologo e matematico, Henry Oliver Lancaster (1913-2001) scopre l’essenziale rapporto fra l'insorgenza del melanoma, la latitudine geografica e l'intensità della luce solare. Ed ancor più, assieme con Nelson, nel 1957 passa alla descrizione del collegamento assai importante tra fototipo cutaneo e comparsa del melanoma.

Il grande dermopatologo americano Wallace Clarck (1924-1997) descrive cinque livelli di invasione sostenendo che l'istologia costituisce il miglior criterio prognostico del melanoma. Afferma poi che solo il 9,6% dei melanomi insorgono su nevi preesistenti, confutando così antichi pregiudizi e timori.

Nel 1970 il dermopatologo Alexander Breslow (1928-1980) propone come criterio prognostico del melanoma la dimensione e il livello di invasione. Si stabilisce così il cosiddetto indice di Breslow, che indica lo spessore verticale totale del melanoma e che costituisce un criterio diagnostico sotto certi aspetti ancor oggi valido.

Una così ampia e spaventosa problematica, con le sue drammatiche implicazioni individuali e sociali, non poteva certo lasciare indifferente il mondo artistico.

La storia infatti ci ha lasciato molte opere che ce ne parlano ampiamente e che qui sarebbe impossibile descrivere tutte. Certamente quella più significativa, è quella descritta dal grande Francisco de Goya, che ci racconta la triste storia di una bambina offerta a Napoleone per giochi di potere e che peraltro è stata poi da lui respinta.
La celebre opera qui riportata (Fig. 1) rappresenta la famiglia del Re di Spagna Carlo IV e di sua moglie Maria Luisa, riuniti al completo per decidere di dare in sposa la loro figlia tredicenne (che qui vediamo quasi rifugiata sotto il braccio della madre) all’imperante Napoleone Bonaparte, previo divorzio da sua moglie Giuseppina.

Lo scopo era quello di ingraziarsi il monarca francese attraverso un’alleanza che avrebbe così indebolito quella tra il Portogallo e la Gran Bretagna, principale obiettivo delle mire politiche napoleoniche.

In tale delicatissimo momento tra i visi tesi e sbigottiti, spicca quello di un’anziana parente con una strana macchia nera sulla tempia destra (Fig. 2).
Evidentemente si trattava di un melanoma che purtroppo avrebbe in breve portato la poveretta alla morte.

 

                Fig. 2: Dettaglio

 

 

Fig. 1: F. de Goya y Lucientes, La famiglia di Carlo IV, 1800, Museo Prado, Madrid

 

In conclusione, questa lunga e drammatica storia del melanoma è ancora aperta. Infatti i riflettori della ricerca e della sperimentazione restano a tutt’oggi accesi in molteplici direzioni, con approcci sempre più interdisciplinari, nel tentativo di individuare cause e concause ed ancor più nuove risorse terapeutiche, auspicabilmente risolutive.

 


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