Anno Accademico 2016-2017

Vol. 61, n° 4, Ottobre - Dicembre 2017

Simposio: Le Ipertensioni Arteriose Secondarie. Focus Sull’ipertensione Reno-Vascolare e da Glicocorticoidi

13 giugno 2017

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L’Ipertensione Reno-Vascolare: sempre più spesso presente e diagnosticata

C. Di Veroli

INTRODUZIONE - Tra ipertensione e rene esiste un reciproco rapporto di causa-effetto. Infatti, il rene può essere "vittima" o complicanza di una ipertensione arteriosa, come evidenziano gli studi su popolazione. Questi dimostrano con certezza come negli ultimi 25-30 anni l’ipertensione abbia determinato un aumento del 28-30% di ESRD (End-Stage Renal Disease), tra le cui cause non sono escluse le stenosi aterosclerotiche (placche) più o meno ostruenti a livello dell’arteria renale e/o delle sue diramazioni. Il rene d’altra parte può essere "colpevole" o causa di uno stato ipertensivo, come quando la malattia reno-vascolare è fortemente impegnata a determinare una patologia dei vasi arteriosi renali e/o parenchimali con incremento dei valori pressori. In questo caso l’ipertensione viene  considerata un sintomo o secondaria al danno renale.

       Si identificano così due quadri clinici che sono aspetti della malattia reno-vascolare:

  • L’ipertensione reno-vascolare, che è una ipertensione arteriosa secondaria dovuta ad una stenosi di oltre il 45-50% funzionalmente valida mono- o bi-laterale dell’arteria renale o dei suoi rami. Può essere modificata in senso migliorativo con diverse metodiche con la possibilità di una guarigione. Tuttavia, è sempre importante tener presente che anche se sembra chiara la sua fisiopatologia, rimangono dubbi sulla prevalenza, sulla storia naturale, sulla diagnosi e sulla terapia più appropriata.
  • L’ischemia renale, caratterizzata da profonde alterazioni della funzione renale, perché è secondaria ad importanti stenosi extra-renali ed intra-renali aterosclerotiche da cui consegue un cronico effetto ischemico nel rene o nei reni con una grave e protratta ipo-perfusione, sino alla più completa insufficienza.

 

IPERTENSIONE RENO-VASCOLARE - L'incidenza di questo tipo di ipertensione secondaria sta crescendo, sia per incremento di diagnosi, sia per aumento di età della popolazione. Tra tutte le forme di ipertensione raggiunge il 4-5% e la lesione renale non è modificabile nell’1% circa dei soggetti. Nella  casistica  dei  «Centri Specializzati»  la prevalenza è alta; occorre però ricordare che la popolazione  afferente a tali strutture è nei fatti selezionata, tanto che nei soggetti con aterosclerosi poli-distrettuale può arrivare anche al 30-40%. Nel nostro «Centro» si attesta intorno al 7-8%  tra i soggetti ipertesi che si presentano.

       Le forme di ipertensione reno-vascolare più frequenti possono essere distinte sulla base del tipo di stenosi, nella displasia fibro-muscolare (frequenza del 15-30%) e nella forma aterosclerotica (frequenza dell’80-85%), spesso poli-distrettuale e che può essere in relazione, come già detto, con uno stato di ipertensione di vecchia data e/o con la presenza di altri fattori di rischio cardiovascolari.

       Si riscontrano pure altre forme percentualmente più rare, come nel caso del rigetto di un trapianto renale, di neurofibromatosi (bambini), di una  terapia radiante nell’addome, in presenza di anticorpi antifosfolipidi, come effetto di molte arteriti, di alcune lesioni estrinseche, in corso di embolismi, ecc. In particolare, le arteriopatie rare, oltre ad interessare uno o entrambe le arterie renali, spesso colpiscono anche altre sedi arteriose. Meritano come esempio di essere ricordate:

  • La malattia di Moya Moya o malattia di Nishimoto (Moya Moya: significa fumo di sigaretta che si innalza nell’aria, che caratterizza un’aspetto denso e fine della rete capillare alla base del cervello). La stenosi dell’arteria renale è associata ad alterazioni della circolazione cerebrale (trombosi con stenosi bilaterali nel sifone carotideo e/o nelle arterie intracraniche con circoli collaterali). Si tratta di una rara variante della displasia fibro-muscolare con una predominanza nel bambino (Shoskes DA et al, 1995) e nelle giovani ragazze.
  • L’arterite di Takayasu. Si tratta di un’arterite sistemica con infiltrati flogistici che, oltre ad una stenosi dell’arteria renale, possono determinare stenosi a livello aortico e alle sue principali diramazioni. In clinica si evidenziano soffi vascolari in diversi distretti arteriosi, ma spesso con assenza del polso radiale.

       Abbiamo ricordato le alterazioni più frequenti che caratterizzano l’ipertensione reno-vascolare, ma esistono, specialmente nella forma displasica, degli aspetti morfologici che definiscono alcuni sottotipi:

  • La stenosi di tipo displasico (riscontrata nel 3-5% di soggetti normotesi potenziali donatori di reni) interessa in modo preminente le giovani donne bianche (8 volte più dell’altro sesso) tra i 20-40 anni, ma anche più giovani specie se coesistono delle malformazioni. La prevalenza è bassa, viene in genere interessato il 3° medio dell’arteria renale e a volte i suoi rami principali, sporadicamente la stenosi è bilaterale, è progressiva, rara è l’occlusione dell’arteria renale e l’intervento chirurgico oppure, con preferenza, l’angioplastica inducono una guarigione con un buon decremento pressorio. Questa forma displasica si distingue, a seconda della sezione dell’arteria ove prende l’avvio, in una stenosi dell’intima (1-2%), della media, (95%) e dell’avventizia o peri-arteriosa (1-2%).

       L’alterazione stenotica più frequente è quella della displasia fibro-muscolare della media che a sua volta si distingue in tre principali sottotipi: nelle fibroplasie mediale (80%) e peri-mediale (10-15%) e nell’ipertrofia mediale (1-2%). Agli esami di immagine la displasia fibro-muscolare mediale si presenta come un'alternanza di restringimenti fibrotici (stenosi) e dilatazioni aneurismatiche che ricordano un "filo di perle" o una "corona  di rosario". La displasia peri-mediale presenta lo stesso quadro, ma mostra soltanto una sequenza irregolare di restringimenti fibrotici. L’ipertrofia mediale si caratterizza per una iperplasia fibro-muscolare stenotica isolata o circonferenziale  lineare o tubulare. La fibroplasia dell'intima (in prevalenza nei bambini) è molto simile all’ipertrofia mediale e raramente  progredisce sino all'occlusione. La fibroplasia dell’avventizia è caratterizzata da stenosi fibrotiche multiple a mo’ di collari.

      Le arterie in altre sedi dell’organismo vengono colpite solo occasionalmente (displasia arteriosa generalizzata) e tra queste le arterie carotidi e le arterie vertebrali sono le più interessate.

  • La stenosi di tipo aterosclerotico interessa entrambi i sessi, i soggetti in genere presentano un’età superiore a 50-55 anni, facilmente è progressiva con occlusione arteriosa a livello ostiale o para-ostiale, totale o sub-totale e con la possibilità, quando la stenosi è molto ostruente, di un’atrofia ischemica del rene colpito. La stenosi da aterosclerosi più raramente è localizzata nel 3° medio dell’arteria renale.

      L’intervento chirurgico o l’angioplastica hanno poche possibilità di indurre un miglioramento significativo della pressione arteriosa e sono scarse le risposte ai trattamenti. Le principali cause di aggravamento di una lesione aterosclerotica, che avviene in maniera asintomatica fino all’ESRD, sono il tromboembolismo colesterinico (a motivo di interventi chirurgici, cateterismi vascolari arteriosi, mezzo di contrasto), i farmaci nefrotossici, la non completa normalizzazione dei fattori di rischio cardiovascolare e le alterazioni della coagulazione. La stenosi da aterosclerosi a livello di un’arteria renale si presenta, come già visto, con placche di solito prossimali che  rendono stenotico l'ostio e/o il tratto para-ostiale dell'arteria. La sede è sottoposta ad un vulnus fisiologico per il continuo shear-stress parietale, a causa dello sperone divisorio tra aorta ed arteria renale, che tende ad aggravare un già presente danno. La stenosi nell'8-17% dei casi potrebbe progredire in 3-4 anni circa sino all'occlusione, se non opportunamente trattata. L'insufficienza renale da nefropatia ischemica si verifica in circa il 12% dei pazienti che inizialmente  presentavano una normale funzionalità renale. Uno o più  ateromi a livello di un’arteria renale si possono riscontrare nel 50% delle autopsie, nei soggetti anziani con più di 65% (7-10%) ed in quelli che si sottopongono ad arteriografia per arteriopatia obliterante agli  arti  inferiori, anche  se i soggetti non sono ipertesi. Quando la stenosi dell'arteria renale è sostenuta da lesioni aterosclerotiche, è probabile che queste siano poli-distrettuali (cervello, coronarie, l’arteria dell’altro rene o a livello degli arti inferiori, ecc.).

 

FISIOPATOLOGIA DI GOLDBLATT – Il razionale legato alle alterazioni prodotte dalla stenosi sono il prodotto delle osservazioni che coinvolgono il sistema-renina-angiotensina, considerato come un sistema integrato “capacità-volume”. Gli studi sono stati effettuati  inizialmente da Janeway (1909) e da Henry Goldblatt (1934) e poi da altri ricercatori che nel loro complesso ne spiegano la fisiopatologia.  Sono comunque importanti gli esperimenti praticati su modelli animali:

  • STENOSI MONOLATERALE DI UN’ARTERIA RENALE CON L’ALTRA ARTERIA NORMALE (modello 2-reni, 1-clampaggio): ipertensione arteriosa renina-dipendente (vasocostrizione), per lo stimolo ipovolemico a causa della riduzione della pressione di perfusione conseguente alla stenosi dell’arteria renale, almeno nelle prime fasi dello stato ipertensivo. Oltre al ridotto afflusso, l’ischemia riduce la secrezione di acqua e di sodio tubulare ed attiva lo stimolo del simpatico (si veda dopo) e di altri sistemi. Questo quadro è responsabile di una grave ipertensione arteriosa con ampia variabilità, scomparsa del ritmo circadiano, ovvero la perdita del fenomeno del “dippping” (non-dipper), e riduzione del flusso urinario. Il sistema arterioso dell’arteria renale non stenotica presenta danni sclerotici da ipertensione elevata ed incremento della perfusione con diuresi e natriuresi compensatoria (natriuresi pressoria). Quando la clip dell’arteria renale viene rimossa ne consegue una riduzione pressoria.
  • STENOSI DI UN’ARTERIA RENALE IN MONORENE (modello 1-rene, 1-clampaggio o 2-reni, 2-clampaggi): ipertensione arteriosa sodio-volume-dipendente, con livelli di renina normali o bassi. In questi casi il meccanismo “ischemia-incremento della renina” viene annullato. Il de-clampaggio produce una riduzione pressoria. Tra le varie ipotesi formulate la più accreditata sembra quella che ad un’attività aumentata dell’ossido nitrico seguirebbe un incremento di prostaglandine renali vasodilatanti.

       Merita di sottolineare l’importante sinergismo tra il sistema renina-angiotensina-aldosterone e i nervi renali nel modello 2-reni ed 1-clip. Nel cervello, infatti, il simpatico viene stimolato da un eccesso di angiotensina II a livello dell’organo sub-fornicale, ove sono presenti specifici recettori. Dopo tutto un percorso il simpatico stimola ulteriormente a livello renale il sistema renina-angiotensina-aldosterone.

       A volte si stabilisce un’alta concentrazione plasmatica di aldosterone che favorisce una eccesiva perdita di potassio con le urine, con una conseguenziale ipopotassiemia e tutte le note conseguenze cliniche. Inoltre, l’iperaldosteronismo determina a livello renale:

  1. Riassorbimento di acqua e sodio  a livello del dotto collettore,
  2. Disfunzione dell’endotelio dei vasi e potenziamento dell’azione dell’angiotensina II,
  3. Perdita proteica per un’attività lesiva a livello dei podociti.

       La stenosi dell’arteria renale per essere del tutto attiva deve essere serrata oltre il 65-70% (stenosi critica), con profonde modificazioni morfo-funzionali e biochimiche nel rene. In particolare, gli effetti della stenosi renale però sono lenti e progressivi ed hanno inizio con il 50-55% circa di chiusura stenotica favorendo l’incremento della pressione arteriosa, riducendo la perfusione ed il flusso ematico renale. Tali alterazioni quando sono eccessive determinano il quadro clinico dell’ischemia renale. La biopsia nei momenti iniziali evidenzia piccoli glomeruli, perché retratti, ed ipo-perfusi, ma con una integrità delle membrane basali tubulari ed una trascurabile cicatrizzazione tubulare.

 

CLINICA - L’ipertensione reno-vascolare di tipo displasico ricorda l’andamento di una ipertensione arteriosa essenziale. La diagnosi potrebbe essere ipotizzata quando ci si trova davanti ad una donna con meno di 35-40 anni, che ha subito un repentino mutamento verso l’alto dei valori pressori, specie senza una familiarità, presenta un soffio para-ombelicale e/o costo-vertebrale in genere lungo e ad alta frequenza, viene dimostrato un aggravamento graduale della funzionalità renale ed una resistenza al trattamento antiipertensivo, anche se generoso secondo le Linee Guida (stile di vita appropriato ed un diuretico con altri due farmaci antiipertensivi).

       Per quanto riguarda invece la stenosi aterosclerotica, l’anamnesi evidenzia una ipertensione di vecchia data, in genere refrattaria alle terapie convenzionali, spesso con aggravamento intorno ai 50-55 anni. Molto facile è la presenza di altri fattori di rischio aterogeni, come il fumo, la dislipidemia, il diabete, l’iperuricemia. La stenosi è ubicata in prevalenza a livello dell’ostio e/o nel 3° prossimale (la sede è favorita dall’aumentato «shear-stress» dello sperone divisorio). La lesione ha una evoluzione lenta e progressiva ed è facile, se non opportunamente trattata, che determini uno stato ischemico del rene e che per i valori pressori elevati ci siano frequenti episodi di edema polmonare acuto. Altri disturbi sarebbero espressione della vasculopatia aterosclerotica multi-distrettuale, tra cui la presenza di un soffio para-ombelicale monolaterale (45-50% dei casi), il laboratorio potrebbe inoltre evidenziare una creatininemia alterata, una perdita proteica con le urine ed una poliglobulia.

 

INDAGINI STRUMENTALI – Nessuna indagine è totalmente affidabile per la diagnosi (gradi differenti di sensibilità e specificità), quindi, è opportuno delegare alla clinica e/o ad algoritmi una maggiore importanza. A tal proposito Pickering TG e coll. (1998) ci suggeriscono di distinguere i pazienti sulla base dell’indice di sospetto clinico:

  • BASSO (<15%): Ipertensione borderline o lieve con nessun segno clinico, consigliano la terapia medica senza indagini cliniche;
  • MODERATO (5-15%): Ipertensione moderata-grave con la presenza di alcuni indici clinici con un iter diagnostico non invasivo, consigliano la terapia medica e non l’angioplastica;
  • ALTO (>15-20%): Ipertensione grave che è poco o non rispondente al trattamento, funzione renale alterata che tende a peggiorare con i farmaci che riducono l’attività dell’angiotensina II e/o presenza di uno o più segni clinici; in tali circostanze potrebbe essere indicata l’arteriografia renale o altre indagini equivalenti. In questi casi è molto probabile che sia indispensabile effettuare un’angioplastica.

       Altro suggerimento da seguire è quello proposto agli inizi degli anni 2000 da Textor e collaboratori. Prima di intraprendere un’indagine diagnostica strumentale consigliano di identificare “i fattori indicativi favorevoli o sfavorevoli per la ri-vascolarizzazione” e successivamente seguire un algoritmo diagnostico-terapeutico. La Tabella 1 è alquanto esaustiva.

       Alcune indagini strumentali non cruenti dimostrerebbero però la presenza di una stenosi. In genere, il primo esame da richiedere è l’ecografia renale B-mode che dovrebbe documentare un rene, quello ischemico, più piccolo rispetto al collaterale. Questa indagine studia inoltre il calibro dei vasi arteriosi, lo stato delle pareti e i rapporti con le strutture extra-vascolari. Successivamente seguendo l’algoritmo della Tabella 1 si dovrebbe chiedere l’eco-colordoppler delle arterie renali (sensibilità al 95%, specificità al 90%). Questo esame fornisce una discreta visualizzazione dei principali vasi sanguigni con eventuali stenosi e lo studio della velocità del  flusso ematico intra-renale (valutazione della gravità della stenosi per poterla seguire nel tempo). Si possono altresì rilevare:

  • L’indice di resistenza intra-renale (IR) - Viene calcolato nei reni a livello di 2-3 arterie interlobari e qualora risulti ≥75-80% la ri-vascolarizzazione sarebbe  insoddisfacente, mentre se l’indice di resistenza è <60% si otterrebbe una buona ri-vascolarizzazione.
  • Il rapporto aorto-renale (RAR) che tende ad aumentare con l’età (1-1,5 cm).
  • Il segno non costante del «tardus-parvus»che considera l’onda oltre la stenosi (basso profilo ed arrotondato), probabilmente per una maggiore rigidità da ATS; alcuni Autori hanno evidenziato un migliore profilo dell’onda dopo captopril (dal 68% si è passati al 100%).

In seguito alla caduta della perfusione renale (>50%) si stabilisce in modo progressivo una riduzione del filtrato glomerulare che attiva il SRAA. La riduzione di perfusione sino al 40-45% circa invece non altera il filtrato glomerulare e la portata renale per  meccanismi di autoregolazione del circolo intra-renale. Se il risultato fosse ambiguo si può effettuare lo studio della perfusione renale al fine di valutare la differenza morfo-funzionale tra i due reni utilizzando la scintigrafia renale e la renografia con test al captopril (Fig. 1) (sensibilità 90%, specificità 95%).

 

 

Fig. 1: Dopo aver somministrato un ACE-inibitore (captopril), il meccanismo compensatorio è bloccato con conseguente calo della filtrazione glomerulare per ritardato assorbimento del rene con stenosi dell'arteria.

Andando avanti, la Tabella 1 ci indica quando risulta favorevole proseguire con la diagnostica per immagini. L’arteriografia selettiva dell’arteria renale è il metodo strumentale più diagnostico per studiare la sede e la gravità del o dei danni vascolari (possibilità collaterale di rischio di dissecazione, di emboli di colesterolo per distacco parietale!). La tecnica a sottrazione digitale ha migliorato la possibilità diagnostica con una riduzione del mezzo di contrasto e diminuzione del calibro dei cateteri. Proseguendo possono essere effettuate, per visualizzare l’arteria renale e l’aorta peri-renale e con la rara probabilità di una tossicità da contrasto, l’Angio-TC spirale, l’Angio-RM e la PET, che sono però più costose.

 

 

Tab. 1: Dopo aver valutato i fattori indicativi favorevoli e non favorevoli, l’algoritmo riporta il comportamento diagnostico da seguire. (Da: Textor S.C. Am. Journal Kidney Disease 2003 - Riportata da N. Kaplan’s).

 

Gli esami di laboratorio purtroppo non sono specifici, l’unica indagine che avrebbe una sua logica è l’attività reninica plasmatica (PRA), ma in questi casi fornisce risultati poco attendibili, specie in assenza di segni clinici positivi. La determinazione della PRA nel sangue periferico è aumentata generalmente nel 50-55% dei casi con stenosi dimostrata, ma vi sono purtroppo alcuni effetti confondenti (diuretico, vasodilatatori, ecc.), fornendo pertanto una positività nel 20-25% circa dei soggetti (sensibilità 60%, specificità 65%). Il prelievo effettuato nelle vene renali reflue dimostra valori aumentati dalla parte stenotica e ridotti se non dosabile nel lato non stenotico. Il rapporto della reninemia (>1,5) potrebbe risultare diagnostico con tutte le limitazioni già considerate. Ovviamente devono essere studiati attentamente la funzione renale, gli elettroliti sodio e potassio e i fattori di rischio cardiovascolare.

GENERALITÀ SUI TRATTAMENTI – L’ipertensione reno-vascolare può essere trattata con la chirurgia, con l’angioplastica (palloncino o in combinazione con l’impianto di una endoprotesi vascolare o stent) o con la terapia medica. Gli obiettivi del trattamento ovviamente sono la riduzione dei valori pressori elevati e tentare di mantenere o ristabilire una buona perfusione renale. Per quanto riguarda il trattamento chirurgico i risultati sono paragonabili alla terapia riuscita con l’angioplastica, mentre risulta elevata la mortalità dopo l’intervento. Quindi, è preferibile non effettuare la terapia chirurgica, se non in particolari casi ben selezionati. La Figura 2, a questo proposito, riporta le curve di  probabilità (curva di Kaplan-Meier) di soggetti sottoposti ad intervento chirurgico per ipertensione arteriosa reno-vascolare. Si notino nel decorso dopo la rivascolarizzazione chirurgica, con una osservazione durata 25 anni, le differenze di sopravvivenza tra la forma displasica e diverse gravità aterosclerotiche.

 

 

Probabilità di sopravvivenza (%)

 

Tempo di sopravvivenza (mesi)

 

Fig. 2: Follow-up di 25 anni dopo aver effettuato la ri-vascolarizzazione chirurgica. Si notino (curva di Kaplan-Meier)  le diverse sopravvivenze sulla base dell’eziologia della stenosi nell’arteria renale. (Da: Pickering TG et al J. Hypert., 1986).

 

       Le principali indicazioni alla ri-vascolarizzazione, per ripristinare una buona perfusione, sono costituite, come già visto, dall’ipertensione grave e resistente, dal rapido declino delle funzioni renali specie durante il trattamento antiipertensivo (possibile giovamento in 1/3 dei soggetti), dall’intolleranza degli ACE-inibitori o degli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II e da ricorrenti edemi polmonari acuti o altre importanti complicanze.

       La terapia delle stenosi displasiche vanno abbastanza bene. Infatti, nel 90% circa di giovani donne con displasia fibro-muscolare, in prevalenza a destra, i risultati del trattamento con angioplastica sono eccellenti, raggiungendo l’eliminazione o la riduzione della terapia medica (circa 58% di guarigioni, 35% di miglioramenti e 7% di insuccessi). Alcune rare forme displasiche invece avrebbero un maggior successo con la terapia chirurgica, in particolare si tratta dell’iperplasia fusiforme mediale, delle stenosi di più rami arteriosi e quando sono presenti più segmenti aneurismatici.

       Il trattamento delle stenosi aterosclerotiche invece vanno meno bene ed il positivo risultato è favorito dalla sede della lesione. Quando la stenosi è ostiale o para-ostiale la riuscita terapeutica è tra il 20-30%, con recidive anche del 50%. Questo limite è stato ovviato parzialmente con l’introduzione degli stent, che consentono di ottenere migliori risultati simili alle forme distali che riescono decisamente meglio.

L’ANGIOPLASTICA DELL’ARTERIA RENALE: IL METODO – Questo consiste nell’inserimento di un palloncino e/o di un impianto di un’endoprotesi vascolare (stent), che è diventata progressivamente una valida alternativa alla chirurgia per la limitata invasività, la ripetibilità della tecnica, il continuo affinamento dei materiali e i bassi costi. La possibilità di introdurre stent di buona affidabilità e medicati, ha ridotto ulteriormente le re-stenosi ed inoltre i controlli nel tempo non evidenziano riduzioni di calibro. Nei soggetti ben ri-vascolarizzati migliora la funzionalità renale e la pressione arteriosa di solito si riduce rapidamente, probabilmente si verrebbero ad attivare,  almeno in un primo momento, alcune sostanze vasodilatanti non ancora ben definite.

        Il  metodo, in sintesi, consiste nella dilatazione del vaso che determina la "frantumazione" della placca e dell’intima, con distacco della tunica media e dell’avventizia che vengono "stirate" sino a determinare una distensione irreversibile delle fibre elastiche che le costituiscono. In tal modo si ottiene un aumento permanente del calibro del vaso arterioso al cui mantenimento contribuiscono la rimozione dei detriti della placca da parte dei macrofagi, l’aumento del flusso ematico e l’incremento della pressione arteriosa esercitata sulle pareti. Per evitare la rara re-stenosi, a causa di una aumentata proliferazione neo-intimale favorita dall'"elastic recoil", è conveniente porre uno stent ed instaurare una terapia anticoagulante e successivamente una terapia antiaggregante. In alcuni casi è razionale consigliare, almeno per i primi tempi, la doppia aggregazione (ASA e Clopidogrel).

       Le principali complicanze, senza considerare la re-stenosi, possono essere distinte in maggiori (occlusione dell’arteria renale, emboli di colesterolo e perforazione dell’arteria), minori (dissecazione dell’arteria renale senza emorragia, insufficienza renale transitoria ed ematoma inguinale) e radiologiche (danno intimale, deposizione sub-intimale del mezzo di contrasto, spasmo dell’arteria renale, rottura del palloncino).

 

TERAPIA MEDICA – Alcune osservazioni controllate hanno confrontato il trattamento medico con l’angioplastica renale nei soggetti con stenosi di tipo aterosclerotico. Si ricordano gli studi più significativi:

  • EMMA (Essai Multicentrique Medicaments vs Angioplastie Study Group), del 1998;
  • SNRASCG (Scottish and Newcastle Renal Artery Stenosis Collaborative Group), del 1998;
  • DRASTIC (Dutch Renal Artery Stenosis Intervention Cooperative Study Group), del 2000;
  • ASTRAL (Angioplasty and STenting for Renal Artery Lesions), del 2009;
  • STAR (ostial STenosis of the Renal Artery), del 2009;
  • CORAL (Cardiovascolar Outcomes in Renal Atherosclerotic Lesions), del 2014.

 

       In linea di massima, i candidati al trattamento medico sono stati i soggetti ove la ri-vascolarizzazione non si è potuta eseguire, non ha avuto un successo sufficiente, ha avuto esiti modesti o nulli sulla pressione arteriosa ed è stata effettuata su soggetti con oltre 70 anni con la presenza di poli-patologie,  con una ipertensione arteriosa di lunga data e/o con  una ridotta funzione renale.

       I risultati dello studio DRASTIC ci indicano che i soggetti randomizzati verso la terapia medica piuttosto che verso la ri-vascolarizzazione dell’arteria renale non hanno dimostrato vantaggi significativi a 3 e a 12 mesi, mentre i soggetti con ipertensione resistente hanno ottenuto con l’angioplastica un migliore controllo pressorio.

       Lo studio ASTRAL ha arruolato 806 soggetti, di cui 103 erano nel braccio della ri-vascolarizzazione e 106 nel braccio della terapia medica; la curva di sopravvivenza tra i due gruppi risultava sovrapponibile con una leggera prevalenza non significativa (p=0.46) nei soggetti che avevano effettuato la terapia medica (57% vs 60%).

       Altri studi prospettici e randomizzati concludono che con la terapia medica si ottengono riduzioni della pressione arteriosa simili a quelle indotte dalla ri-vascolarizzazione, ma sono criticabili per la poca utilizzazione dello stent. In ogni caso, dopo l’angioplastica il trattamento medico richiesto è decisamente meno importante, ma elevate sono state le complicanze nei soggetti con aterosclerosi.

       Il trattamento dei fattori di rischio cardiovascolare e i danni da essi provocati, sub-clinici e clinicamente evidenti, sono importanti da studiare attentamente per ridurre l’aggressività aterosclerotica nell’organismo e le patologie d’organo. In particolare, la massima attenzione  deve essere posta per lo studio a livello dell’arteria renale quando siamo in presenza di aterosclerosi. Lo stile di vita deve essere ovviamente modificato e somministrati, laddove necessario, antiaggreganti,  ipo-glicemizzanti, statine, ipo-uricemizzanti, oltre ovviamente alla completa sospensione del fumo e ad un efficace trattamento antiipertensivo.

       Per quanto riguarda la terapia dell’ipertensione arteriosa, la disponibilità di antiipertensivi moderni e selettivi, specie quelli che modulano l’attività dell’angiotensina II, ha reso da tempo l’ipertensione reno-vascolare più trattabile. Il successo degli ACE-inibitori oscilla, a seconda degli studi, tra 85-90%, perché mantengono un discreto flusso ematico, nonostante il loro effetto vasodilatante a livello dell’arteriola efferente. Nel 45-50% dei casi sfortunatamente la terapia, pur corretta, non previene la progressione aterosclerotica anche se la rallenta. Da tener presente comunque che l’impiego di un ACE-inibitore o di un antagonista recettoriale dell’angiotensina II potrebbe ridurre in modo “drammatico” il flusso ematico in un rene stenotico, specialmente se si è in presenza di monorene o con stenosi bilaterali. La conseguenza è un’insufficienza renale a rapida insorgenza, ma reversibile con la sospensione del trattamento. Questo fenomeno causa-effetto non è specifico, ma si può presentare durante il loro impiego a causa della rimozione della vasocostrizione dell’arteriola efferente. Tuttavia, una riduzione di oltre il 30% della clearance della creatinina costituisce un’indicazione ad utilizzare la ri-vascolarizzazione.

       Le altre classi dei farmaci antiipertensivi possono essere utilizzate. I diuretici stimolano ulteriormente il sistema renina-angiotensina determinando alcuni problemi in un rene con stenosi arteriosa bilaterale o in un rene unico stenotico. Dovrebbero essere sconsigliati o utilizzati ad un basso dosaggio nei soggetti con sospetta ipertensione reno-vascolare, a meno che non coesista un’insufficienza renale o cardiaca, che ne suggerisca con attenzione la prescrizione. La classe dei calcioantagonisti garantisce un controllo della pressione arteriosa simile ai farmaci che modulano l’azione dell’angiotensina II, ma con minore compromissione della funzione renale. Studi iniziali su organi isolati e su animali avevano fatto ritenere che queste sostanze aumentassero la pressione intra-glomerulare per la selettiva vasodilatazione che inducono a livello dell’arteriola afferente. Successivi approfondimenti nell’uomo hanno invece dimostrato che non determinano alterazioni della frazione di filtrazione e hanno un importante ruolo pure in questi pazienti, specialmente se sono portatori di una ridotta funzione renale. I beta-bloccanti possono essere utilizzati nei soggetti con ipertensione reno-vascolare, perché hanno effetti molto scarsi sul flusso renale. La secrezione della renina mediata dai baro-recettori e dalla macula densa può essere ridotta per l’inibizione che i beta-bloccanti hanno sulle vie neuronali del simpatico presenti nell’apparato iuxta-glomerulare.

 

NEFROPATIA ISCHEMICA CRONICA - Non esiste ancora un consenso unanime sulla definizione di questa forma morbosa. Alcune Linee Guida sottolineano che si tratta di una importante riduzione (>80-85%) del filtrato glomerulare causata da una o più stenosi emodinamicamente significative a livello dell’arteria renale o di quelle intra-renali, in prevalenza dovute a cause aterosclerotiche. Queste inducono nel tempo, se non opportunamente trattate, dapprima un’insufficienza renale cronica e successivamente un’insufficienza renale terminale (ESRD). La fisiopatologia è determinata dalla progressiva riduzione della perfusione con la graduale perdita di ossigenazione del tessuto renale.

       Può essere riconosciuta da alcuni segni e sintomi maggiori come l’asimmetrica riduzione delle dimensioni renali (>1,5-2 cm), la comparsa improvvisa di uno stato ipertensivo in un’età >50-55 anni, una retinopatia di grado 3° o 4°, un soffio addominale sisto-diastolico, un ulteriore e significativo incremento della creatininemia dopo test di stimolazione con ACE-Inibitori o sartani oppure durante un trattamento anti-ipertensivo con queste sostanze. Altri segni e sintomi considerati minori sono diagnostici, come un’età superiore ai 60 anni, un’ipertensione refrattaria alla terapia medica, la presenza di lesioni vascolari aterosclerotiche distrettuali, l’assenza di perdita urinaria di proteine nei soggetti diabetici con insufficienza renale. Si può rallentare nella sua evoluzione instaurando tempestivamente una terapia medica. Il sospetto diagnostico può nascere quindi dallo studio clinico e dalla grave asimmetria dei reni. Pochi criteri morfo-funzionali però potrebbero farci prevedere il possibile recupero della funzionalità renale, come l’incremento delle dimensioni del rene (diametro longitudinale >9 cm alla stratigrafia oppure >8 cm all’ecografia), la capacità di estrarre e concentrare il mezzo di contrasto ad una eventuale urografia o il radioisotopo alla scintigrafia ed il riempimento dell’albero arterioso a valle della stenosi all’arteriografia.

       In alcuni soggetti con nefropatia ischemica si preferisce la terapia medica, perché le procedure di ri-vascolarizzazione potrebbero comportare alcuni rischi. Il gruppo di K. Baloolal nel 1998 ha riportato una mortalità del 45% a cinque anni in 51 soggetti con aterosclerosi delle arterie renali e trattati con la sola terapia medica. In particolare, il filtrato glomerulare si era ridotto da 39 ml/min a 24 ml/min, ed il 12% dei soggetti è andato incontro a ESRD.

       In assenza sino ad oggi di significativi trial clinici controllati (terapia medica vs ri-vascolarizzazione) è difficile selezionare i soggetti nei quali la terapia conservativa è preferibile al trattamento con angioplastica. Tuttavia, esiste un crescente interesse sul ruolo dell’angioplastica dell’arteria renale e più recentemente dell’impianto di stent nel trattamento della nefropatia ischemica, cioè quando il quadro clinico è dominato da una importante insufficienza renale. Infatti, su 55 soggetti, con una creatininemia >2.5 mg/dl, 45 (82%) sono stati trattati con successo e 26 soggetti (47%) hanno avuto anche una riduzione della creatininemia. Altri Autori hanno fornito risultati analoghi; fanno però eccezione i soggetti con un’età media di 73 anni o con grave insufficienza renale cronica (creatininemia >7 mg/dl), che sono andati incontro a peggioramento o decesso.

       Quando tuttavia si decide di ri-vascolarizzare un rene ischemico è sempre opportuno considerare che l’angioplastica determina un lento e progressivo recupero funzionale, che può richiedere anche alcuni mesi per manifestarsi in pieno. Da alcuni anni, infine, sono stati proposti dei criteri orientativi che correlano in modo positivo con l’incremento del filtrato glomerulare. Si ricordano i più significativi: diametro longitudinale del rene di almeno 9 cm, filtrato glomerulare di almeno 15 ml/min, creatininemia non superiore a 3-5 mg/dl e valido circolo collaterale con un’occlusione ostiale. 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE - Il rilievo di una stenosi in un’arteria renale non è sufficiente a far porre diagnosi di ipertensione reno-vascolare e che la diagnosi non comporta l’indicazione alla ri-vascolarizzazione per ridurre i valori pressori e per preservare la funzione renale. La terapia si fonda preferibilmente sulla logica del quadro clinico ove la letteratura riporta alcuni interessanti algoritmi per le opportune verifiche delle condizioni anatomiche del rene (diametro polare all’ecografia), l’entità e la natura della stenosi (eco-colordoppler, angio-RM o altro) e le condizioni funzionali. In alcuni casi, infine, si possono effettuare ulteriori indagini, ma nessun elemento potrà vicariare (come più volte sottolineato) l’importante ed esclusiva valutazione clinica su cui è basata la logica ipotetico-deduttiva dell’operatività diagnostica e terapeutica, che potrebbe essere, quest’ultima, anche conservativa.

 


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